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L’armonia vince di mille secoli il silenzio. Il mondo poetico di Sandro Bella

Porto Civitanova copdi Raimondo Giustozzi

Si è spenta a novantuno anni anche la voce poetica di Sandro Bella. Il funerale è stato celebrato ieri due aprile, nella tarda  mattinata, presso la chiesa di San Pietro in Civitanova Marche. Non potevo mancare all’appuntamento per un ultimo saluto. Ero sul marciapiede del vialetto Sud, in piazza XX settembre. Ho aspettato che la bara uscisse dal tempio. Sandro era diventato il mio barbiere negli ultimi anni. Ho provato tanta tristezza quando, un po’ di tempo fa, avevo trovato su una sedia posta all’interno del salone un cartello con su scritto: chiuso per fine attività. In tempi diversi, quando non avevamo a che fare con la pandemia in atto e portavo i nipotini a spasso sul corso, non mancavo mai di salutarlo. Era sempre gioviale. Aveva parole affettuose per i bambini. Era un vero gentiluomo, dai modi fini e garbati.

Sandro Bella, in gioventù esponente di spicco del complesso Cuban Hot Bella assieme ai fratelli, Virgilio e Luigi, deposti clarinetto, violino e sassofono, ha esercitato da sempre la professione di barbiere nella centralissima via Tripoli, parallela al Corso Umberto I di Civitanova Marche. Gli incontri con i clienti, l’attenzione ai discorsi anche bisbigliati, il garbo che lo contraddistingueva  nei rapporti umani gli avevano permesso di ascoltare e mettere in versi espressioni e parole dialettali in via di estinzione ma che fanno parte del mondo popolare di Civitanova Marche. Ecco allora nell’ordine di tempo tutte le sue pubblicazioni in vernacolo: ”Quagghiò lo Porto” (1988) ‘Na storia ‘na città (1991), C’era ‘na orda … a Portocitanò (1998), Li Portesi (2007) Ll’indrighi … e le pasciò da  I Promessi Sposi, sonetti in vernacolo civitanovese (2010).

In un articolo Voci dal mondo popolare. Ricordo e nostalgia del passato nella poesia dialettale. pubblicato il 19.09.2020 nel sito www.specchiomagazine.it avevo messo a confronto una sua poesia Recordénne, con altre provenienti dalla Brianza, da Grottammare e dall’Abruzzo. Dotato di un’osservazione fine ed acuta, amava proporre nei suoi testi angoli e scorci di una Civitanova Marche che non c’è più. Molta vita pubblica passava attraverso le piazze e le strade, il mercato e le feste. Questi erano i luoghi dove avveniva la socializzazione. Oggi, questi luoghi, ci sono preclusi e assieme ad essi, quelli che Marc Augé definiva, in un libro pubblicato nel 1992, i non luoghi: i grandi centri commerciali, le stazioni della metropolitana, le sale d’aspetto, gli outlet, il terminal degli aeroporti. Dobbiamo solo aspettare che tutto passi, per ritornare ad una vita normale.

Scrive Ennio Ercoli alla silloge di poesie C’era ‘na orda…a Portocitanò: “Si tratta di una narrazione sul filo della memoria, popolata da figure tipiche del passato, da lo Spazzacamì, a Vatòcco, da sora Rosa alla signorina de lo spaccio, da sora Nena a Cicì. Il tutto intervallato nelle atmosfere del ciclo rituale di una volta, con i riti della Befana, della Pasquella, della festa de Sand’Andò, Carnuà, San Valendì, dell’arrivo in estate de Li Vagnandi, della vendita del pesce, della burrasca di mare, di un gioco scarognato, del fidanzamento che vedeva come perenni sentinelle fra i due innamorati qualche parente di troppo” (Ennio Ercoli, Nota  di edizione, pag. 7, in Sandro Bella, C’era ‘na orda … a Portocitanò, Civitanova Marche, 1998).

 

Vatòcco

“Ruggero Moruzzi, chiamato vatòcco per la sua vita da barbone, era una persona molto conosciuta a Civitanova Marche nei primi anni del secondo dopoguerra. Era di origine slava, sottufficiale della Marina, scuola C.R.E.M. (Corpo Regi Equipaggi Marittimi), di Taranto. Alto, di bel portamento, era però diventato, per il suo modo di vivere, lo zimbello del paese. Si arrangiava a fare l’imbonitore per sopravvive; ossia, propagava a voce per le vie, la vendita a buon mercato di carne, pesce, frutta, ecc. Tanti, per sfotterlo, gli gridavano stando nascosti: Vatòccooo! Luggéroo! “(Ibidem, pag. 24). Il libro di poesie si segnala per le note esplicative messe sotto ogni testo e per le foto scelte, soffuse di una bellezza indicibile, in bianco e nero. Tutto racconta in maniera garbata un mondo che non c’è più ma che vive nel mondo dei ricordi, grazie a Sandro Bella.

