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David Maria Turoldo: La fede e la poesia

David Maria Turoldodi Raimondo Giustozzi

Padre David“, ha lasciato scritto Carlo Bo, “ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni”. E David Maria Turoldo ha continuato a cantare, fino all’estremo…” (David Maria Turoldo – Ultime poesie 1991-1992, edito da Garzanti). David Maria Turoldo (1916-1992) sacerdote, religioso dei Servi di Maria, dopo la laurea in filosofia, visse quindici anni presso i Padri di San Carlo a Milano, partecipando alla Resistenza con il gruppo de “L’Uomo” e tenendo la predicazione domenicale in Duomo dal 1943 al 1953, su invito del cardinale Ildefonso Schuster.

 

Dopo la guerra, terminato il suo peregrinare da un luogo all’altro, alternò la sua dimora tra il San Carlo di Milano e l’Abbazia di Sant’Egidio in Fontanella al Monte (BG), dove si trasferì nel 1964 e diresse il Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII, raggiunto da migliaia di giovani di ogni fede, credo religioso e politico. Ricordo la partecipazione, assieme ad un mio amico di Usmate, ad un grande convegno sulla figura di don Milani, tenuto proprio a Fontanella nella primavera del 1987, vent’anni dopo la morte del priore di Barbiana, presenti grandi studiosi del tempo con l’intervento di David Maria Turoldo alla domenica mattina nel corso del convegno.

 

Come per l’esistenza terrena di don Lorenzo Milani sono state le colline di Barbiana che hanno fatto conoscere al mondo intero il messaggio culturale, sociale, religioso e politico del prete fiorentino, allo stesso modo, è stata la campagna bergamasca, lontana dalla città di Milano, chiamata in un verso del 1943 ed in una poesia del 1947 “mia perita città”, mutata nell’ultima raccolta, del 1990 in: “Milano, mia povera patria”, che ha fatto del biondo “vichingo friulano” il profeta ed il poeta del novecento. La dimensione profetica di David Maria Turoldo è nella capacità tutta sua di leggere gli avvenimenti dell’esistenza terrena alla luce della fede.

 

È l’azione, accompagnata dalla coscienza, a guidare le scelte dell’uomo di fede. Scrive in uno dei suoi salmi: “Come splende, Signore Dio nostro / il tuo nome su tutta la terra: / la bellezza tua voglio cantare, / essa riempie i cieli immensi. // Da fanciullo e lattante balbetto: / un baluardo a tua casa innalzasti / costringendo al silenzio i superbi, / confondendo ogni tuo avversario. // Quando il cielo contemplo e la luna /e le stelle che accendi nell’alto, // io mi chiedo davanti al creato: / cosa è l’uomo perché lo ricordi? / Cosa e mai questo figlio dell’uomo / che tu abbia di lui tale cura? // Inferiore di poco a un dio, / coronato di forza e di gloria! // Tu l’hai posto signore al creato, / a lui tutte le cose affidasti: // ogni specie di greggi e d’armenti, / e animali e fiere dei campi. // Le creature dell’aria e del mare / e i viventi di tutte le acque: // come splende, Signore Dio nostro, / il tuo nome su tutta la terra!” (David Maria Turoldo, Salmo 8).

 

“Nel silenzio eterno degli spazi infiniti, questa canna pensante – per usare l’immagine di Pascal – è un granello microscopico. Ancor più insignificante è la sua realtà di fronte a un Dio creatore che ricama nel cielo con le sue dita le costellazioni e i pianeti. Eppure è proprio questo Dio che si china sull’uomo e lo incorona rendendolo di poco inferiore a se stesso, sovrano dell’orizzonte cosmico. Un canto dell’umanesimo, quindi; una preghiera pericolosa quando l’uomo diventa tiranno e umilia il mondo” (Fonte Internet). L’uomo umilia il mondo con la guerra, genocidi, disastri ambientali.

Continua ancora in un’altra versione: “Come splende, Signore Dio nostro / il tuo nome su tutta la terra. / Lasciami anche dalla tomba un pertugio, / che io possa ancora vedere / il sole che sorge / una nuvola d’oro, / Espero che riluce la sera / in un limpido cielo. / E mai abbia fine questa Coscienza / che i cieli immensi comprende / e più riflesso di te / che lo orni di divino splendore; / senza, non c’è voce che ti canti” (David Maria Turoldo, Salmo 8).

 

In David la fedeltà a ciò che Dio ci propone e non a quello che noi programmiamo, diventa meditazione sui grandi temi dell’uomo e di Dio, della vita e della morte, della libertà e della grazia.  Nascono così le poesie de “I Canti Ultimi” e l’amore che sempre padre David ha manifestato per la profezia, al punto da essere stato identificato tout court come un profeta moderno (Cfr. Gianfranco Ravasi, Servitium, Novembre- Dicembre 1992). L’abbandono fiducioso in un Dio che ama è nella sua poesia testamento, quando il male lo aveva ormai minato: “Quando avrò dalla mia cella / salutato gli amici e il sole / e si alzerà la notte, / finalmente / saldato il conto, / campane / suonate a distesa. / La porta è da tempo/ segnata dal sangue / pronte le erbe amare / e il pane azimo / allora andremo/ leggeri nel vento” (David Maria Turoldo, E quando avrò, pag. 71, in “Ultime poesie” (1991- 1992), Garzanti Editore, 1999).

