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Libri: Mario Garbuglia, Luce sulla scena Ricordi di cinema e teatro

Luce sulla scenadi Raimondo Giustozzi

La vita di Mario Garbuglia (Civitanova Marche, 27.05.1927 – Roma, 30.03.2010), uno dei più grandi scenografi di cinema, teatro, opera lirica, televisione e musica della seconda metà del Novecento, è raccontata nello splendido libro: Mario Garbuglia, luce sulla scena, ricordi di cinema e teatro, scritto dalla figlia Daniela Massidda Garbuglia, edito da Palombi Editori nel 2021. Scrive Daniela Garbuglia Massidda in terza pagina di copertina: “In questo nerissimo periodo di pandemia, nei giorni di isolamento forzato ho concluso il lavoro cominciato tre anni orsono di recupero e cura del materiale autobiografico lasciato da mio padre Mario Garbuglia, i racconti sulla vita, i pensieri, le passioni di uno dei più importanti scenografi del novecento”.

Gli appunti lasciati dal padre hanno una data di inizio, il 1993, e un luogo ben  preciso, Cortona, in provincia di Arezzo, in Toscana, terra amata, dove il maestro ha studiato, ha lavorato, ha avuto grandi amici, uno fra tutti Mario Chiari. “Queste pagine – scrive Mario Garbuglia – nascono dal desiderio di narrare lo splendore della mia professione, quella dello scenografo, la forza irresistibile della creatività, messa alla prova nelle situazioni più imprevedibili, di disegnare, attraverso immagini e ricordi, il mio ritratto di uomo, un po’ pioniere un po’ esploratore, visionario realizzatore di sogni antichi e nuovi” (Dani Massidda, Mario Garbuglia, luce sulla scena, ricordi di cinema e teatro, pag.23, Modena, 2021).

Lo scenografo racconta nelle memorie che fin da bambino era stato sempre circondato dai libri. Ultrasessantenne, aveva fatto dell’ex oratorio di San Carlino dei Lombardi, a Cortona, il proprio “Luogo dello Spirito”. Qui, tra le pareti piene di libri e di quadri, si trovava immerso nel silenzio, rotto solo dai rintocchi delle campane che provenivano dalla vicina chiesa di San Francesco. Aveva sognato quasi di sceglierlo come luogo ideale dove aprire una bottega di scenografia per chiamare tutti gli allievi del mondo, parlare e condividere con loro progetti e sogni.

Mario Garbuglia diventa ancora padre, all’età di sessantaquattro anni della piccola, stupenda Shu Shu, l’ultima figlia. Sogna di riunire i propri figli, grandi e piccoli, sperimentando un nuovo modo di essere padre e “parlare a loro dei miei genitori, mamma Gina e papà Santino; perché mi piacerebbe che si capisse che tutto quello che ho fatto è meno della metà di quello che loro hanno fatto per me” (Dani Massidda, Mario Garbuglia, luce sulla scena, ricordi di cinema e teatro, pag.24, Modena, 2021). Devozione del figlio verso i propri genitori, l’amicizia verso tutti quelli che incontrava sul lavoro ritornano in  tutte le pagine del libro.

Sante Garbuglia, il padre di Mario, nasce a Roma il sette gennaio 1903, a Borgo Pio, via Porta Cavalleggeri. Rimasto orfano della mamma, Pasqua Gargiuli di Piediluco, viene mandato a soli tre anni a Civitanova Marche, a casa dello zio Giovanni, macchinista ferroviere. Completata la scuola primaria, diventato grande, lavora presso le officine meccaniche e fonderie “Campione”. Negli anni della prima guerra mondiale è capo squadra tornitore. Si sposa con Gina Pierdomenico, di Fontespina, frazione di Civitanova Marche. Dal matrimonio nasceranno sette figli. Mario Garbuglia nasce il 27 maggio 1927 nel “Piccolo Borgo, tre chilometri a nord” della cittadina adriatica. Santino, dalle idee anarchiche, legge Errico Malatesta, entra in ritta di collisione con i fascisti locali, per questo decide di trasferire tutta la propria famiglia a Penne, cittadina all’interno della provincia di Pescara, “assunto dai Mandolesi, come responsabile tuttofare di una piccola officina di macchine agricole”. Campa la propria famiglia con decoro, non risparmiandosi nel lavoro.

