Una grande stagione di prosa per un grande Teatro, quello dell’Aquila di Fermo. Si consolida e cresce la proposta per la stagione 2024-25 – promossa dal Comune di Fermo con l’AMAT e il contributo di Regione Marche e MiC – passando da due a tre rappresentazioni per i nove spettacoli in abbonamento a cui si aggiungono quattro fuori abbonamento per un totale di trentuno appuntamenti.
Indiscusso maestro del teatro europeo Antonio Latella firma la regia de La Locandiera dal 22 al 24 ottobre affidandone l’interpretazione ad attori di grande maestria quali Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Annibale Pavone, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo. Gli straordinari Umberto Orsini e Franco Branciaroli si ritrovano insieme per dare vita dal 22 al 24 novembre a I ragazzi irresistibili di Neil Simon, un omaggio al mondo degli attori, alle loro piccole e deliziose manie e tragiche miserie. La regia è di Massimo Popolizio che ritrova nei due protagonisti quei compagni di strada con i quali ha condiviso tante esperienze tra le più intense e significative del teatro di questi anni. Max Giusti smette i panni del Marchese del Grillo e torna a indossare l’abito da mattatore dal 6 all’8 dicembre in Bollicine. Un Max inedito racconta al pubblico confessioni a cuore aperto in un clima di festa, con le immancabili bollicine. È dedicato alla figura del ragionier Ugo Fantozzi, vera e propria maschera da commedia dell’arte inventata dalla penna di Paolo Villaggio – che ne è stato anche fortunato interprete – il racconto che sulla scena prende il volto di Gianni Fantoni dal 17 al 19 dicembre con Fantozzi. Una tragedia. Attraverso una scenografia prettamente ‘uditiva’, che si è avvalsa della collaborazione di Fabio Frizzi, compositore delle musiche dei film, Davide Livermore ha compiuto un’attenta selezione dai libri di Villaggio rispettando la poesia altissima e la comicità di cui il regista, scrittore e attore genovese, è stato capace. Ambra Angiolini, diretta da Giorgio Gallione, grazie alla scrittura limpida, poetica, teatralissima e immaginifica di Viola Ardone, in Oliva Denaro porta in scena dal 17 al 19 gennaio la storia di tutte le donne che ancora oggi pensano e temono di non aver scelta, costrette da una legge arcaica e indecente ad accettare un aguzzino e un violentatore tra le mura di casa. Una storia di ieri e di oggi, che parla di libertà, civiltà e riscatto. Ferzan Ozpetek torna a teatro con il nuovo adattamento scenico di uno dei suoi successi cinematografici, Magnifica presenza che giunge a Fermo dal 31 gennaio al 2 febbraio. Il regista, tra i più amati del nostro cinema, fa rivivere in teatro uno dei suoi film cult portando con sé in questa avventura Serra Yilmaz, Tosca D’Aquino ed Erik Tonelli, grandi protagonisti di questa commedia tra illusione e realtà, sogno e verità, amore e cinismo, cinema, teatro e incanto. Nel 2024 si festeggiano 50 anni dal mitico debutto di uno degli spettacoli più longevi e amati dagli italiani, Aggiungi un posto a tavola di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, scritto con Jaja Fiastri, musiche di Armando Trovajoli. Il Teatro dell’Aquila l’accoglie dal 14 al 16 febbraio. Nel ruolo di Don Silvestro Giovanni Scifoni, attore stimato ed amato dal pubblico. Special guest Lorella Cuccarini nel ruolo di Consolazione. “La voce di lassù”, interpretata da Enzo Garinei per quattro stagioni, verrà mantenuta in suo onore. Andato in scena per la prima volta nel 1988, con lo stesso Nino Manfredi nei panni del protagonista, Gente di facili costumi è un testo considerato ancora oggi uno dei più eclatanti degli ultimi decenni. A portarlo in scena dall’11 al 13 marzo una coppia d’eccezione come Flavio Insinna e Giulia Fiume diretti da Luca Manfredi. La stagione in abbonamento volge al termine dall’8 al 10 aprile con Neri Marcorè nello spettacolo di teatro canzone diretto da Giorgio Gallione che fa rivivere sul palcoscenico La buona novella, album di Fabrizio De André pubblicato nel 1970 e costruito quasi nella forma di un’opera da camera con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi, Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo.
La stagione teatrale si arricchisce di quattro spettacoli fuori abbonamento. Il 14 e 15 gennaio attesissimo il musical Mare fuori, trasposizione teatrale della serie tv cult. Scritto da Cristiana Farina, Maurizio Careddu e Alessandro Siani, diretto da Alessandro Siani, il musical ha tra i suoi interpreti anche alcuni dei volti più amati della serie tv. Tra questi, Maria Esposito, per tutti Rosa Ricci, personaggio rivelazione e tra i protagonisti indiscussi di Mare fuori e il cantautore Andrea Sannino nel ruolo di Beppe Romano. Spazio alla danza il 24 gennaio con Cenerentola nell’esclusiva versione creata da Giorgio Madia per il Balletto di Milano. La stagione del Teatro dell’Aquila il 6 giugno vede in scena Europeana, un susseguirsi di scampoli, brandelli, flash dalla storia europea novecentesca del praghese Patrik Ourednik. Una storia di mille storie, in cui si getta uno straordinario interprete come Lino Guanciale, avvolto dai frammenti musicali del fisarmonicista sloveno Marko Hatlak. Miti pop, vestiti sgargianti, primi videogames ma soprattutto divertimento e tanta musica 80 voglia di…”80. Il musical (data da definire), è un’occasione per riascoltare canzoni passate alla storia (Duran Duran, Wham, Europe, Whitney Houston, ma anche Ricchi e Poveri, Heather Parisi e tanti altri). Sul palco, insieme al protagonista Manuel Mercuri (performer, acrobata ballerino e content creator internazionale che vanta più di 38 milioni di follower tra Tik Tok, Instagram e YouTube), una compagnia di 10 scatenati performer. Lo spettacolo è nato da un’idea di Paolo Ruffini, scritto dalla mano esperta di Gianfranco Vergoni e come tutti i lavori della Compagnia dell’Alba ha la direzione musicale di Gabriele de Guglielmo e la regia e le coreografie di Fabrizio Angelini.
Nuovi abbonamenti dal 5 ottobre. Informazioni biglietteria del teatro 0734 284295, AMAT 071 2075880.
DAL 22 AL 24
OTTOBRE
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
con Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel
Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti
Annibale Pavone, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo
regia Antonio Latella
dramaturg Linda Dalisi
scene Annelisa Zaccheria
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
assistente alla regia Marco Corsucci
assistente alla regia volontario Giammarco Pignatiello
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
Penso a Café Müller di Pina Bausch. Penso ad una donna nata e cresciuta nella Locanda. Un luogo-mondo che accoglie infiniti mondi.
