di Luigi Daniele
Se ogni conflitto viene visto come una risposta agli errori del passato, i paesi europei rischiano di non riconoscere le reali intenzioni di Cina, Russia e Iran che agiscono solo per consolidare il proprio potere e non per vendicarsi della Storia
Nel 1939, l’intelligence polacca aveva intuito gran parte delle intenzioni tedesche, preparando adeguati piani di difesa. La data scelta per l’attacco era il 26 agosto, ma il 25 l’annuncio dell’accordo di difesa anglo-polacco scosse Hitler, che posticipò la data. La Polonia disponeva di circa settecentomila unità, non sufficienti per i piani di difesa approntati: non si era potuto procedere con i riservisti a causa delle resistenze di Inghilterra e Francia che, memori di come le mobilitazioni fossero state decisive nel far scoppiare il primo conflitto mondiale, temevano che la Polonia fornisse il pretesto per l’invasione. Di fronte ai movimenti tedeschi ormai chiarissimi al confine, il 30 agosto la Polonia ordinò la mobilitazione, subito annullata per pressioni francesi, e poi riconfermata il giorno successivo nella confusione generale. Il primo settembre, la Germania attaccò.
Non sappiamo come sarebbe andata la seconda guerra mondiale se la Polonia avesse fornito una migliore difesa indebolendo i nazisti, e, come da piano originario, resistendo abbastanza da permettere a Francia e Inghilterra di creare un secondo fronte in tempi brevi. La Storia non si fa con i se e con i ma, eppure il dibattito attuale europeo e italiano ricorda molto quel timore anglo-francese verso le mobilitazioni che, alla prova dei fatti, ha solo peggiorato la situazione.
Sono sempre più numerosi i casi di attività russe in Europa e negli Stati Uniti: guardando solo agli scorsi giorni, per esempio, il referendum moldavo sull’Ue ha visto la Russia provare a orientare il voto, il capo dei servizi interni tedeschi in un’audizione al Bundestag ha parlato di «aumento qualitativo e quantitativo» dei tentativi di spionaggio e sabotaggio russi in Germania, negli Usa è stato scoperto un network russo che diffondeva falsi video e dichiarazioni di Kamala Harris, la Polonia ha chiuso il consolato russo di Poznan dopo la scoperta di alcuni sabotaggi informatici.
Se volessimo ampliare il periodo considerato, potremmo parlare del piano per uccidere il Ceo dell’azienda Rheinmetall, fondamentale nel sostegno all’Ucraina, svelato a luglio; andando ancora più indietro, arriviamo fino alle operazioni per influenzare il referendum sulla Brexit nel 2016 o ai casi segnalati dalla commissione del Parlamento Europeo contro le interferenze straniere.
Di fronte all’aumento del numero e della gravità delle attività russe in occidente, è sempre più assurda la convinzione, radicata in alcuni settori politici ed editoriali, che la responsabilità di ogni escalation globale rimandi sempre, in ultima analisi, a un atto occidentale iniziale. Tralasciando i casi in cui questa convinzione è puramente strumentale (che nel nostro Paese trova esempi quotidiani), vale la pena chiedersi come faccia però a trovare ascolto in quei settori che la rilanciano in assoluta buona fede.
La critica legittima (e spesso fondata) di alcune stagioni della politica estera di vari Paesi occidentali, che parte dal golpe cileno e può arrivare fino a Libia a Iraq, può giustificare fino a un certo punto lo scetticismo degli occidentali verso se stessi, l’auto-inquadrarsi sempre come colpevoli. Attribuirsi la responsabilità di ogni conflitto nel mondo, in fin dei conti, è rassicurante, perché vuol dire che una volta cessati i nostri comportamenti incriminati, spariranno anche i conflitti stessi per logica conseguenza.
Ma è un meccanismo psicologico fallace, che in ultima analisi conferma l’eurocentrismo che spesso vuole combattere: non ogni atto o strategia di un attore globale nasce in reazione all’occidente, non ogni aggressione nasce da un bisogno di difesa. Ad esempio, possiamo raccontarci quanto vogliamo la storiella della Russia che invade l’Ucraina perché «circondata dalla Nato» ma la realtà ci dice che è stata proprio l’invasione a spingere altri due Paesi a entrare nel patto atlantico. La verità è che, ovviamente, gli altri attori globali prendono le loro scelte e decidono le loro strategie altrettanto liberamente quanto i soggetti occidentali. Di fronte a un conflitto, insomma, non è detto che la colpa sia occidentale, e il sostegno di Kissinger a Videla non dice nulla sulla giustezza del sostegno dell’Ue all’Ucraina.
Il rifiuto di accettare questa verità di una parte dell’opinione pubblica, del giornalismo e della politica non ha soltanto il prezzo, già non secondario, di mistificare la politica internazionale e la provenienza dei conflitti, ma soprattutto quello di renderci meno preparati ad affrontare il contesto attuale. In uno scenario di warfare ibrido sempre più consistente e torbido, la capacità delle nostre società di rendersi sempre meno vulnerabili sul piano informativo è fondamentale per contrastare ogni atto ostile e ogni tentativo di influenzare l’opinione pubblica e le varie tornate elettorali.
In un Paese e in un’Europa dove parte del dibattito considera ogni allarme sulla Russia e ogni affermazione della necessità di difendere militarmente e politicamente l’Ucraina come un atteggiamento guerrafondaio, anziché come una consapevolezza vitale dell’aggressività russa e dell’urgenza di stabilire linee rosse, si rischia di rimanere impantanati anche sulle policies e sulle misure necessarie per contrastare queste minacce.
Se ci convinciamo che ogni nostro atto è, per il fatto stesso di essere nostro, causa di un’escalation, tacendo al tempo stesso su ogni atto altrui (quando non addirittura lo giustifichiamo in un meccanismo perverso di autoflagellazione), ci paralizziamo. Con tutti i rischi che ciò comporta, specialmente qualora il warfare degli altri da ibrido diventasse effettivo, come dimostrano le sempre più numerose evidenze di soldati nord coreani pronti a unirsi ai russi sul fronte ucraino.
Se evitare l’escalation è una priorità, lo è anche abituare le nostre società a chiedersi cosa davvero, ne causi una, e quali soggetti si nascondono dietro ogni azione remissiva. Nel contesto attuale, è fondamentale mettere sempre più nettamente l’opinione pubblica di fronte al fatto che ci troviamo in un contesto di warfare ibrido, e che sarà necessario reagire. Il rischio è quello di diventare troppo simili alle cancellerie che nel 1939 complicarono enormemente la reazione polacca di fronte alla ormai certa invasione tedesca.
Unione Europea, Linkiesta, 26 ottobre 2024
di Luigi Daniele
Invia un commento