Mario Garbuglia in soli tre anni completa il ciclo della Scuola Elementare. In qualità di primogenito viene responsabilizzato fin da piccolo. Aiuta il padre in officina, sa mettere i bulloni sui coltelli degli erpici, lavora al tornio e sa fare a mano le filettature più precise. Sa smontare il motore dei primi trattori dell’epoca, che si muovevano come dei carri armati, tanto erano giganteschi. Il padre Santino vuole però che il figlio continui a studiare. In casa, a volte non c’era di che mangiare, ma i libri non mancavano: “Debordavano sulle sedie, sui pochi mobili, sopra e sotto i letti. Mio padre possedeva e studiava decine di manuali Hoepli, dall’agricoltura alla fisica, dall’astronomia alla pollicoltura, dalla matematica alla chimica o all’apicoltura” (Ibidem, pag. 31). La mamma Gina curava il pollaio, si dedicava all’allevamento del maiale, cuoceva il pane in casa una volta alla settimana, si dava da fare nell’orto perché non mancassero in tavola ciò che era sufficiente per sfamare sette bocche, ma anche lei era “la più grande lettrice di romanzi d’amore”.

Mario Garbuglia scopre il mondo del cinema per caso: “Era la domenica di Pasqua del 1935, quando, giocando insieme agi altri bambini con le nostre uova colorate, nel cortile del Duomo, sono capitato in una saletta buia, dove ho ammirato per la prima volta il cinematografo nella rappresentazione di una straziante Vita di Gesù e poi un saltellante Charlot, il tutto in uno sgangherato 16 mm, rumoroso e contemporaneamente muto” (ibidem, pag. 32). Dopo quella volta, Mario, ancora bambino vede ogni film in programmazione nell’ottocentesco Cine – Teatro di Penne, da Tarzan a Capitan Blood, ogni altro film americano, francese, tedesco e anche italiano. Senz’altro parte da questi primi approcci al cinematografo la passione per il cinema e il teatro.

Il padre, Santino, viste le qualità del figlio nello studio, lo iscrive all’Istituto d’Arte di Penne che aveva solo i primi quattro anni. Mario Garbuglia, a tredici anni termina anche questo ciclo di studi. Nel 1940 partecipa ai “Ludi Juvenilia” (giochi giovanili) d’arte e vince una borsa di studio per proseguire i propri studi a Firenze presso l’Istituto d’Arte, che si trovava allora a Porta Romana. Lascia la propria famiglia in Abruzzo e si trasferisce a Firenze. Trova una piccola pensione non lontana dalla scuola. Inizia così il primo periodo fiorentino, ne seguiranno altri, quando diventerà uno scenografo affermato. Nella città toscana stringe amicizia con Mario Chiari, lavorerà con lui per un’intera vita. Intanto frequenta l’’Istituto d’Arte con assiduità senza perdere una lezione.

Assiste impotente ai bombardamenti subiti dalla città, ripara in un rifugio antiaereo, vuole scappare verso la propria pensione per riprendere i libri, vien fermato da un addetto, il giorno dopo si reca all’Istituto d’Arte per sostenere uno degli ultimi esami. Il 25 luglio del ’43 il Fascismo cade e Mussolini viene arrestato. Mario Garbuglia ritorna a Penne, in Abruzzo. La guerra arriva anche qui. Dopo l’8 settembre dello stesso anno, il fronte tedesco staziona lungo la linea gotica che va dalla Majella – Gran Sasso fino a Montecassino. La famiglia sfolla nella vicina Farindola. Solo il padre Santino rimane a Penne. Mario sta percorrendo la strada verso Farindola. La mamma, abbracciandolo, ride e piange, vedendolo in salvo. Alcune bombe cadono nell’abitato di Penne, proprio nella casa dove era rimasto il papà. Mario rifà il viaggio a ritroso. Ritrova il padre sano e salvo ma con tanta paura addosso. Si era salvato saltando sopra un carro che era sotto casa.