Nel testo goldoniano il tema dell’eredità è il punto cardine di tutto.
Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la Locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore della Locanda. In questo credo che ci sia una inconsapevole identificazione del padre con il servo, come erede virtuale in quanto maschio. Più che un uomo per la figlia, il padre sceglie un uomo per la Locanda, un uomo pronto a tutto pur di proteggere la Locanda.
Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la Locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro paese si riscriverà, la storia che in qualche modo ci riguarda tutti. Goldoni fa anche un lavoro sulla lingua, accentuando un italiano toscano. Per essere Mirandolina bisogna essere capaci di mettersi al servizio dell’opera, ma anche non fare del proprio essere femminile una figura scontata e terribilmente civettuola, cosa che spesso abbiamo visto sui nostri palcoscenici. Spesso noi registi abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con questa opera, la abbiamo ridimensionata, cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale. Siamo davanti a un manifesto teatrale che dà inizio al teatro contemporaneo, mentre per una assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io. Spero, però, di rendere omaggio a un maestro che proprio con Goldoni ha saputo riscrivere parte della storia teatrale italiana: parlo di Massimo Castri. Antonio Latella
DAL 22 AL 24
NOVEMBRE
I RAGAZZI IRRESISTIBILI
di Neil Simon
traduzione Masolino D’Amico
con Umberto Orsini, Franco Branciaroli
e con Flavio Francucci, Chiara Stoppa, Eros Pascale, Emanuela Saccardi
regia Massimo Popolizio
scene Maurizio Balò
costumi Gianluca Sbicca
luci Carlo Pediani
suono Alessandro Saviozzi
produzione Teatro de Gli Incamminati, Compagnia Orsini, Teatro Biondo Palermo
in collaborazione con CTB Centro Teatrale Bresciano
e con AMAT e Comune di Fabriano
I due protagonisti della commedia di Neil Simon, giustamente giudicato uno dei maggiori scrittori americani degli ultimi cinquant’anni, sono due anziani attori di varietà che hanno lavorato in coppia per tutta la loro vita dando vita ad un duo diventato famoso come “I ragazzi irresistibili” e che, dopo essersi separati per insanabili incomprensioni, sono chiamati a riunirsi, undici anni dopo, in occasione di una trasmissione televisiva che li vuole insieme, per una sola sera, per celebrare la storia del glorioso varietà americano. In scena vediamo i due vecchi attori che, con le loro diverse personalità, cercano di ricucire quello strappo che li ha separati per tanti anni nel tentativo di ridare vita ad un numero comico che li ha resi famosi. Le incomprensioni antiche si ripresentano più radicate e questa difficile alchimia è il pretesto per un gioco di geniale comicità e di profonda melanconia. Certi scambi di battute e situazioni esilaranti sono fonte non solo di comicità ma anche di uno sguardo di profonda tenerezza per quel mondo del teatro che, quando vede i suoi protagonisti avviati sul viale del declino, mostra tutta la sua umana fragilità. Umberto Orsini e Franco Branciaroli si ritrovano insieme per ridare vita a questo testo, che in questi anni è diventato un classico, nel tentativo di cogliere tutto quello che lo rende più vicino al teatro di un Beckett (Finale di Partita) o addirittura a un Čechov (Il Canto del Cigno) piuttosto che a un lavoro di puro intrattenimento. In questo omaggio al mondo degli attori, alle loro piccole e deliziose manie e tragiche miserie, li affianca la regia di Massimo Popolizio che ritrova nei due protagonisti quei compagni di strada coi quali ha condiviso tante esperienze tra le più intense e significative del teatro di questi anni.
Ispirata alla vita di una famosa coppia di artisti del vaudeville, Joe Smith e Charles Dale, The Sunshine Boys di Neil Simon debuttò a Broadway nel 1972 con la regia di Alan Arkin. Numerosi e di grande successo nei decenni successivi gli allestimenti teatrali in tutto il mondo e, con la sceneggiatura dell’autore, pluripremiata la versione cinematografica del 1975 diretta da Herbert Ross, protagonisti Walter Matthau e George Burns. Del 1995 è la trasposizione per il piccolo schermo statunitense affidata a due stelle di prima grandezza: Woody Allen e Peter Falk.
DAL 6 ALL’8
DICEMBRE
BOLLICINE
di Max Giusti e Giuliano Rinaldi
interpretato e diretto da Max Giusti
in scena con la SuperMaxBand:
Fabio Di Cocco pianoforte
Pino Soffredini chitarre
Fabrizio Fasella basso
Daniele Natrella batteria
produzione Lea Production
Max Giusti smette i panni del Marchese del Grillo e torna a indossare l’abito da mattatore.
Bollicine perché da sempre accompagnano le serate più festose, i momenti in cui c’è qualcosa da brindare. Davanti alle bollicine ci si lascia andare a delle confidenze più particolari, quelle che lo showman sarà pronto a fare al suo pubblico. All’apice della sua maturità, personale e professionale Max è pronto a dire le sue verità più scomode perché se le parole sono sempre politicamente corrette, il pensiero non lo è mai. È un Max inedito, che racconta al pubblico quello che nella vita di tutti i giorni non direbbe mai nemmeno al suo migliore amico. Confessioni a cuore aperto in un clima di festa, con le immancabili bollicine.
DAL 17 AL 19
DICEMBRE
FANTOZZI
UNA TRAGEDIA
con Gianni Fantoni
regia Davide Livermore
produzione Teatro Nazionale Genova, Enfi Teatro Nuovo, Teatro Parioli
Paolo Villaggio è stato un acuto osservatore del nostro tempo, un testimone unico, sagace che ha raccontato come pochi altri decenni di storia e vita italiana attraverso quei personaggi che – da grande attore comico – ha saputo creare. La sua narrazione è stata una critica sociale aguzza, una ricostruzione di un mondo osservato per paradossi, nelle sue contraddizioni prima della sua definitiva dissoluzione.
Fantozzi, Fracchia, Krantz, e poi la moglie Pina, la figlia Mariangela, i colleghi Fracchia, Filini, Calboni, la signorina Silvani sono tessere di un mosaico, sono maschere di una rinnovata commedia dell’arte, con cui Paolo Villaggio ha dato voce a una categoria umana oscillante tra opportunismo e cattiveria, tra piaggeria e violenza, tra disincanto e feroce arrivismo. A partire dagli anni Settanta del Novecento, questi personaggi hanno segnato l’immaginario collettivo, hanno creato un linguaggio prima inesistente talmente forte ed originale da determinare il parlare comune.
Villaggio registra, come un sismografo sensibilissimo, l’esplosione di un mondo segnato dai padroni – quei Megadirettori Galattici e Naturali tanto simili a divinità – e dai “servi”, ovvero la “mostruosa” genia impiegatizia, approfittatrice, servile: un coro in perenne lotta per la sussistenza.
