bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
gennaio 2022
L M M G V S D
« Dic   Feb »
 12
3456789
10111213141516
17181920212223
24252627282930
31  

Libri. Alessandro D’Avenia L’appello

di Raimondo GiustozziLappello

L’appello, pubblicato da Mondadori nel 2020, è l’ultimo romanzo di Alessandro D’Avenia. Lo scrittore, docente di lettere al liceo, sceneggiatore dei suoi stessi libri, ha esordito nel 2010 con il primo romanzo, Bianca come il latte, rossa come il sangue, pubblicato da Mondadori, dal quale è stato tratto nel 2013 l’omonimo film. Sempre per Mondadori ha pubblicato nel 2011 Cose che nessuno sa. Nel 2014 usciva Ciò che Inferno non è, romanzo che ruota attorno alla figura di Pino Puglisi. Nel 2016 pubblicava L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita e nel 2017, Ogni storia è una storia d’amore. Da queste ultime due opere, l’autore ha tratto un racconto teatrale che ha girato l’Italia con enorme successo.

Il nome che portiamo ci accompagna dalla nascita alla morte. “Gli antichi dicevano che il destino è nel nome: che ti piaccia o no, sei chiamato a rispondere all’appello. Nel mio caso è così: mi chiamo Omero, in greco colui che non vede… e cinque anni fa sono diventato cieco. Omero Romeo a dirla tutta, 45 anni, DNA per metà di padre professore universitario di astrofisica, appassionato di musica classica e di sua moglie, iniziato al mistero della vita e precipitato ora in quello della demenza senile; per l’altra metà di madre professoressa di greco e latino, appassionata di Omero (il mio nome lo ha scelto lei, mio padre aveva proposto un semplice Alberto, in onore di Einstein) e di enigmistica (il mio nome è anche l’anagramma del mio cognome)”(Alessandro D’Avenia, L’appello, prologo, pag. 7, Mondadori, Milano, 2020).

Omero Romeo, laureato in chimica, una moglie: Maddalena e due figli: Pietro di nove anni e Penelope di tre, decide dopo cinque anni di ritornare a scuola, seppure ancora cieco, ma con tanta voglia di dare tutto quel che sa in Scienze, la materia che insegna. Eredita una classe quinta, abbandonata dalla professoressa precedente per morte repentina. L’Istituto scolastico, dove ottiene la nomina come supplente, è il Liceo Scientifico. La classe è composta da dieci alunni, molti pluriripetenti, problematici sotto ogni punto di vista. “Non sono stati distribuiti nelle altre classi perché la loro peste avrebbe contagiato altri: conveniva tenerli isolati e aspettare che l’infelicità si autodistruggesse. Proprio loro sono capitati a me, che avevo smesso di insegnare da cinque anni, e mi sono reso di nuovo disponibile: ho bisogno di sapere se ancora sono vivo. Einstein ha detto che Dio non gioca a dadi con l’universo, ma il supplente cieco mi sembra proprio un brutto tiro: precario nell’anima e nel corpo, fa da guida a precari del corpo e dell’anima. O è una commedia o è una tragedia, non ci sono vie di mezzo” (Ibidem, pag. 10).

Il Dirigente Scolastico, un tempo chiamato preside, fin dall’inizio del colloquio con il nuovo assunto, si rivela subito come persona insignificante. Dimostra una malcelata compassione verso il supplente, perché cieco. Davanti al proprio interlocutore, colto e arguto, evidenzia tutta la propria ignoranza. Si muove come uno che ha cento cose da fare ma in realtà fa ben poco per la propria scuola. Teme il giudizio del genitori. Non si sogna minimamente di scontrarsi con il Collegio Docenti né con il Consiglio di Istituto. Ha paura di tutto e di tutti. Ama l’ordine ma solo quando è assenza di fastidio. In mezzo a rompiscatole, lamentosi e inaciditi è diventato anche lui come i suoi interlocutori. Laureato in Filosofia, non crede più negli studi fatti, perché la vita gli ha insegnato altre cose, tra le quali il tirare a campare. Nel romanzo non ha nemmeno un nome.