Nell’estate del ’45 , Mario ritorna a Firenze. La trova cambiata, ancora con tanta povertà in giro ma anche con tanta gioia sfrenata per la fine della guerra. I soldati alleati con colossali sbornie addosso si scazzottano tra loro. L’irrefrenabile boogie – woogie conquista tutti. Diventa amico del pittore Remo Brindisi e gli fa da modello. Lascia Firenze per iscriversi alla Facoltà di Architettura e all’Accademia di Belle Erti, corso di Scenografia, di Roma, dove arriva in camion con il figlio del fattore dei principi Caracciolo. Questi ultimi, sfollati a Penne, erano ritornati nella capitale. L’asse del camioncino, pieno di ogni ben di dio: formaggio, vino, prosciutti, non regge al peso. Si schianta e rimane fermo ai lati della Salaria, al chilometro 47, luogo frequentato dal “mostro di Nerola”. Mario rimane a guardia del prezioso carico per una notte intera. Ha in mano, come arma di difesa, la manovella che serviva per avviare il motore. Deve chiedere ai Caracciolo se intendono dare in gestione al papà Santino il vecchio mulino ad acqua di Penne. Tutto si risolve per il meglio. Il papà ottiene la gestione del vecchio mulino, dopo averlo riattivato assieme al figlio. Mario si tuffa nella vita quotidiana di Roma. Frequenta la Taverna degli Artisti di via Margutta 54; prende pensione in via Ripetta, di fronte all’Accademia di Belle Arti. Allaccia amicizia con Peppino Piccolo, professore di Scenografia, che lo indirizza verso la professione. Sostiene, con ottimi voti, tutti gli esami del primo anno. Si iscrive assieme all’amico Gigi Fratta di Foligno al corso di scenografia cinematografica presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, mentre Ugo Pericoli si iscrive al corso per costumisti.

Presso il Centro Sperimentale funzionava anche la mensa. Era per Mario un ottimo affare. Poteva almeno avere di che mangiare, assalito com’era dai morsi della fame. La mensa viene chiusa per mancanza di fondi. Mario per la rabbia minaccia di uscire dal Centro Sperimentale; intanto lascia sul tavolo dell’aula alcuni disegni e schizzi a china nera che vengono apprezzati dal professore Bela Balatz. Mario ottiene anche una borsa di studio di ventimila lire al mese. La mensa viene riaperta grazie ai fondi della Presidenza del Consiglio. In breve, Mario Garbuglia diventa il beniamino del Centro Sperimentale e inizia il proprio lavoro con passione e collabora con Alessandro Blasetti al film “Fabiola”. Qualche anno dopo realizza con lui una scena per “La Grande Guerra” di Mario Monicelli; sempre con Blasetti, nel 1954, lavora al film commedia “Peccato che sia una canaglia” con Sofia Loren e Marcello Mastroianni, in seguito lavora come scenografo nel film “I due nemici”, regia dell’inglese Guy Hamilton, con Alberto Sordi e David Niven.