Nella visione registica di Davide Livermore, a leggere bene le pagine di Villaggio, allora, torna emblematicamente l’eco di tragedie classiche, di destini segnati e ineluttabili, di peripezie che portano all’unica soluzione possibile: la disfatta.
In scena è l’attore Gianni Fantoni, che è stato a lungo a fianco di Paolo Villaggio, e ne ha ereditato la maschera scenica (in un passaggio di consegne fortemente voluto da Villaggio stesso) a dare voce e gesti ad un possibile Fantozzi di oggi. Sempre di nuovo pronto a dar battaglia.
FUORI ABBONAMENTO
14 E 15
GENNAIO
MARE FUORI
IL MUSICAL
scritto da Cristiana Farina, Maurizio Careddu, Alessandro Siani
con Andrea Sannino
cast Antonio Orefice, Maria Esposito, Mattia Zenzola
Giuseppe Pirozzi, Enrico Tijani, Antonio D’Aquino
Giulia Luzi, Carmen Pommella, Emanuele Palumbo
Leandro Amato, Antonio Rocco, Christian Roberto
Giulia Molino, Bianca Moccia, Angelo Caianiello
Pasquale Brunetti, Yuri Pascale Langer, Sveva Petruzzellis
Benedetta Vari, Anna Capasso, Fabio Alterio
regia Alessandro Siani
direzione musicale e arrangiamenti Adriano Pennino
produzione Best Live
© rai radio televisione italiana – picomedia SRL
Mare Fuori, la serie tv più amata dal pubblico italiano, per la prima volta a teatro. Il successo fenomenale di Mare Fuori diventa infatti una nuova sfida musicale, con i brani originali della serie.
Il musical, diretto da Alessandro Siani e prodotto da Best Live, ha debuttato lo scorso dicembre e ha tra i protagonisti, anche alcuni tra i volti più amati della serie tv. Tra questi, Maria Esposito, per tutti Rosa Ricci, personaggio rivelazione e tra i protagonisti indiscussi della serie.
La location è il carcere minorile di Nisida, si narra in modo profondo e crudo la vita di un gruppo di ragazzi all’interno di un istituto penitenziario: dietro le sbarre, guardando oltre, si affaccia un mare libero e immenso, una sogno, un miraggio. La detenzione è ancora più dura guardando il “Mare fuori”.
DAL 17 AL 19
GENNAIO
OLIVA DENARO
dal romanzo di Viola Ardone
interprete e collaborazione alla drammaturgia Ambra Angiolini
drammaturgia e regia Giorgio Gallione
scene e costumi Guido Fiorato
disegno luci Marco Filibeck
musiche Paolo Silvestri
produzione Goldenart Production, Agidi
C’è una storia vera, e c’è un romanzo. La storia vera è quella di Franca Viola, la ragazza siciliana che a metà degli anni 60 fu la prima, dopo aver subito violenza, a rifiutare il cosiddetto “matrimonio riparatore”. Il romanzo prende spunto da quella vicenda, la evoca e la ricostruisce, reinventando il reale nell’ordine magico del racconto. All’inizio Oliva è una quindicenne che nell’Italia di quegli anni, dove la legge stabiliva che se l’autore del reato di violenza carnale avesse poi sposato la “parte offesa”, avrebbe automaticamente estinto la condanna (anche se ai danni di una minorenne), cerca il suo posto nel mondo. E, in un universo che sostiene che “la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia”, Oliva ci narra, ormai adulta, la sua storia a ritroso, da quando ragazzina si affaccia alla vita fino al momento in cui, con una decisione che suscita scandalo e stupore soprattutto perché inedita e rivoluzionaria, rifiuta la classica “paciata” e dice no alla violenza e al sopruso. Una storia di crescita e di emancipazione che scandaglia le contraddizioni dell’amore (tra padri e figlie, tra madri e figlie) e si insinua tra le ambiguità del desiderio, che lusinga e spaventa. Ma Oliva, proprio come Franca Viola, decide di essere protagonista delle proprie scelte, circondata da una famiglia che impara con lei e grazie a lei a superare ricatti, stereotipi e convenzioni. Un padre che frequenta il silenzio e il dubbio, ma che riuscirà a dire alla figlia “se tu inciampi io ti sorreggo”, e una madre che, dapprima più propensa a piegarsi alla prepotenza e al fatalismo, riuscirà infine a spezzare le catene della sottomissione e della vergogna. Grazie alla scrittura limpida, poetica, teatralissima e immaginifica di Viola Ardone, Oliva Denaro diventa così la storia di tutte le donne che ancora oggi pensano e temono di non aver scelta, costrette da una legge arcaica e indecente (lo stupro fino al 1981 era considerato solo oltraggio alla morale e non reato contro la persona) ad accettare un aguzzino e un violentatore tra le mura di casa. Una storia di ieri e di oggi, che parla di libertà, civiltà e riscatto.
Ho incontrato per la prima volta Oliva Denaro parecchio tempo fa, grazie al libro di Viola Ardone, che stava per essere pubblicato, conservo la copia unica che ho fatto solo recentemente firmare a Viola. Resto sempre quella che “non ci può credere” e non per falsa umiltà, ma per consapevolezza della precarietà: finché c’è, voglio godermi tutti e poter chiedere anche gli autografi (rido seriamente).
La voglia di far conoscere questa storia è nata subito: leggi una pagina e dentro ci trovi tanto di quel posto che si chiama “coraggio”, che non vedi l’ora di prenderci la residenza. Quella volta però non è andata a buon fine la collaborazione, purtroppo stavo lottando per zittire delle chiacchiere sul mio privato… stavo comunque “lavorando” sul personaggio mio malgrado e nemmeno lo sapevo.
Il regista Giorgio Gallione ne acquista i diritti, qualche anno dopo, proprio lui con cui lavoro e torno sempre a casa, il primo folle che mi ha detto: “Ce la farai tu, con le tue risorse” a partire dal mio battesimo teatrale con il monologo La misteriosa scomparsa di W di Stefano Benni. Così è nato questo progetto. Destino… nessuna magia, quella l’abbiamo messa tutta sul palco.
Oliva Denaro, ispirata alla vera storia di Franca Viola, racconta la storia di tante donne attraverso questa ragazza, che diventa una eroina grazie al valore del primo vero “no”. È ribelle e contraria ma con rispetto e gentilezza. La sua ribellione passa per il desiderio di conoscenza, per la sua curiosità. Oliva è un’eroina che come super potere ha anche quello di saper ascoltare gli altri. Quando non sa ascolta, quando non comprende chiede. E quando non le viene risposto… “io non sono favorevole”. È talmente bella da portare in scena questa piccola grande vita, che uno si sente meglio già solo a raccontarla, questa storia.