Patrizia è la collaboratrice scolastica, un tempo chiamata bidella. Irrompe con tutta la simpatia nell’ufficio del preside, portando il caffè. Così si presenta al prof. Omero: “Buongiorno, professore. Io sono Patrizia, il lievito e il sale di questa scuola. Non mi si vede ma senza di me rimane tutto piatto e senza sapore. Il mio caffè  è noto in tutti i piani, risveglia dai sonni più duri e prepara alle battaglie più difficili contro la noia e l’ignoranza” (pag. 17). Conosce perfettamente ogni alunno/ a della classe affidata al professor Omero. Dice di loro: “Sono ragazzi talmente mal assortiti che non si può non volergli bene. Li ho adottati. Ci vorrà un po’ di pazienza all’inizio, ma basta prenderli per il verso giusto” (pag. 18). Oscar, un ragazzo, cresciuto senza padre, sbruffone, fragile e trasparente, passa di lì e si intrufola nel suo ufficietto per prendere un caffè, apostrofandola con un “Ciao, zi Patrì”. Oscar sarà un alunno del professor Romeo. Patrizia è la zia di tutti. Sa ascoltare le storie di ognuno per il quale ha sempre parole di conforto. Legge con avidità i romanzieri russi. Ha appena cominciato di leggere il dottor Zivago

Suona la campanella del primo giorno di scuola. Omero viene accompagnato in classe da Patrizia. Lo farà tutti i giorni. Lo accompagna in classe e lo riprende al termine della lezione, tutti i giorni per un intero anno scolastico. Tra i due nasce una comunità di affetti. La classe è un concentrato di casi difficili. Non vedendo gli alunni, Romeo propone loro di iniziare ogni lezione con l’appello. Spiega loro che il termine deriva da due parole latine: ad (preposizione) che significa verso e dal verbo pello, is, pellere, spingere. L’appello è spingere fuori da noi il nostro nome. L’appello non è però un momento burocratico ma occasione per dire chi siamo, quali sono i nostri sentimenti più profondi, i nostri ideali, le vittorie e le sconfitte. Propone agli alunni di iniziare la lezione scrivendo ognuno un proprio testo dove parlare di se stessi.

E’ una tecnica del tutto nuova per la classe. Nessuno mai si è interessato a scuola del vissuto che c’è dietro ad ogni alunno. Eppure il termine alunno deriva dal verbo latino: aluo, is, aluere. Significa alimentare, far crescere l’alunno stesso sotto ogni dimensione: umana, culturale, religiosa. “Per riuscire ad insegnare devo concentrarmi sulla presenza dei ragazzi e non sulle mie aspettative, devo lasciare che siano loro a venire alla luce e non io a illuminarli. Almeno ci devo provare… Allo stesso modo in cui io ho dovuto imparare a crescere mio figlio toccando il suo volto, ascoltando le sue parole e i suo silenzi. Eppure vorrei di nuovo vederlo. E mia figlia che non ho mai visto? Non riesco ad accontentarmi delle mie dita e della sua voce, anche perché se sono ancora qui a raccontare questa storia, lo devo a lei” (Ibidem, pag. 38). Il figlio si chiama Pietro, la figlia, Penelope.

La richiesta fatta dal professore di poter toccare i volti di ogni alunno, sconcerta qualcuno, altri sghignazzano all’idea, poi, dopo averne parlato, tutti l’accolgono. L’appello dura un intero anno scolastico. Ogni mese scandisce la divisione del romanzo in capitoli. Si va da settembre dell’anno appena incominciato a settembre di quello successivo. Gli alunni danno l’esame di maturità a giugno, ma ad agosto e a settembre si incontrano ancora con il docente. L’epilogo chiude il romanzo. I ringraziamenti dell’autore verso chi ha collaborato alla pubblicazione del romanzo sono i titoli di coda del libro.