“Sforzènne quella voce ‘m-bò’ ffelata, / ‘nnungiava tristemende pe’ la via: / curréte, o jènde, jò la pescheria, / perché lo péscio a costa ‘na sciapàta! // Ssuscì, Vatòcco, adèra che llucchìa / a quella jènde ch’era ‘nderessata, / ma nòne a quella che lo cojonìa / statènnese in ‘che parte nnabbuscàta. // E Ruggero, che c’ìa ‘sso vèllo nome, / a se ‘ngazzava ‘m-bo’ co’ quéssi èsso, / sendènnese chjamà ‘pe’ ssoprannòme. // Cuscì che tandi lo chjamìa Vatòcco; / e comme ghjà se non vastèsse quésso, / pe’ ghjònda je dicìa:…” ‘na scarpa e u’ n giòcco”! (Sandro Bella, C’era ‘na orda … a Portocitanò, pag. 24, Civitanova Marche, 1998).

Traduzione: “Sforzando quella voce un po’ debole, / annunciava tristemente per la via: / correte, o gente, alla pescheria, / perché il pesce costa poco! // Proprio così, Vatòcco, era solito gridare / a quella gente che era interessata, / ma non a quella che lo canzonava / standosene nascosta in qualche parte. // E Ruggero, che aveva questo bel nome, / si arrabbiava un po’ con loro, / sentendosi chiamare con il soprannome. // Avveniva che tanto lo chiamavano Vatòcco, / e come se questo non bastasse, / in aggiunta gli dicevano: una scarpa e un ciocco”. L’ignoranza e la cattiveria si vendono sempre a buon mercato, un tanto al chilo (N.d.r.).

 

Lo Spazzacamì

“Comm’era nero ‘llo spazzacamì’! / Ma nero! Comm’un tizzo de carbò’! / Purtìa derète u’ un- zacco, u’ n- tegamì / e u’ n- gappello in testa, calato i’ gnò. // Statìa pe’ ‘llì camì, picculi e granni, / co’ li rambì, li spì, tra mònda e ccala; / li puliscìa ‘’pp’ vène tutti quanni, / ‘ttaccato pe’ ‘na corda… e senza scala. // A java sembre i’ gniro sorridénne, / portènne a tutti ‘n- zacco de ‘’lligrìa; / venghé chjdù lo java cojonènne, / invece a isso no’ gne ne ‘mburtìa. // A ghj pe’ li camì’ ce custumava; / mo’ ‘’sso mestiere no’ n- esiste più. / Anghe perché pe’ fallo, visognava… / avécce veramende ‘na virtù” (Sandro Bella, ibidem, pag. 10).

Traduzione: Com’era nero lo spazzacamino! / ma nero come un tizzone di carbone! / Portava a tracolla un sacco e un tegamino / e un cappello in testa, calato in giù. // Andava per i camini, piccoli e grandi, / con i ramponi, gli spini, tra una salita e una discesa, / li puliva ben bene tutti quanti, / attaccato ad una corda e senza scala. // Andava sempre in giro sorridente, / portando a tutti un sacco di allegria, / anche se qualcuno lo andava canzonando, / invece a lui non importava per niente // Andare per i camini, questo faceva; / Ora questo mestiere non esiste più. / Anche perché per farlo, bisognava / avere veramente una virtù”.

Quale fosse questa virtù, Sandro Bella non lo dice. Possiamo immaginarcela: tanta volontà di lavorare ma anche predisposizione ad inghiottire nostalgia e cattiveria senza aggettivi. Scriveva così Sandro Bella in nota alla poesia: “Lo spazzacamino, ogni anno, arrivava sempre quando l’inverno se ne era andato. Era un simpatico vecchietto ed aveva sempre il sorriso sulle labbra. Ricurvo, mingherlino, la barba folta e con un cappellaccio nero calato in giù, andava in giro con il viso tutto annerito dalla fuliggine. Particolare curioso era quel tegamino, che naturalmente gli serviva per mangiare, attaccato alla cintura come i soldati. La sua provenienza, si diceva che fosse l’Abruzzo”. Il sacco, i ramponi, la spatola metallica, la canna con il riccio in testa erano gli strumenti di lavoro.

Marino Bevilacqua

“Chj c’era? Io, Lamberto “palazzà”, / Arfiero, Sergio, Nardì de “Mundì”, / Chj addro angò’?  Pippino lo “fornà’”, / ‘ppò’ Lorise co’ fràtemo Virgì’. // Statiàmo tutti quandi llà a ghjucà’, / quann’ecco che ‘rriàva, llì per lì, / Marino Bevilacqua; e fatto sta, / che avènne vèto chjsà quando vì’, // a se ciomìa per tè’ facénne pena / e cco’ mmoccò de voce a candiccjava, / sembre quello… “la dòrge madrilène”…// E come rengasìa? ‘Spittìa ‘mbochetto / findando che la moje lo rtroàva / e lo cargàva sopre de ‘n- garrétto” (Ibidem, pag. 47).