Ho lavorato insieme a Giorgio alla drammaturgia e gli sono grata per questo lavoro insieme perché non tutti i registi hanno voglia di aprirsi ad un confronto così bello e formativo. Amo molto il mio lavoro e amo scoprirlo come una matrioska in ogni suo aspetto. Abbiamo lavorato dal romanzo al testo teatrale cercando di preservarne la ricchezza e rispettandolo con attenzione e cura. Solo nel finale ho chiesto di poter inserire delle parole di Franca Viola tratte dalle sue interviste, sentivo il bisogno di una parte di “verità legale”.
In questo momento le storie delle persone che con le loro scelte e il loro coraggio hanno cambiato il corso degli eventi anche per me, quelle che hanno tolto il prefisso negativo “in” dalla parola GIUSTIZIA… Mi piace farle vivere vicine. Ambra Angiolini
Un romanzo di formazione che trasuda teatro. Una storia di coraggio, emancipazione e coscienza di sé. Una scrittura evocativa e profonda dove la voce della protagonista, delicata e rabbiosa, riesce ad essere contemporaneamente racconto personale e collettivo. Una storia ‘al femminile singolare’ che si trasforma progressivamente e quasi eroicamente in un canto di libertà. Giorgio Gallione
FUORI ABBONAMENTO
24
GENNAIO
CENERENTOLA
balletto in due atti su musica di Gioachino Rossini
coreografia Giorgio Madia
con i danzatori del Balletto di Milano
scenografie e costumi Cordelia Matthes
L’esclusiva versione creata da Giorgio Madia per il Balletto di Milano è in scena con grande successo dal 2011. Produzione che ha vinto importanti riconoscimenti internazionali tra cui il prestigioso Gold Critics Award, Cenerentola ha conquistato migliaia di spettatori soprattutto per la genialità della messinscena: dal controluce iniziale che spiega come Cenerentola si ritrovi a vivere con matrigna e sorellastre, alla tappezzeria della casa identica agli abiti di Cenerentola per sottolinearne lo status all’interno della famiglia, alla carrozza con i suoi cavalli danzanti, alla fata sbadata e sensuale, fino al principe, naturalmente azzurro.
Spassosissimo il trio en travesti matrigna/sorellastre: incredibili gag si susseguono dall’inizio alla fine trascinando il pubblico in immancabili applausi a scena aperta. Estrosa ed in linea con lo spettacolo anche la scelta musicale che preferisce Rossini alla consueta partitura di Prokof’ev: il compositore pesarese con la sua musica frizzante, ironica e spiritosa è perfetto per rappresentare una fiaba fatta di carrozze, cavalli e scarpette di perraultiana memoria.
DAL 31 GENNAIO
AL 2 FEBBRAIO
MAGNIFICA PRESENZA
uno spettacolo di Ferzan Ozpetek
con Serra Yilmaz, Tosca D’Aquino
Erik Tonelli
e con Toni Fornari, Luciano Scarpa
Tina Agrippino, Sara Bosi, Fabio Zarrella
scene Luigi Ferrigno
costumi Monica Gaetani
luci Pasquale Mari
produzione Nuovo Teatro
in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
Ferzan Ozpetek torna a teatro con il nuovo adattamento scenico di uno dei suoi successi cinematografici, Magnifica presenza. Il regista, tra i più amati del nostro cinema, prosegue così il percorso inaugurato con Mine vaganti e fa rivivere in teatro uno dei suoi film cult portando con sé in questa avventura una compagnia di attori esplosivi: Serra Yilmaz, Tosca D’Aquino, Erik Tonelli, Toni Fornari, Luciano Scarpa, Tina Agrippino, Sara Bosi, Fabio Zarrella saranno i grandi protagonisti di questa commedia tra illusione e realtà, sogno e verità, amore e cinismo, cinema, teatro e incanto.
DAL 14 AL 16
FEBBRAIO
AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA 50°
commedia musicale di Garinei e Giovannini
scritta con Jaja Fiastri
musiche Armando Trovajoli
liberamente ispirata ad After me the deluge di David Forrest
con Giovanni Scifoni
special Guest Lorella Cuccarini
“La Voce di Lassù” è di Enzo Garinei
e con Marco Simeoli, Sofia Panizzi
Francesco Zaccaro, Francesca Nunzi
regia originale Pietro Garinei e Sandro Giovannini
ripresa teatrale Marco Simeoli
ensemble
Alessandro Di Giulio
Chiara Albi, Simone Baieri, Giuseppe Bencivenga, Vincenza Brini
Nico Buratta, Giuditta Cosentino, Francesco De Simone
Anna Di Matteo, Stefano Martoriello, Eleonora Peluso
Annamaria Russo, Rocco Stifani, Ylenia Tocco
scenografie e progetto originale Giulio Coltellacci
adattamento scenografico Gabriele Moreschi
costumi e disegni originali Giulio Coltellacci
adattamento Francesca Grossi
disegno luci Emanuele Agliati
disegno fonico Emanuele Carlucci / Tommaso Macchi
direttore di produzione Carlo Buttò
supervisione artistica Alessandro Longobardi
coreografie originali Gino Landi
riprese da Cristina Arrò
direzione musicale Maurizio Abeni
produzione Viola Produzioni
Cinquanta… e non li dimostra!
Nel 2024 si festeggeranno 50 anni dal mitico debutto di uno degli spettacoli più longevi e amati dagli italiani. Alessandro Longobardi per Viola produzioni – Centro di Produzione Teatrale, presenta la nuova edizione di Aggiungi un posto a tavola di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, scritta con Jaja Fiastri, con le musiche composte da Armando Trovajoli. Dopo quattro stagioni di grande successo, e dopo il debutto al Teatro Nazionale nel mese di marzo 2024 lo spettacolo partirà con il nuovo tour dal Teatro Brancaccio di Roma a novembre 2024 con un nuovo prestigioso cast che continuerà ad emozionare il pubblico di ogni generazione.
In questa edizione la messa in scena della regia originale di Garinei e Giovannini è stata affidata a Marco Simeoli che dichiara: «Dopo quasi 800 repliche eseguite nei ruoli di Toto e poi del Sindaco, che manterrò in questa nuova edizione, sono davvero emozionato per questo incarico. Ringrazio la produzione e gli autori per la fiducia accordatami; una grande responsabilità che affronto con entusiasmo e impegno. Voglio fare un’edizione indimenticabile che onori gli autori che nel 1974 concepirono una delle più belle commedie musicali italiane dal successo inossidabile».
Nel ruolo di Don Silvestro Giovanni Scifoni, attore stimato ed amato dal pubblico.
«Un desiderio che diviene realtà! È la prima volta che partecipo a una grossa produzione musical. Mio padre mi fece vedere Aggiungi un posto a tavola in televisione che avevo 6 anni, mi ricordo ogni gesto. Sono entusiasta e terrorizzato; non vedo l’ora di dare il mangime alla colomba».
Special Guest Lorella Cuccarini nel ruolo di Consolazione.
