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Profondo russo La flotta oscura di Putin che solca i mari ed elude le sanzioni occidentali

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DI Massimiliano Coccia

Continua la nostra inchiesta nei gangli delle influenze russe e del potere putiniano in Europa. Questa volta una sensazionale modalità di trasferimento di armi, greggio, denaro sporco e beni di primo consumo: oltre mille navi che dal Baltico al Mediterraneo contrabbandano merce sottoposta a sanzioni, un circuito alternativo che tiene in piedi l’industria bellica del Cremlino.

 

Questo è il terzo di tre articoli di Massimiliano Coccia sulla rete della propaganda russa in Italia. Qui si può leggere il primo. Qui il secondo.

All’indomani dell’invasione criminale ed estesa dell’Ucraina del febbraio del 2022, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e tutti i partner occidentali hanno costantemente allargato i pacchetti di sanzioni contro personalità, entità, società e istituti bancari russi.  Nel primo anno del conflitto, le maglie strette della vigilanza internazionale e la capacità di riorganizzazione lenta del regime di Putin hanno permesso di fiaccare l’economia russa e depotenziarla nella sua produzione bellica.

Tuttavia, tra i venti della propaganda putiniana e una stanchezza delle classi politiche di alcuni Paesi del G7, le sanzioni vengono costantemente aggirate e la Russia in questi mesi ha messo in campo un’economia alternativa, costituita come abbiamo raccontato da un circuito valutario composto da criptovalute, scambi commerciali con Paesi terzi non interessati dalle sanzioni e un circuito di riciclaggio gestito dalla mafia russa che vede Alexander Torshin, ex vicegovernatore della Banca centrale russa e uomo di punta della feroce organizzazione mafiosa “Taganskaya Gang”, regista delle operazioni.

Le sanzioni europee, ad esempio, sul settore delle telecomunicazioni sono state nel corso del tempo allentate. Solo a settembre di quest’anno, su richiesta del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, Meta ha chiuso i media russi sanzionati da oltre due anni poiché artefici della diffusione di fake news e di informazioni distorte che hanno inquinato il dibattito pubblico e accusati di fare interferenza per conto del Cremlino.

Una mossa tardiva che ha poco a che fare col conflitto in Ucraina e più con le presidenziali americane che dimostra come l’incisività dei provvedimenti contro la propaganda russa sia stato davvero blanda. In Italia, ad esempio, oltre al fatto che i corrispondenti russi continuano a lavorare ed essere iscritti all’associazione Stampa Estera come se nulla fosse, le università italiane hanno ripreso in modo soft programmi di cooperazione non con gli atenei russi ma con strutture alternative, come associazioni, case editrici e personalità legate a doppio filo alle istituzioni russe.
I cosiddetti veicoli informali che riescono a sfuggire alle sanzioni in realtà sono frutto della negligenza e del controllo dei Paesi occidentali, che hanno delegato esclusivamente ai poteri ordinari delle forze di polizia una campagna che avrebbe necessitato di coordinamento e di piani di sorveglianza comuni.
Ma la storia più incredibile e significativa è quella della flotta oscura e della flotta grigia della Russia, una sorta di compagnia marittima composta da circa duemila petroliere acquistate aggirando le sanzioni, per vendere il petrolio, esportare merci, armi e denaro. Navi vecchie, rimesse in sesto nei cantieri navali dei Paesi africani o arabi, riverniciate, battenti bandiera liberiana e dotate di un sistema satellitare Ais. Questo sistema di geolocalizzazione viene disattivato e così questi vascelli mercantili navigano su rotte commerciali che sarebbero vietate, riuscendo ad esportare illegalmente milioni di barili di petrolio. Ma come fanno le navi a dialogare con autorità portuali e con la cellula di monitoraggio russa?

Ovviamente grazie ad una modalità criptata chiamata Dlt (Distributed ledger technologies), che sfrutta il principio della blockchain per trasferire le informazioni di spostamento e di trasferimento dei beni senza avere un server centrale, in questo modo le navi fantasma possono dialogare con unità esterne senza essere intercettate dalle autorità marittime, e possono condividere il diario di bordo con le organizzazioni criminali che attendono i carichi per portarli a destinazione.

I numeri sono impressionanti, secondo Vortexa, una società di analisi che si è occupata di catalogare le due flotte putiniane, rappresentano il diciotto per cento della flotta mondiale di carichi umidi. La flotta grigia conta circa novecento unità e rappresenta una brigata navale semiclandestina, che scompare e riappare sui radar, utilizzando false posizioni satellitari per deviare i controlli delle autorità.
Queste navi trasportano di tutto, secondo gli esperti della sicurezza marittima che abbiamo consultato. Oltre al petrolio, le navi russe portano pezzi di ricambio di macchine agricole, armi, munizioni, materiali metallici di alta precisione utilizzati dall’industria bellica del Cremlino. I porti del Mediterraneo sono meta di attracco, e in particolar modo quelli del sud Italia, dove in molti container vengono stipate merci registrate con altri codici di viaggio rispetto al contenuto originale.
A ogni carico corrisponde una società che ha messo in atto una strategia criminale. In Italia sono molte le realtà aziendali, anche insospettabili, che utilizzano società fittizie in paesi come l’Oman, Dubai, il Kazakistan per aggirare le sanzioni, incassare i pagamenti e far spedire la merce che viene poi stoccata nel territorio russo. Questo meccanismo di rimbalzo viene intercettato spesso dalle banche europee, che nei limiti del possibile bloccano le transazioni, quando sono sospette o evidenziano volumi inediti verso Paesi terzi. Ma la lotta è impari, mancando un’unità finanziaria di intelligence europea centralizzata che riesca a coordinare in modo efficace i milioni di dati che ogni giorno i circuiti bancari generano tramite la tariffa doganale comune, il volume delle transazioni e l’esposizione geografica.

Essendo le sanzioni lo strumento economico e diplomatico migliore per fermare la forza militare russa e la mattanza ucraina, non sarebbe il caso che coloro che chiedono misure alternative alle armi si battessero per una maggiore cooperazione tra le forze di polizia europee e mondiali, per un blocco dei mercati illegali e per l’interruzione di un flusso di denaro gestito dalla mafia russa in collaborazione con la Banca centrale di Mosca?

Non sarebbe anche il caso, dalle parti di Palazzo Chigi, di verificare come le entità di informazione russe continuino a lavorare nel nostro Paese? Per uno scherzo di tre comici russi abbiamo perso la faccia nel mondo, e anche uno dei migliori diplomatici atlantisti, Francesco Maria Talò, e la nostra attenzione sulla causa ucraina è andata via via scemando: non sarebbe ora che Giorgia Meloni e Matteo Salvini difendessero davvero i nostri confini e i nostri porti dai russi?

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