 

C’è nel testo una tale lievità, un affidarsi fiducioso a chi ci ha fatto dono della vita, che è difficile trovare in altri poeti. “Per Turoldo, Dio non è estraneo alle vicende dell’uomo. La sua incarnazione – il suo farsi bambino, e poi ragazzo, e poi uomo – testimonia il desiderio del Divino di condividere tutta la parabola dell’esistenza umana, fino alle estreme conseguenze del male e del dolore. Anche Dio è infelice, perché sulla Croce si è fatto nostro compagno nella sofferenza, perché sulla Croce tutto il male e tutto il dolore del mondo sono stati condivisi” (D. Maria Turoldo, Anche Dio è infelice, Edizioni Piemme, 1991).

 

La dimensione poetica di David Maria Turoldo lo attraversa in quanto religioso, che vive in un monastero, quello di Sant’Egidio, località Fontanella (BG) ma gli occhi del chiostro sono aperti verso i confini della terra e dell’infinito cielo: “Tornata è la quiete, / anche il vento riposa, / non c’è più nessuno nell’Abbazia: / ma io non chiuderò le porte: / Qualcuno, sono certo, verrà; / così attendo sereno la Notte” (D. Maria Turoldo, Sera a Sant’Egidio, pag. 74, Ultime poesie (1991-1992), op.cit.). Preghiera e poesia sono un tutt’uno nel poeta friulano: “Care ti siano queste parole / che la mia bocca ora ti canta, Signore”: / sei la fonte radiosa dello stesso pensare / e stai / nel più intimo del mio intimo / respiro del mio respiro / e vento che cavalca i marosi: // oppure alito appena / che accarezza le cime degli alberi / e la luce che inonda dolcemente / i campi di grano all’alba. // Gemito sei dell’intera natura / il desiderio che ci fa verticali: / passione di esistere di tutte le vite. // Sei tu l’anima dell’atomo / la forza di coesione della pietra / il principio dell’unità dei mondi, / o pastore di costellazioni. // Nessun tempio ti contiene, né i cieli dei cieli! / Ti invocano i fiumi e non sanno / ti cercano le radici e non sanno / ti cantano gli uccelli nel bosco e non sanno, / solo questa coscienza sa che tu sei. // E sei fin dal principio, e nulla / esiste se tu non sei: noi soli / coscienza di questo splendore di astri: // noi la coscienza di quanto / narrano i cieli e il giorno / tramanda al giorno / e la notte alla notte” (David Maria Turoldo, Care ti siano, pp. 68- 69, Ultime poesie, op. cit.). Negli ultimi versi si fa chiaro il riferimento ad altri salmi contenuti nella faretra del poeta.

 

“Esiste la vittoria della forza”, scriveva in un articolo pubblicato nella rubrica “Religione e Mondo Moderno” curata da Giancarlo Zizola, ricordando la morte di Salvador Allende, “ma esiste un’altra vittoria, quella della morte accettata per amore; ed è la vittoria di Cristo che risorge, che non può non risorgere, è vivo; è Dio stesso che interviene a sconvolgere i piani della storia, a rompere l’impero della morte; ed il segno della causa dell’uomo che non morirà mai, che non sarà mai vinta” (D. Maria Turoldo, “Il Cristianesimo ci deva aiutare”). Turoldo vedeva nel Vangelo “un libro biologico”, nel senso che esso risponde alle esigenze fondamentali dell’essere; “… Se non si accetta l’eterna tavola dei valori, quali il valore della vita, che viene prima delle cose, del valore dell’uomo, che viene prima della stessa vita, è inutile che ci affanniamo dietro risposte che non esistono”.

 

L’umanità veniva così cantata in una delle sue poesie più famose: “Godi del nulla che hai / del poco che basta / giorno dopo giorno / e pure quel poco / se necessario / dividi. / E vai/ vai leggero / dietro il vento / e il sol e / e canta / Vai di paese in paese/ e saluta tutti / il nero, / l’olivastro / e perfino il bianco / Canta il sogno del mondo / che tutti i paesi / si contendano / d’averti generato” (D. Maria Turoldo, Il Grande Male, Milano, 1987).

 

Parlare di David Maria Turoldo significa parlare di un gigante del Novecento. Non basta un articolo per farlo. Ritornerò con altri contributi su David Maria Turoldo, sulle sue poesie e con la recensione ad un saggio di Mariangela Maraviglia, David Maria Turoldo, la vita, la testimonianza (1916- 1992). Aspetto che faccia meno caldo, per poter leggere e scrivere. Restano comunque le sue raccolte di poesie ed i suoi saggi, come anche l’immensa bibliografia: Canti ultimi. – Milano, Garzanti, 1992. Anche Dio è infelice – Piemme, 1991. O sensi miei …: (Poesie 1948-1988) – (note introduttive di Andrea Zanzotto e Luciano Erba) Milano, Rizzoli, 1990. Alla porta del bene e del male. – Milano, A. Mondadori, 1978. Siate nella gioia. Diari, lettere, pensieri di Benedetta Bianchi Porro – Milano, Corsia dei Servi, 1968.

 

Raimondo Giustozzi

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