«Un altro sogno che si avvera; Aggiungi un posto a tavola fu la prima commedia musicale della mia infanzia. La vidi più volte con cast diversi, conoscevo a memoria tutte le canzoni e da adolescente mi immaginavo sul palco come Clementina. A distanza di 50 anni, ho il privilegio di farne parte, nel ruolo sfidante di Consolazione: un personaggio nuovo per me, divertente e ironico. Un ruolo iconico che è stato interpretato da stelle della commedia musicale come Bice Valori e Alida Chelli. mi impegnerò per non essere da meno».
“La voce di lassù”, interpretata da Enzo Garinei per quattro stagioni, verrà mantenuta in suo onore. Nel ruolo del Sindaco ritroveremo Marco Simeoli, nel ruolo di Clementina debutta Sofia Panizzi e Toto sarà interpretato da Francesco Zaccaro. Francesca Nunzi è confermata nel ruolo di Ortensia.
Completano il cast artistico 16 performer.
Il cast creativo è composto dal direttore musicale Maurizio Abeni, già assistente di Armando Trovajoli; Gabriele Moreschi, scenografo che ha adattato il progetto originale di Giulio Coltellacci della celebre e ingegnosa scenografia con il doppio girevole e la grande arca; Francesca Grossi che ha adattato i disegni originali dei raffinati costumi, anche questi di Giulio Coltellacci. Il disegno luci è di Emanuele Agliati; il disegno fonico è di Emanuele Carlucci/Tommaso Macchi. Le coreografie originali di Gino Landi sono riprese da Cristina Arrò; la scena è stata realizzata dalla scenotecnica di Mario Amodio, che fu il costruttore nella prima edizione del ’74 e da Antonio Dari per la parte meccanica; i costumi sono confezionati dalla Sartoria Brancaccio.
DALL’11 AL 13
MARZO
GENTE DI FACILI COSTUMI
di Nino Marino e Nino Manfredi
con Flavio Insinna e Giulia Fiume
regia Luca Manfredi
scene Luigi Ferrigno
costumi Giuseppina Maurizi
musiche Paolo Vivaldi
disegno luci Antonio Molinaro
produzione La Pirandelliana
Andato in scena per la prima volta nel 1988, con lo stesso Nino Manfredi nei panni del protagonista, questo testo è considerato ancora oggi uno dei più eclatanti apparso sulle scene teatrali italiane negli ultimi decenni.
Protagonisti della pièce sono Anna – nome d’arte “Principessa” – una prostituta disordinata e rumorosa che sogna di diventare “giostraia” e Ugo, l’inquilino del piano di sotto, un intellettuale che vivacchia scrivendo per la tv e per il cinema ma che sogna di fare film d’arte.
La vicenda prende il via la notte in cui Ugo sale al piano di sopra per lamentarsi con la coinquilina che tornando a notte fonda e accendendo il giradischi l’ha svegliato e lei, per la confusione, lascia aperto il rubinetto dell’acqua della vasca allagando irrimediabilmente l’appartamento di lui. Ugo sarà costretto quindi, anche a causa di uno sfratto, a trovare rifugio dalla “Principessa”.
Con questa convivenza forzata inizia un confronto/scontro costellato di incidenti e incomprensioni, ma anche un curioso sodalizio, dove ciascuno condivide con l’altro ciò che ha. Le reciproche posizioni vanno mano a mano ammorbidendosi perché diventa chiaro che ad incontrarsi non sono state solo due vite agli antipodi, ma soprattutto due sogni all’apparenza irrealizzabili.
Dall’incontro tra Anna e Ugo nasce un turbine di disastri, malintesi, ilarità e malinconie pienamente in sintonia con l’immagine che il loro autore, Nino Manfredi, ha lasciato nel ricordo di ognuno di noi.
Ecco come Manfredi presentava il suo testo: «Gente di facili costumi è una commedia che sviluppa, in maniera paradossale, un fondamentale problema etico. In una società come la nostra, dove tutto si avvilisce e si corrompe, che valore hanno ancora l’onestà, la dignità, il rispetto dei più profondi valori umani? Lo sport […] diventa sempre più truffa e violenza. Gli ideali politici […] difendono gli interessi più strettamente privati. La creatività e la fantasia sono messi al servizio dell’imbonimento pubblicitario […]. Senza continuare a fare altri esempi, è evidente che viviamo in una società in cui i valori più elevati vengono svenduti e liquidati, perché il bello, il buono e il vero sono asserviti all’utile».
DALL’8 AL 10
APRILE
LA BUONA NOVELLA
di Fabrizio De André
con Neri Marcorè
musiche Fabrizio De André
Gian Piero Reverberi, Corrado Castellari
drammaturgia e regia Giorgio Gallione
arrangiamenti e direzione musicale Paolo Silvestri
con Rosanna Naddeo
voce e chitarra Giua
voce, chitarra e percussioni Barbara Casini
violino e voce Anais Drago
pianoforte Francesco Negri
voce e fisarmonica Alessandra Abbondanza
scene Marcello Chiarenza
costumi Francesca Marsella
luci Aldo Mantovani
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Carcano
Fondazione Teatro della Toscana, Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova
La buona novella è uno spettacolo pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di Fabrizio de André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato: dal protovangelo di Giacomo al Vangelo dell’Infanzia Armeno a frammenti dello Pseudo-Matteo.
Prosa e musica, perciò, montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco del 1970. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria.
Di taglio esplicitamente teatrale, costruita quasi nella forma di un’opera da camera La Buona Novella è il primo concept-album dell’autore, con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo. Ed è proprio da questa base che prende le mosse la versione teatrale.
«Compito di un artista credo sia quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone». Questa dichiarazione di De André è emblematica di come l’autore si sia posto, in tempi di piena rivolta studentesca, nei confronti di un tema così delicato e dibattuto dal punto di vista politico e spirituale.
Con La buona novella De André lavora certo a un’umanizzazione dei personaggi, ma questa traduzione cantata dai temi degli Apocrifi è fatta con grande rispetto etico e religioso. La valenza “rivoluzionaria” della riscrittura sta più nella decisione di un laico di affrontare un tema così anomalo per qui tempi che nei contenuti o nel taglio ideologico. Solo a tratti nel racconto appare l’attualizzazione; più spesso le ricche e variegate suggestioni immaginifiche, fantastiche e simboliche degli Apocrifi sono ricondotte a una purezza quasi canonica, e talvolta traspare la sensazione che esista, anche per l’autore, la sconvolgente possibilità che in Gesù umanità e divinità abbiano convissuto.
Traspare così un percorso parallelo nella interpretazione di De André, da una parte una innata tendenza a mettere in discussione tutto ciò che appare codificato, dogmatico o tradizionale, dall’altro una sensibilità che gli fa preferire tra le molte versioni degli Apocrifi sempre la scelta più nobile, matura e ricca umanamente, alla ricerca di un racconto forse meno sacro, ma sempre profondamente morale.