Alla fine del primo anno romano, Mario non ritorna a Penne ma rimane a Roma, ad inventariare per il Centro Sperimentale di Cinematografia, i libri donati alla biblioteca del centro da Gino Sensani, morto da poco, famoso costumista e docente al Centro Sperimentale. Come premio, finito il lavoro, ha tre settimane di vacanze ad agosto. Fa un’indigestione di libri. Legge di tutto. Non si risparmia nel lavoro. Dopo il 20 agosto prepara lo stand del Centro Sperimentale di Cinematografia per la mostra al Lido di Venezia. Contatta Carlo Scarpa, il responsabile della manifestazione, per chiedergli la disponibilità di falegnami, operai, pittori manovali, elettricisti.. lavorando con un solo falegname, Mario Allestisce al meglio lo Stand del Centro Sperimentale. Intanto Gina, la morosa, aspetta un figlio. Mario Garbuglia diventa papà a ventuno anni. “I figli nascono con la pagnotta sotto il braccio” gli dice papà Santino. Anche la mamma è contenta: “Mia madre piangeva e rideva come una bambina e ripeteva, è vero? Sono nonna”(Ibidem, pag. 46).

Anche la figlia Daniela gli dirà di essere diventata nonna e lui bisnonno, quando era ricoverato in clinica, poco prima che morisse. Nei suoi occhi azzurri la stessa felicità e commozione della mamma tanti anni prima (Ibidem, pag. 143). Tutto il libro è percorso sì da titoli di film immortali, registi famosi, bozzetti, fotografie, documenti, ma anche da un grande amore per i sentimenti che legano il vissuto di tutti quelli che hanno avuto una parte importante nella vita di Mario Garbuglia: i propri genitori, i figli, gli amici, poi i luoghi visitati per girare le scene esterne dei film, le osterie, gli scherzi malandrini che venivano comminati sul set cinematografico ai danni di registi famosi, tra tutti, Luchino Visconti e Mario Monicelli. Da ricordare anche la rovinosa caduta di Mario Garbuglia quando precipitò dall’altezza di sei metri, mentre stava girando alcune scene del film “Brancaleone alle Crociate”, prodotto da Cecchi Gori, regia di Mario Monicelli e secondo regista Mario Garbuglia. Era l’estate de 1970. Il nostro ebbe un’invalidità permanente al 20%.

 

Al secondo anno presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, Alberto Lattuada gli fa realizzare alcune scene per “Il Castello” di F. Kafka. Vittorio De Sica alcuni provini per il film “Miracolo a Milano”, Luchino Visconti alcune scene per il film “La terra trema”. Assieme a Mario Garbuglia lavorano attori, direttori della fotografia, critici, molti dei quali diventati famosi: “Renato De Carmine, attore al Piccolo Teatro di Milano, Nanni Loy, regista e attore, Citto Maselli, regista di molti film, Pasqualino De Santis, grande direttore della fotografia che spesso ho incontrato nel lavorare con Visconti di cui divenni assiduo collaboratore” (Ibidem, pag. 46). Tutti gli studenti del secondo anno venivano utilizzati come forza lavoro per fare esperienza nel settore.

La prima scenografia costruita tutta da solo gli viene affidata dal regista Luciano Emmer per il film “Le ragazze di Piazza di Spagna”, successivamente si getta anima e corpo nel film “Carosello napoletano” di Ettore Giannini, con un cast di grandi attori: Paolo Stoppa, Rina Morelli, Giacomo Rondinella, Sofia Loren. L’impresa titanica fu la scenografia ricostruita nella totalità per il film “Guerra e Pace” del regista King Vidot, con attori diventati icone del cinema internazionale: Henry Fonda, Audrey Hepburn, Mel Ferrer, Vittorio Gassman, Anita Ekberg. Mario Garbuglia legge ben quattrocento diciotto libri su Tolstoj, Mosca, l’aristocrazia e il popolo russo, Napoleone. Lo studio Cinque di Cinecittà diventava davvero la fabbrica dei sogni. Poche furono le riprese esterne, solo quelle che interessavano il ponte della Beresina furono girate in Piemonte sul fiume Po, il resto tutto nel teatro Cinque di Cinecittà, dove lavorarono pittori, patinatori, tappezzieri, arredatori, macchinisti di scena e per ultimi gli elettricisti che anticipavano di poco la troupe per le riprese (Ibidem, pp. 55 – 57). Lavora poi nel film “L’arte di arrangiarsi”, tratto da una novella di Vitaliano Brancati per la regia di Zampa, con Alberto Sordi protagonista. E’ lo scenografo di Carmine Gallone nei film che racconta la storia della famiglia Ricordi, prima tipografi, poi editori di tutta la lirica italiana da Rossini a Puccini, passando per Donizetti, Bellini, Verdi (Ibidem, pp. 57 – 59).