La classe è così costituita: Elena è l’ultima inserita nella classe perché ripetente. Il papà ha voluto chiamare così la sua primogenita, prima che nascesse, perché ritiene che sia la più bella. Cesare, detto Ruggine, vive in una comunità, senza una mamma né un papà. Scrive canzoni “a rime martellate, alcune belle altre cagate, dove nasconde tutto il dolore e lo trasforma in urlo e in amore”. Achille è il genio del computer. Soffre d’asma. Assieme a Cesare costruirà un video che farà conoscere a tutti che cosa è l’appello voluto da Omero Romeo. Stella non ha più il papà, morto  per un tumore al pancreas, quando lei aveva solo dieci anni. Lui scriveva libri per bambini, l’ultimo è rimasto incompiuto. Sarà lei a continuare la passione ereditata dal padre. Oscar si chiama così perché destinato a fare cose grandi. La mamma glielo ripete sempre. Il papà se lo vedesse gli tirerebbe in faccia una gragnuola di pugni. E’ cresciuto solo con la mamma. Fa pugilato perché è la sola attività che lo tiene in piedi. Caterina si chiama così come Santa Caterina, una donna che non si piegava mai a compromessi. Fa volontariato in una casa per persone affette da diversi handicap. Ha capito, frequentando questo istituto, che “l’amore così com’è è quello che serve”. Ettore è vissuto per tanti anni con il nonno Giulio. Ora che è morto deve ritornare a vivere con i genitori, a turno perché separati, “come se un figlio si potesse amare a turno. Non è a turno che mi hanno messo al mondo, ma insieme”. Vuole rimanere a vivere da solo nella casa del nonno oppure sotto i ponti, ma andare a vivere a turno con i genitori, proprio non ne ha nessuna voglia. Elisa ama viaggiare e detesta il proprio corpo. E’ innamorata pazza della scrittrice Virginia Woolf; da grande vorrebbe somigliarle. Mattia è un ragazzo schiavo delle droghe. Ama Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud. Aurora è l’ultima dell’appello. Dulcis in fundo, dicevano i Romani, la parte dolce, meglio lasciarla per il finale. Cerca sempre il lato positivo delle cose per non soccombere nel buio.

Dieci nomi, dieci ragazzi/ e, dieci storie diverse. Il professore ringrazia gli alunni “per le storie che la vostra voce e il vostro volto hanno raccontato”. Le lezioni del professore prendono sempre l’avvio da qualcosa che lui nota  in quello che gli alunni raccontano, così è per tutto l’anno: forza di gravità, Elettromagnetismo, i fotoni, il buco nero. La Scienza, al pari di ogni altra disciplina, è sempre ancorata alla vita. Lo supporta una conoscenza sconfinata non ristretta alla materia che insegna ma le sue lezioni spaziano in ogni campo dello scibile umano: Arte, Musica, Letteratura, Filosofia, Storia. Il coinvolgimento emotivo e professionale cambia anche Omero, tanto che anche lui, al termine di ogni mese trascorso con gli alunni tiene aggiornato un proprio diario dal sapore vagamento proustiano: “Alla ricerca del tempo sprecato – Diario di un professore cieco”. E’ uno spazio in cui il professore ricorda la propria storia e il grande legame con la moglie e i due figli. Sono pagine ricche di aforismi e riflessioni.