La drammaturgia aggiunta, recitata in gran parte da Neri Marcorè racconta l’antefatto de L’infanzia di Maria, svelandone la nascita ‘miracolosa’, e riempie il vuoto che va dall’infanzia del Cristo alla Crocifissione. Così 30 anni di vita di Gesù sono sintetizzati in un lungo racconto che ci svela un Cristo bambino anche stizzoso, impulsivo, che si serve dei suoi poteri talvolta per esibizionismo, sia quando accusato resuscita, per poi fa tornar morto, un bimbo caduto da una terrazza per farlo testimoniare a sua discolpa, sia quando in un passo di grande qualità poetica, guida i suoi compagni di gioco in una visionaria cavalcata sui raggi del Sole.
Un’elaborazione drammaturgica, perciò, che in qualche modo completa il racconto di De André, trasformando La buona novella non solo in un concerto, ma in uno spettacolo originale, recitato, agito e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che penseranno l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore.
Perché riproporre La buona novella? Perché, per i tempi in cui è stata scritta, si è trattato di un discorso, a parer mio rivoluzionario. E questo per due motivi: ho preso spunto dagli Evangelisti Apocrifi armeni, arabi, bizantini, comunque uomini, scrittori non appartenenti alla confessione di Cristo, insomma non il suo ufficio stampa. Ne è derivata una desacralizzazione dei personaggi del Vangelo, a vantaggio, credo, di una loro maggiore umanizzazione. Ma quando scrissi La buona novella (1969) eravamo in piena rivolta studentesca e ai meno attenti, vale a dire la maggioranza dei fruitori di musica popolare, il disco apparve come anacronistico. Ma cosa andava predicando Gesù di Nazareth se non l’abolizione delle classi sociali, dell’autoritarismo, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali? È un po’ come se io mi fossi rivolto ai miei coetanei che si battevano contro smisurati abusi di potere e di autorità e avessi detto loro: Guardate che lo stesso tipo di lotta l’ha già sostenuta un grande rivoluzionario 1969 anni fa e tutti sappiamo come è andata a finire.
Perché, a parer mio (di allora come di oggi) la lotta contro l’autorità, il potere e i suoi abusi, va combattuta ogni giorno individualmente: certo, ci sono momenti e casi eccezionali in cui è meglio lottare insieme, ma questo insieme deve essere una somma di individualità, non un branco di pecore che lotta in dome di un’ideologia astratta e che si ponga come obiettivo quello di rimpiazzare attraverso l’imposizione dei suoi dogmi lo stesso potere contro cui lotta, nella logica di “leva il culo tu che ce lo metto io”.
Ora compito di un artista credo sia anche quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone. Io osservando la lotta studentesca e le sue istanze, quelle giuste e sensate, ho parlato di un’altra lotta sostenuta da un uomo 2000 anni prima che aveva obiettivi analoghi.
[…] Il culmine etico della Buona novella sta nel Testamento di Tito. Il ladrone buono confuta, uno per uno, tutti e dieci i comandamenti mettendo in evidenza la contraddizione tra le leggi emanate dalle classi al potere per proprio comodo, e le difficoltà di attenervisi da parte di chi il potere lo deve solo subire, e osserva quelle leggi, quando le osserva, solo per scongiurare la minaccio della repressione. La buona novella, a parere mio fu allora un album, un discorso assolutamente moderno e per certi aspetti lo è ancora oggi.
Fabrizio De André
[“la Repubblica”, 14 marzo 1999]
Dalle note di Giorgio Gallione
Con Neri Marcorè abbiamo scandagliato per anni il teatro canzone di Gaber, e già ci confrontammo con i materiali di Faber in un altro spettacolo, Quello che non ho, che intrecciava i pensieri e le canzoni di De André con gli scritti di Pasolini. Arrivare a La buona novella ci sembrava inevitabile. Qui ci appoggiamo inoltre ad un nuovo, efficacissimo arrangiamento di Paolo Silvestri, talentato, perenne compagno di avventure, e ad un ensemble di cantanti fortemente virato al femminile. Come a dire che La buona novella tratta certo della Passione di Cristo (per De André il più grande rivoluzionario di tutti i tempi), ma la racconta anche e sorprendentemente dalla parte di Maria, madre bambina inconsapevole e prescelta prima, straziata e piangente mater dolorosa poi. Quando Fabrizio la fa quasi imprecare sotto la croce “non fossi stato figlio di Dio, ti avrei ancora per figlio mio”, esplode tutta la tragicità del suo personaggio, amplificata e resa esplicita quando è cantata da una voce femminile e non solo evocata da un narratore. La teatralità, molto vicina ad una Sacra Rappresentazione arcaica e laica, l’abbiamo ricercata anche nell’impianto scenico, magicamente suggestivo, creato da Marcello Chiarenza. Una sorta di installazione mobile che rimanda simbolicamente a luoghi e sentimenti, reinterpretandoli poeticamente quasi in forma allegorica.
Note agli arrangiamenti di Paolo Silvestri
L’idea più importante per la realizzazione degli arrangiamenti musicali di questa nostra versione de “La Buona Novella” di De André è stata la scelta della formazione, tenendo presente che si tratta di uno spettacolo teatrale e non di un disco. Neri Marcorè ha una voce che si muove su una tessitura molto simile a quella di De André, al quale assomiglia timbricamente. Quindi in molti casi le tonalità utilizzate rispecchiano quelle originali. Ma in scena ci sono anche cinque donne che cantano, e volutamente non è un coro di voci omogenee. Ognuna di loro ha caratteristiche vocali e culturali diverse. Rosanna Naddeo è la protagonista femminile ed è un’attrice che canta, Giua è una cantautrice che si accompagna con la chitarra e le percussioni, Barbara Casini è una cantante specializzata nella musica brasiliana, percussionista e chitarrista, Alessandra Abbondanza è una cantante jazz e soul che suona la fisarmonica e il basso, e Anais Drago è una violinista virtuosa con un’impostazione sia classica che jazz e inoltre canta. E questo quintetto femminile così particolare è accompagnato da Francesco Negri che è un pianista jazz, ma con spiccati interessi verso altri generi musicali. A ciascuno di loro però viene chiesto di fare una musica diversa da quella che fa abitualmente e le varie caratteristiche diventano solo dei colori musicali che si incontrano e si fondono. E questo assieme un po’ inusuale è l’identità musicale dello spettacolo. Sulle mie partiture non ci sono i nomi degli strumenti, ma i nomi delle persone, con parti scritte appositamente per le specifiche qualità vocali e strumentali. Pur rispettando le versioni originali ogni canzone ha subito delle modifiche ritmiche, o armoniche senza mai cambiare la melodia, e la centralità degli arrangiamenti è quasi sempre il coro femminile presente in ogni brano. La caratteristica del violino è il continuo trasformismo. A volte è classico, virtuosistico o lirico, a volte popolare o addirittura etnico, altre modernissimo con l’ausilio di effetti elettronici. Il pianoforte sostituisce spesso ciò che nell’originale è la chitarra, ma con una funzione più orchestrale specialmente nei brani d’assieme, in qualche caso in maniera simile ad un’opera lirica, e in altri invece come in uno spettacolo di strada.
