di Raimondo Giustozzi
Una lunga camminata per la valle del Ghisone, risalire il pendio e al termine del sentiero trovare una casa di montagna, piccola e accogliente. Poco lontano il Monviso fa bella mostra di sé. È il giorno di Pasquetta di alcuni anni fa, scrive nell’Eco del Ghisone mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo. Don Mario Colabianchi, parroco dell’Unità Pastorale San Pietro- Cristo Re di Civitanova Marche, arcidiocesi di Fermo, apre così, con questa lettura, la serata trascorsa nella sala grande del Catecumenion, di via Carnia, Civitanova Marche, venerdì 27 giugno 2025. È l’introduzione al tema “Le case di Gesù e la Chiesa accogliente”, proposto dall’Unità Pastorale sopra indicata, incontro iniziato alle 21,15 e terminato dopo due ore circa, alla presenza di circa sessanta persone. L’aria condizionata della sala ha contribuito a tener desta l’attenzione di tutti.
Stefano Cesetti, giornalista, responsabile Redazione Il Resto del Carlino Fermo, ha raccontato due aneddoti relativi a due sacerdoti fermani: mons. Sandro Salvucci, nominato arcivescovo di Pesaro – Urbino, Urbania, Sant’Angelo in Vado nel 2022, mons. Andrea Andreozzi, nominato vescovo di Fano, Fossombrone, Cagli, Pergola, nel 2023. La redazione del Carlino, sede di Fermo, rispolverando un’antica tradizione sul toto vescovi, simile a quella del toto papa, nel 2022 aveva previsto la nomina di mons. Andrea Andreozzi come arcivescovo di Pesaro – Urbino, pronostico errato; azzeccato, quello successivo del 2023. Dopo questa simpatica digressione, Stefano Cesetti ha elencato gli incarichi pastorali di mons. Andrea Andreozzi, prima dell’elezione, e gli studi conseguiti in Sacra Scrittura e in Teologia.
Emila Bacaro, voce recitante, ha letto, prima di ogni commento fatto da mons. Andrea Andreozzi, i passi scelti del Vangelo di Luca, dove si parla delle case di Gesù: la casa di Nazareth (Lc. 2, 51- 52), di Simone il Fariseo (Lc. 7, 36- 50), la casa di Betania (Lc. 10, 38- 42). Emilia Bacaro frequenta agli esordi la Compagnia di teatro della Rancia d Tolentino, diretta da Saverio Marconi, continua con la Compagnia di teatro dei Pichi, Piccola Ribalda, La Torre che ride, e ultimamente con Un Vranco de matti, le ultime quattro sono tutte compagnie teatrali di Civitanova Marche.
Luca apre il proprio Vangelo con il tempio di Gerusalemme, per passare subito dopo alla casa di Nazareth, dove Gesù trascorre la maggior parte della propria vita. Da un ambiente ufficiale e lontano, dove risiedono i grandi sacerdoti, funzionari del sacro, siamo introdotti nella casa di Giuseppe, Maria e Gesù, in un ambiente ordinario. L’evangelista Luca chiude Gli Atti degli Apostoli con la casa, che Paolo di Tarso prende in affitto, a Roma, in attesa del giudizio delle autorità romane sul suo conto: “In un giorno prefissato, molti si recarono presso di lui nel suo alloggio” (Atti degli Apostoli, 28, v. 23). Nazareth è il silenzio, il lavoro, il quotidiano, scuola di vicinanza, officina di famiglia. Qui, Gesù impara però la verità di un programma: “Nessuno è profeta in patria”. Se vuole portare a compimento la propria missione, Gesù deve andarsene da Nazareth.
Sembra un paradosso, ma è così; la gente della piccola cittadina lo spinge via. La casa di Nazareth è una porta aperta sul mondo. Un profeta è tale perché è rifiutato dalla propria gente. Le porte delle nostre case devono essere sì chiuse per proteggere chi vi abita, ma devono altresì essere aperte al mondo. La casa non è un fortino. Ogni costruzione rimanda alla precarietà della vita e alla sua fugacità. Dobbiamo imparare ad essere anche fuggitivi e viandanti. La casa del Padre è quella di Gesù stesso, incontrarlo vuol dire dimorare, rimanere, stare con lui. Ogni al di là rimanda sempre ad un al di qua. Le nostre case non ci aiutano più a metterci in cammino, perché manca la conflittualità positiva tra quanti vivono all’interno della casa. Sono riflessioni scaturite dalle domande poste da alcuni presenti al termine della serata, trascorsa all’insegna dell’apprendimento e discernimento.