I risultati a cui è giunta la Scienza sul mistero del cerchio oscuro, il buco nero, definito come “Orizzonte degli eventi” è il punto di partenza per gli alunni, invitati a raccontare ciò che inghiotte la luce di ognuno dal quale si vorrebbe tenersi lontani, ma la cui gravità è talmente forte che è impossibile sottrarvisi. Ogni alunno racconta in modo personale amarezze, sconfitte, delusioni. La classe risponde bene alla sperimentazione didattica perché ognuno si sente protagonista del proprio apprendimento e le conoscenze scientifiche, che vengono sempre dopo aver osservato, ragionato e verificato, soddisfano l’insegnante. Questi precisa quello che vuole dagli alunni: “Voglio che le vostre ricerche personali mostrino in che modo la conoscenza di un aspetto della realtà è conoscenza di voi stessi e viceversa, perché per ricreare la vita bisogna prima accoglierla dentro di sé” (Ibidem, pag. 158).

Il progetto prende quota. Gli alunni ne sono entusiasti. Cesare, appassionato di musica, mette in versi una propria poesia che canta ai propri compagni di classe. “Jo jo jo / facciamo brutto, bro / siamo una classe / siamo una famiglia / navighiamo in acque basse / rischiando ogni giorno la chiglia. // Jo jo jo jo / facciamo il nostro meglio, bro / abbiamo un capitano / che non vede con gli occhi / ma con le orecchie e con la mano / colpisce meglio di Rocky. // Jo jo jo jo / facciamo l’appello, bro / un nome alla volta / ciascuno racconta la sua storia / e ciascuno poi ti ascolta / e c’hai il tuo momento di gloria…”( Ibidem, pp. 110- 111). Achille, genio del computer, costruisce un video con la canzone stornellata da tutti gli alunni della classe. Tutti gli altri compagni della scuola vengono a conoscenza dell’Appello voluto dal professore Omero Romeo. Vogliono anche loro sperimentare il progetto. Il preside va su tutte le furie, minaccia di licenziare il professore. Non vuole grane né dai genitori né dagli altri insegnanti che vedono in Romeo l’idealista impenitente.

L’incontro – scontro di Omero Romeo con i colleghi di classe avviene al termine del primo trimestre. Sono pagine che sintetizzano due mondi contrapposti. Matematica, Storia e Filosofia, Arte, Religione, Virgilio da un lato, dall’altro, Omero da solo. Tutti i docenti non hanno un nome. Si identificano solo con la materia insegnata. Soltanto Virgilio ha un nome, è ovviamente quello di Latino ma è chiara la provocazione. Non ha nulla a che fare con il grande autore del passato. Omero ascolta le loro battute infelici. Sono le pagine più belle del romanzo. Dimostrano come a tutti non interessa affatto la storia dei ragazzi ma solo il programma da portare a termine. Commenta Omero: “Da un lato ci sono corpi che sanguinano e dall’altro una cultura che quei corpi li ignora e si compiace della propria freddezza, anche se la maschera con una calda partecipazione alla vita dell’uomo e al senso della realtà. Non so che farmene di questo umanesimo cerebrale assolutorio e raffinato gli preferisco un umanesimo carnale sporco e faticoso” (pag. 172). Tutti gli altri docenti accusano Omero di essere un sentimentale. A loro tocca solo il compito di istruire. Non si può istruire nessuno se non si ha la capacità di amare, risponde secco Omero ad Annamaria, docente di lettere: “Non si tratta di essere Freud o Maigret, ma di essere un po’ meno indifferenti del resto del mondo: a un adolescente non basta volergli bene, c’è bisogno che lo senta”, risponde con calma Omero Romeo. I

Annamaria, confida Omero a Patrizia, gli sembra un’arpia. Zia Patrizia lo riprende con fermezza. “Non mi toccare Annamaria”, gli risponde secca ma con garbo. Annamaria è stata ferita dalla vita. Era una delle insegnanti più entusiasta del lavoro che faceva, colta e preparata. La morte violenta del figlio suicidatosi, le ha tolto ogni speranza e l’ha come svuotata. Omero accetta il rimprovero e si accorge che anche lui non è esente da colpe: “Rimango in silenzio e mi rendo conto della fatica che faccio ad amare. Sono pieno di pregiudizi e incasello le persone prima ancora di averle ascoltate. Pretendo di vederle senza averle mai toccate” (pag. 181).