Note di Neri Marcorè
Quando avevo più o meno 13 anni, una mia zia molto appassionata di De André mi regalò il vinile de “La Buona Novella”. Confesso che dopo averlo ascoltato un paio di volte finì nelle retrovie perché a quel tempo non fui conquistato né dalla musica né dai testi che componevano quello che può essere considerato uno dei primi, se non addirittura il primo, concept album della discografia italiana. Forse non era l’approccio più indicato, soprattutto a quell’età, per iniziare a scalare metaforicamente quella montagna che Faber, come lo chiamava il suo amico Villaggio, rappresenta ancora oggi. Tempo dopo cominciai ad apprezzare le sue canzoni grazie al doppio live suonato con la Pfm (al primo ascolto di un pezzo mi colpisce sempre più l’arrangiamento musicale, tra armonia e melodia; solo in un secondo momento pongo attenzione al testo) e da lì mi venne naturale esplorare la sua produzione fino ad allora e continuare a seguirlo nei dischi successivi, appassionandomi al suo sguardo originale sul mondo, alla cura delle parole, a quella voce profonda al cui registro, col passare degli anni, ho finito curiosamente per aderire. Al punto che circa dieci anni fa ho cominciato a eseguire parte del suo repertorio in concerti dal vivo, con la difficoltà di dover limitare la scaletta a una ventina di pezzi. Con Giorgio Gallione, il regista al quale sono legato da una collaborazione ormai ventennale, dopo aver messo in scena Gaber e molti altri autori, decidemmo di intrecciare le canzoni, le riflessioni di De André con le invettive e il pensiero di Pasolini, nello spettacolo Quello che non ho. L’impatto fu folgorante, tant’è che il cerchio immaginario non poteva che essere chiuso con una rappresentazione su De André o, per meglio dire, attraverso De André.
La buona novella infatti è un’opera polifonica che mediante metafora e allegoria parla dell’arroganza del potere, il quale mal digerisce gli uomini troppo liberi di pensiero, intralcio per l’esercizio del potere stesso, sia esso famigliare, religioso o politico. La spiritualità, intrinseca nel momento in cui si parla di Gesù e della Madonna, è però qui contemplata nella sua dimensione terrena, laddove “il più grande rivoluzionario della Storia” resta prima di tutto un uomo, con una fisicità che non lo rende diverso dai suoi simili. Eppure, nonostante i suoi limiti, ogni essere umano può compiere imprese straordinarie e dar vita a nuovi corsi ogni volta che non si pone al primo posto ma si mette al servizio di un bene superiore, collettivo.
FUORI ABBONAMENTO
6 GIUGNO
EUROPEANA
BREVE STORIA DEL XX SECOLO
di Patrik Ourednik
copyright © 2001 Patrik Ourednik
traduzione Andrea Libero Carbone © 2017 Quodlibet srl
regia e con Lino Guanciale
musiche eseguite dal vivo da Marko Hatlak fisarmonica
costumi ed elementi di scena Gianluca Sbicca
luci Carlo Pediani
co-produzione Wrong Child Production e Mittelfest2021
in collaborazione con Ljubljana Festival
Europeana è un susseguirsi di scampoli, brandelli, flash dalla storia europea novecentesca. È un rimbalzare di notizie in lungo e in largo per un secolo, più che breve, denso: entusiasmi, tragedie, slanci, efferatezze, sarcasmi, passioni e guerre… Pare un vortice di contraddizioni Europeana: forse questo è stato il Novecento, di cui portiamo ancora i segni. Il praghese Patrik Ourednik ha raccolto quel turbine di voci, di follie e aspirazioni come da una civiltà o un futuro lontani, e le ha riunite in un solo respiro. Finisce per essere una storia di mille storie, in cui ci getta Lino Guanciale, avvolto dai frammenti musicali del fisarmonicista sloveno Marko Hatlak.
Note di Lino Guanciale
Leggendo Europeana salta subito all’occhio questa magistrale capacità, anzi lucidità di sintesi, con cui Ourednik riesce a presentare, condensati in un pugno di pagine, una serie vasta di eventi del XX secolo. L’altra cosa che colpisce è poi la sagacia con cui lo scrittore mette insieme, accosta con facilità alcuni degli eventi più crudi del Novecento con quelle che, all’apparenza, possono sembrare le sue pieghe frivole. Impressiona come Ourednik possa creare i giusti nessi che tengono insieme la bambola Barbie e l’Olocausto: coglie infatti, con equilibrio mirabile, la netta accelerazione del capitalismo novecentesco, vedendone e narrandone le sue espressioni formali, esterne, sia tragiche sia, per l’appunto, più frivole. È dunque in superficie, sul fronte linguistico che Europeana rivela la sua forza e peculiarità, anche quella di oggetto teatrale. In fondo è nella lingua che una macchina testuale offre il suo potenziale per il teatro, in quanto organismo che va decodificato per poi trarne una direzione interpretativa precisa, attoriale e di messa in scena. Sicché Europeana mi appare come una lunga frase, composta di decine e decine di pagine, in cui pare venga stilato un semplice elenco di cose, personaggi e avvenimenti. Sostandoci sopra, però, questa frase si mostra via via per quello che è: una mirabile costruzione di ecolalie coordinative, che accompagna il lettore dentro una sequenza di eventi che non accadono in modo lineare, ma si incrociano. Ci sono cose avvenute in contemporanea, ci sono dei salti indietro e avanti, all’improvviso, lungo tutto il secolo, che così viene più volte ripercorso, facendo rileggere gli stessi anni da punti di vista differenti. Ma questo incessante movimento rientra nell’economia di un discorso unico: proprio come in una frase si passa dalla prima all’ultima parola, tenendo dentro divagazioni molteplici, così in Europeana si compie, alla fine, il lungo e diacronico excursus sul secolo passato. È in questa costruzione linguistica, complessa e sincopata, che un attore trova la sua materia d’azione e la potenzialità di messa in scena in un dialogo serrato tra recitazione e musica: il loro stare insieme dentro la magmaticità di una struttura così forte e di una disciplina sintattica così mirabilmente riuscita è possibile se si riconosce del testo la sua profonda pulsione al racconto orale. C’è un’enorme esigenza di racconto dentro Europeana, rimessa in ordine nella forma di un particolarissimo stile, che è però l’espressione più necessaria della sostanza stessa di questo racconto. È come ritrovarsi, alla fine, davanti a una saggia riproposizione di certe antiche forme della cronaca, simili solo a prima vista a un elenco: a notar bene la lista dei fatti, cose e persone genera via via un’immane biblioteca, una sterminata discarica, o meglio il crogiolo di un vulcano dentro cui precipita e si rimesta l’intero Novecento, per un lettore del futuro. Tutta Europeana è un discorso al futuro, dove l’autore ha assunto sia il punto di vista di un alieno, che a migliaia di chilometri dalla terra ci osserva, sia di un uomo del domani, a cui consegnare un messaggio nella bottiglia. Questo messaggio è però un incompiuto, è il racconto di un secolo non concluso, ancora in cerca di nuove coordinazioni: è per l’appunto l’ecolalia coordinativa dello stile creato da Ourednik.