La casa di Simone il Fariseo è un luogo aperto. Dà quasi sulla strada, tanto che vi entra anche una donna che non avrebbe mai potuto varcare quella soglia, ma quando sa che lì si trova Gesù, entra senza farsi nessun scrupolo. Nel proprio Vangelo, Luca nomina spesso Gesù che si reca a mangiare con tutti, pubblicani, farisei, donne chiacchierate per la loro condotta. Gesù viene chiamato un mangione e un beone dai propri avversari. La casa di Simone il Fariseo è propria di un ambiente greco- romano, è aperta a tutti, è una porta aperta sul mondo, ma che ha bisogno di qualche restauro. Simone è un po’ ottuso, sa solo giudicare in negativo la donna che bagna i piedi di Gesù, li asciuga, li cosparge di olio profumato, anche assai costoso.
La sua casa diventa allora l’occasione per stimolare un giudizio diverso. Gesù inventa la parabola del creditore che deve riavere indietro i soldi prestati. Uno dei creditori gli deve cinquecento denari, un altro solo cinquanta. Il padrone condona il debito ad ambedue. Chi dei due gli è più grato? Quello che gli deve di più, risponde Simone. Gesù lo invita allora a vedere la donna peccatrice in maniera diversa. Anche se ha peccato, lei lo accoglie, gli lava i piedi, glieli profuma. Simone il fariseo invece non ha fatto nulla verso di lui. “A lei sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece a colui al quale si perdona poco, ama poco”. Il Vangelo di Luca contiene norme di galateo valide per sempre: “Quando ti metti a tavola, non occupare mai i primi posti”. Non usare l’accoglienza che ti viene riservata per secondi fini: raccomandazioni e favori.
A tavola siamo soliti parlare male degli altri, oppure facciamo discorsi scontati e banali, oppure facciamo parlare la TV o il telefonino al posto nostro. La convivialità tra le persone permette di avere dei legami con gli altri, costruire un circuito di amore e di perdono, vedere la persona che si ha di fronte con i suoi occhi, non con i nostri. La mensa è un luogo privilegiato per fare comunità, cambiare opinione ed entrare dentro ad una logica di amore e di perdono. Scriveva in una sua poesia David Maria Turoldo sulla difficoltà di fare comunità: “Siamo soli, soli, amico, né vale che tu grida / fratelli dall’altare, / o che tutti s’affollino allo stesso ciborio. // Nessuno saluta / in questi termitai che sono / le nostre città. // Tutti murati in selve di condomini / più soli di quanto / lo siamo nei deserti // dove pare non abiti più / neppure Dio” (David Maria Turoldo, O sensi miei, pag. 512, Rizzoli, Milano 1993). A Gaza, in Ucraina, delle case sono rimaste solo macerie.
Betania è un villaggio vicino a Gerusalemme. Si ritiene che il termine derivi dall’ebraico: Beth (casa) combinata con una incerta seconda parte, che potrebbe significare “dei poveri” o riferirsi ad un nome proprio come Anania. La parola potrebbe essere tradotta come “Casa dei poveri” o casa di “Anania”. Quello di Luca è il Vangelo del viandante, che non sa dove posare il capo. Sentirsi a casa è l’aspirazione di chi non ha casa. Nella casa di Betania vivono due sorelle: Marta, Maria e il fratello Lazzaro. La presenza di Gesù nella casa trasforma la vita di Marta e di Maria. La prima è una persona affaccendata, in perenne movimento, l’altra è una contemplativa. Marta chiede a Gesù che rimproveri la sorella perché non l’aiuta nelle faccende domestiche. Gesù, parlando con Marta, apre un cantiere, quello di Betania, appunto, dove ricorda la parte buona di Maria, che è quella dell’accoglienza. La parola accolta ha il potere di trasformare chi è nel dubbio.
Vivace il dibattito finale tra i presenti e il relatore, con Stefano Cesetti a fare da moderatore. Don Mario Colabianchi così scrive in un suo commento: “Incontro profondo, con un linguaggio semplice, capace di trasmettere la bellezza, la ricchezza, della Parola che fa crescere chi l’ascolta e la legge. Provocazioni efficaci, capaci di suscitare domande e proposte di vita. Certamente una metodologia per annunciare la Parola con un linguaggio comprensibile per aprire un dialogo della vita e per tracciare sentieri di Speranza” (don Mario Colabianchi).
Raimondo Giustozzi
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