Deve trovare il momento di entrare in confidenza con la collega per tentare di dare un proprio contributo e sollevarla dalla situazione in cui è precipitata. D’altronde anche lui non ha raggiunto un equilibrio stabile. Ricorda che a seguito del responso avuto da chi lo curava, aveva tentato maldestramente di suicidarsi. Voleva buttarsi dal parapetto della propria casa dall’altezza di venti metri, invece non aveva calcolato che si trovava su uno scalino. Il salto era stato solo di mezzo metro. Il risultato, un capitombolo maldestro, tanto che Maddalena, la moglie, che passava di lì non si trattiene dalla risata, le era sembrato che Romeo stesse solo giocando.

L’appello continua. Il Dirigente, senza nome, piomba in classe, minaccia gli alunni, vietando loro di presentarsi agli esami di maturità. Gli altri docenti della classe protestano. Non può far nascere un caso per le posizioni idealiste del professore di Scienze, per altro solo supplente. Gli alunni mettono al muro il dirigente: “La smetta di trattarci come bambini manipolati: vi va bene solo quando siamo conformisti e se protestiamo in modo compiacente. Poi quando mettiamo il dito nella piaga dite che siamo manipolati, proprio perché vi fa male…” (pag. 197) Il piglio di Caterina, un’alunna della classe, è inconfondibile. Nel prosieguo della conversazione, il dirigente dimostra di essere del tutto ignorante. Confonde il movimento antinazista de “La Rosa Bianca” con un argomento di Botanica, eppure è laureato in Filosofia.

La stampa  viene a conoscere il progetto dell’Appello. Il dirigente minaccia di sospendere l’insegnante. Annamaria, al termine della lezione, in un giorno qualsiasi si avvicina a Romeo e gli chiede chi glielo fa fare: “Anch’io ero convinta che avrei salvato tante vite con la letteratura, ma c’è voluto poco a capire che si trattava di sogni. Ai ragazzi non importa nulla di nulla” (pag. 212). Rimane scossa quando Romeo le nomina il figlio. Non riesce a capire come lo sappia.  Il professore le rivela chi ci sia dietro al progetto: “L’amore con cui Dio fa tutte le cose”. La docente gli risponde che Dio non esiste e se mai esistesse, non è amore. Nel corso del colloquio Annamaria scoppia a piangere. Ha trovato in Romeo la spalla sulla quale riversare tutta la propria fragilità. Ambedue trovano nell’altro la spalla ideale per affrontare la vita.

Il contrasto con il dirigente intanto non accenna a placarsi. Cessa improvvisamente quando anche il ministro dell’Istruzione viene a conoscenza dell’appello, progetto che vorrebbe estendere a tutte le scuole del paese. Gli alunni vengono invitati a raccontare l’esperienza. Lo fanno davanti alla telecamera che sta registrando tutto. Ogni alunno presenta un proprio profilo. Il dirigente non sta nella pelle. Ha quasi la faccia tosta di far passare il progetto come nato nel Consiglio di Istituto. Vanità, voglia di essere protagonista, stare sulle prime pagine dei giornali è una tentazione alla quale nessuno si sottrae , soprattutto i mediocri, i voltagabbana, i meschini.

Con buona pace del dirigente e di tutti gli altri docenti della classe, gli alunni sostengono gli esami di maturità. Sono talmente affezionati al proprio professore cieco che vanno a casa sua per continuare l’appello. Quello che hanno imparato di Scienze non lo dimenticheranno mai perché ogni conoscenza acquisita è ancorata alla propria vita e a quella degli altri. Omero ha vinto, ma non contro la propria cecità. A darne la notizia è la figlia Penelope, quindici anni dopo l’esame di maturità sostenuta dagli alunni. All’epoca dell’appello Penelope aveva solo tre anni, ora ne ha diciotto. Nel corso dell’anno in cui il professore Romeo Omero era stato il loro supplente si erano messi d’accordo che, trascorsi quindici anni dall’esame di maturità, ogni alunno/ a avrebbe scritto un testo. Penelope, la destinataria di queste lettere le legge per tutti. E’ l’epilogo del romanzo, che aggiunge tenerezza, affettività, voglia di vivere nonostante tutto.