Ma è con Luchino Visconti che Mario Garbuglia entra nella leggenda come maestro scenografo del cinema italiano. Inizia con il film “Le notti bianche”, continua con il “Gattopardo” dal romanzo di Tommasi di Lampedusa, “Rocco e i suoi fratelli”, “Vaghe Stelle dell’Orsa”, “Lo straniero”, dal l’omonimo romanzo di Albert Camus, “Gruppo di famiglia in un interno”, “L’innocente”, “Le streghe”. Sempre per Luchino Visconti, ma per opere teatrali, lavora alla scenografia di “Uno sguardo dal ponte” di A. Miller, “Veglia la mia casa, angelo!” di T. Wolfe, “I ragazzi della signora Gibson”, “Figli d’Arte” di D. Fabbri, “Dopo la caduta” di A. Miller, “Tanto tempo fa” di H. Pinter.

Per Mario Monicelli lavora alla scenografia della “Grande Guerra” con Vittorio Gassman e Alberto Sordi: “Ricordo un rigoglioso bollore creativo che si estrinsecò tra me e Mario Monicelli in una simpatia fisica e intellettuale, tutta tesa a fare questo film in modo esemplare da tutti i punti di vista” (Ibidem, pag. 74). Sempre per Mario Monicelli, lavorerà alla sceneggiatura dei film “Brancaleone alle Crociate”, “I Compagni”, “Alta infedeltà”, “Casanova 70”,  La sua casa di Penne divenne negli anni meta di attori famosi, tra tutti Alberto Sordi che gustava come non pochi i “Vincisgrassi” preparati dalla mamma di Mario Garbuglia. Tutto il libro di Dani Massidda, “Mario Garbuglia luce sulla scena, ricordi di cinema e teatro”, è attraversato da questi ricordi lontani ma vivi nella memoria.

Mario Garbuglia fu lo scenografo di altri film altrettanto famosi: “Barbatella” di R. Vadim, “Waterloo” di S. Bondarciuk, “La città si difende” di P. Germi, “La bella di Roma” di L. Comencini, “Arrangiatevi”, “La vera storia della signora delle Camelie” di M. Bolognini, “Polvere di stelle”, “Finché c’è guerra c’è speranza” di A. Sordi. L’opera completa del maestro Mario Garbuglia, i numerosi premi vinti sono tutti riportati nel libro: “Mario Garbuglia Luce sulla scena, ricordo di cinema e teatro” di Daniela Massidda Garbuglia. E’ un libro da leggere, per confrontare il nostro passato, quando si aveva fiducia nell’altro e nel futuro, con il nostro presente, attraversato da diffidenza verso l’altro e si ha paura del futuro. Due anni di pandemia e la guerra in Ucraina con tutto quello che rappresenta anche per noi, ci stanno fiaccando oltremodo. Preziosa è anche la conversazione tra Mario Garbuglia e Marco Pistoia (Ibidem, pp. 15- 21), messa all’inizio del libro. Marco Pistoia è docente di storia e critica del cinema presso l’Università di Salerno. La foto in copertina del libro ritrae la troupe al lavoro nel film “Rocco e i suoi fratelli” (1960), regia di L. Visconti.

Raimondo Giustozzi

1 commento a Libri: Mario Garbuglia, Luce sulla scena Ricordi di cinema e teatro

  • DANIELA

    Una recensione bellissima, ha colto in pieno lo spirito del lavoro e l’anima e il talento di Mario Garbuglia. Grazie! Daniela Garbuglia

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