FUORI ABBONAMENTO
data da definire
80 VOGLIA DI…’80
IL MUSICAL
scritto da Gianfranco Vergoni
da un’idea di Paolo Ruffini
con Manuel Mercuri
direzione musicale Gabriele de Guglielmo
regia e coreografie Fabrizio Angelini
produzione Compagnia dell’Alba
in collaborazione con TSA Teatro Stabile d’Abruzzo
Volete rivivere (o scoprire…) il decennio colorato e scanzonato dell’evasione e dei miti, del trionfo della musica pop, degli spot, dei colori gommosi e della fantasia? Questo spettacolo vi riporterà indietro nel tempo, alla scoperta dei mitici anni ’80, come non li avete mai visti!
Uno studente liceale di oggi, alternativo e per niente modello, è in attesa di conoscere l’esito del suo profitto scolastico alla fine dell’anno. Come in un incubo vede sfilare i suoi professori, che a quanto pare hanno fatto di tutto per rendergli la vita difficile. Manipolando e scomponendo un Cubo di Rubik (noto simbolo degli anni ’80) si ritrova magicamente catapultato indietro nel tempo di 40 anni, a fianco dei suoi odiati professori ancora giovani. Da loro coinvolto nell’organizzazione di un concerto con le più famose hit del momento per la fine dell’anno scolastico, avrà modi di conoscerli più a fondo e soprattutto di rendersi conto che anche loro, come lui, hanno avuto un passato adolescenziale.
Il “ritorno al futuro”, cioè al giorno d’oggi, sarà l’occasione per tirare le somme di questo viaggio e in qualche modo cambiare un po’ anche se stesso, riconciliandosi con quelli che fino ad allora aveva visto solo come nemici.
Miti pop, vestiti sgargianti, primi videogames ma soprattutto divertimento e tanta musica: un’occasione per riascoltare canzoni passate alla storia (Duran Duran, Wham, Europe, Whitney Houston, ma anche Ricchi e Poveri, Heather Parisi e tanti altri). Sul palco, insieme al protagonista Manuel Mercuri (performer, acrobata ballerino e content creator internazionale che vanta più di 38 milioni di follower tra Tik Tok, Instagram e YouTube), una compagnia di 10 scatenati performer, nella doppia veste di professori al giorno d’oggi, e allievi negli anni ’80, che cantano esclusivamente dal vivo, oltre naturalmente a recitare e ballare.
Nato da un’idea di Paolo Ruffini, lo spettacolo è stato scritto dalla mano esperta di Gianfranco Vergoni (nelle librerie con la sua opera prima pubblicata da Longanesi “Il cielo d’erba”) e come tutti i lavori della Compagnia dell’Alba ha la direzione musicale di Gabriele de Guglielmo e la regia e le coreografie di Fabrizio Angelini, nomi garanzia di qualità e cura dei particolari di uno spettacolo che si inserisce nel filone del “family entertainment” presentato negli anni dalla Compagnia, questa volta con un prodotto interamente italiano, adatto anche alle generazioni più giovani che oggi si divertono ancora con le canzoni che hanno fatto ballare e sognare i loro genitori, i quali avranno l’occasione per fare un tuffo nel passato e nella loro gioventù.
ABBONAMENTI
(9 SPETTACOLI / TRE TURNI DI ABBONAMENTO)
settore A € 260 | settore B € 210 – ridotto* € 105 | settore C € 105
Contestualmente all’acquisto dell’abbonamento è possibile esprimere il diritto di prelazione per l’acquisto dei biglietti per gli spettacoli fuori abbonamento (massimo 2 biglietti a spettacolo, per ogni abbonamento sottoscritto) nei posti disponibili.
DA SABATO 21 A SABATO 28 SETTEMBRE
PRELAZIONE ABBONATI STAGIONE 23/24 CON CONFERMA TURNO E POSTO
DA DOMENICA 29 SETTEMBRE A MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE
PRELAZIONE ABBONATI STAGIONE 23/24 CON POSSIBILITÀ DI CAMBIO TURNO E/O POSTO
attenzione: la possibilità di cambio turno e/o posto è estesa anche alla terza recita, ma verranno messi in vendita solo un contingente di posti nei vari settori
DA SABATO 5 OTTOBRE
NUOVI ABBONAMENTI
È possibile acquistare i nuovi abbonamenti online dalle ore 14 di sabato 5 ottobre;
l’acquisto online comporta un aggravio in favore del gestore del servizio.
BIGLIETTI
DAL 16 OTTOBRE
VENDITA BIGLIETTI PER TUTTI GLI SPETTACOLI
ANCHE FUORI ABBONAMENTO
PROSA
Cenerentola
Europeana, 80vogliadi80! (fuori abbonamento)
Settore A € 30 | Settore B € 24 – ridotto* € 12 | Settore C € 12
Aggiungi un posto a tavola
Settore A € 50 | Settore B € 40 – ridotto* € 20 | Settore C € 20
Mare fuori (fuori abbonamento)
Settore A € 60 | Settore B € 50 – ridotto* € 30 | Settore C € 30
*riduzione valida per studenti, giovani fino a 25 anni e over 65
BIGLIETTERIA TEATRO DELL’AQUILA
DAL 21 SETTEMBRE AL 20 OTTOBRE
tutti i giorni (domenica compresa) orario 10-13; 16.30-19.30
3 & 4 OTTOBRE
biglietteria aperta solo per informazioni orario 10-13; 16.30-19.30
21 OTTOBRE
biglietteria chiusa
DAL 22 OTTOBRE
dal martedì al sabato dalle ore 16.30 alle ore 19.30; giovedì, venerdì, sabato anche dalle ore 10 alle ore 13
il giorno di spettacolo serale (anche di domenica o lunedì) dalle 10 alle 13 e il pomeriggio dalle 16.30
il giorno di spettacolo pomeridiano (anche di domenica o lunedì) dalle 10 alle 13 e il pomeriggio dalle 15
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INIZIO SPETTACOLI
ore 21 | domenica ore 17
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BIGLIETTERIA TEATRO DELL’AQUILA 0734 284295
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