Scrive Penelope: “L’operazione a cui (il padre) si è sottoposto nell’anno della vostra maturità andò male perché si scoprì che cosa aveva originato la cecità, o in che cosa era degenerata. Lui però non volle dirvelo: non era il momento. Poco prima di morire mi consegnò la busta con le lettere in cui avevate scritto i vostri desideri e mi disse che sarei stata io ad aprirla insieme a voi, perché questo 14 settembre sarebbe caduto nell’anno del mio diciottesimo, la stessa età che avevate voi nell’anno trascorso insieme” (pag. 329).

Gli alunni, quindici anni dopo la maturità, parlano della propria vita. Mattia è insegnante, dopo aver studiato Lettere. Ha pubblicato la prima raccolta di poesie, Terra Madre. C’è una poesia dedicata a Romeo Omero. Tutte le mattine, in classe fa l’appello così come lo faceva il professore di Scienze.  Stella ha studiato astrofisica e fa parte di un gruppo di ricerca che si occupa delle onde gravitazionali. Ettore abita a Brooklyn, dove ha aperto un piccolo ristorante, Pappa Buona. Ha sposato una ragazza americana. Aspettano un figlio. Lo chiamerà Giulio, come il nonno. Elisa si trova in una piccola libreria assieme ad Andrea che sta sfogliando dei libri dedicati ai bambini, tra i quali quello scritto e illustrato da lei: La bambina blu.  Cesare lavora in una officina; con i soldi guadagnati si è comprato un taxi, è sposato e ha due bambini: Luce e Omero. Elena è diventata pediatra e ha una bambina che allatta. Vede ogni giorno centinaia di bambini dei quali si ricorda i nomi uno per uno. Oscar ha aperto una palestra di pugilato. L’ha chiamata Oscar con il proprio nome. Abita assieme alla madre che lo aiuta a tenere in ordine i conti, assieme alla moglie che lo aiuta a tenere in ordine la testa. Ha un figlio al quale ha dato il nome di Rocky 1. Zia Patrizia va a mangiare da lui una volta alla settimana. Achille è ingegnere informatico e fa ricerca in robotica applicata alle cure mediche al Mit. Soffre sempre d’asma. Aurora lavora come infermiera in un reparto di pediatria oncologica. Caterina è entrata in un convento di clausura. Confeziona marmellata con frutta di stagione.

L’appello è un romanzo dirompente che, attingendo a forme letterarie e linguaggi diversi – dalla rappresentazione scenica alla meditazione filosofica, dal diario all’allegoria politico- sociale e alla storia di formazione – racconta di una classe che da accozzaglia di strumenti isolati diventa un’orchestra diretta da un maestro cieco. Proprio lui, costretto ad accogliere le voci stonate del mondo, scoprirà che sono tutte legate da un unico respiro” (risvolto prima pagina di copertina del romanzo).  E’ un romanzo da leggere anche più volte, perché ogni volta si fa tesoro di cose sempre nuove. Una chiave di lettura è la condizione in cui vive la scuola. Gli atti di accusa sono numerosi. Gli aforismi e le riflessioni costituiscono un’altra chiave di lettura altrettanto valida. Se c’è un autore, che negli ultimi dieci anni ha dato lustro e dignità al mestiere del docente, questi è senz’altro Alessandro D’Avenia con i libri pubblicati. Validi sono anche gli articoli che pubblica ogni lunedì sul Corriere della Sera nella rubrica “Ultimo banco”.

 

Raimondo Giustozzi

 

 

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>