Traduzione: “Chi c’era? Io, Lamberto (soprannome), / Alfiero, Sergio, Bernardino di (soprannome), / Chi altri ancora? / Peppino il fornaio, / poi Loris con mio fratello Virgilio. // Stavamo tutti quanti a giocare, / quando arrivava all’improvviso, / Marino Bevilacqua, e avendo bevuto chissà quanto vino, // si coricava per terra facendo pena / e con un filo di voce canticchiava, / sempre il motivetto della dolce madrilena… // Come rincasava? Aspettava un po’ / fintantoché la moglie lo ritrovava / e lo caricava sopra un carretto”.

In nota alla poesia, scriveva Sandro Bella: “Marino Bevilacqua (il suo vero cognome era Piampiani  vela). Però nel pomeriggio, una volta rientrato a terra on la sua barca, aveva quel vizio di andare bevendo per le cantine e, una volta ubriaco, non ritrovava la strada per ritornare a casa. La moglie andava sempre in cerca di lui, portandosi appresso un carrettino per trasportarlo fino a casa. Abitava nell’ex “lazzaretto” (ora demolito) accanto all’ex “Casa del Balilla”. Lamberto “palazzà”: il soprannome forse fa riferimento al lavoro da muratore. Bernardino de “Mundì”. Un tale soprannome veniva usato anche per una famiglia di Morrovalle.

Il libro di poesie C’era ‘na orda … a Portocitanò di Sandro Bella contiene dei testi propri della letteratura sapienziale che ci aiutano a vivere in questo tempo così triste per la pandemia in atto. Morti, ricoveri, positivi al Covid 19 non ci danno tregua. Viviamo isolati, chiusi in casa, aspettando tempi migliori. L’unica cosa che riusciamo a dirci nei pochi e fugaci momenti di incontro per le strade è di non disarmare ma di guardare sempre oltre. Passerà questa triste tribolazione. Dobbiamo fare dei sogni la realtà del domani. Chi vivrà, vedrà l’alba di giorni nuovi. Questa è la speranza che dobbiamo condividere con tutti. Se c’è una poesia nel libro, che tra le tante invita a sperare, questa è

 

Ghjòrno pé’ GGhjòrno (giorno per giorno).

“Nasce lo jòrno su lo primo arbòre / co’ ‘lli splennéndi ragghj de lo sole / che, a mmana a mmana va’ passènne ll’ore, / a riluce sembre più, lo più che ppòle. // Adè  ‘na luce pjna de speranza, / e pjna angò’ de sogni e de ‘llusiò, / che ssu la vita ci- ha quell’imbortanza / de fa’ schjarì’ ‘gni vrutta situaziò’. // E quanno vè’ la sera e sse fa scuro, / ‘dè nnaturale che lo jòrno mòre, / se spera che, ppe’ lo domà’ ffuturo, / risplènna sembre angò’ ‘llo gran chjarore” (Ibidem, pag. 39).

Traduzione: “Nasce il giorno col primo albore / con gli splendenti raggi del sole / che a mano a mano che passano le ore, / splende sempre più, più che può. // E’ una luce piena di speranza, / e piena ancora di sogni e di illusioni, / che nella vita ha l’importanza / di schiarire ogni brutta situazione. // E quando viene la sera e si fa scuro, / è naturale che il giorno muore, / si spera che, all’indomani, / risplenda sempre il grande chiarore”.

Scriveva Quinto Orazio Flacco: “…inter spem curamque, timores inter et iras / omnem crede diem tibi diluxisse supremum:  / grata superveniet quae non sperabitur hora ( Q. Orazio Flacco, Epistola, 1,4 ad Albio Tibullo). Traduzione: “Tra speranze e affanni, angosce e delusioni / fa conto che quello che vivi sia l’ultimo giorno: / gran gioia ti darà spuntando il domani inatteso”.

“Dolce e chiara è la notte e senza vento,/ E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti / Posa la luna, e di lontan rivela / Serena ogni montagna” (Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa). Sandro Bella si rifaceva nelle sue poesie a “Gioacchino Belli, a Trilussa, Pascarella, Giovanni Ginobili, Mario Affede” (Ennio Ercoli, Nota di edizione, pag. 7, ibidem), ma non disdegnava anche il riferimento ad altri classici della letteratura italiana. Penziero Notturno è una perla che va ad incastonarsi ad altre. Non si può non riandare con la memoria al grande Giacomo Leopardi

 

 

Penziero Notturno (pensiero notturno).

“Adè notte. Anzi, è ghjà nnotte fònna. / Lo vènde de terra soffia legghjéro, / dilicato comm’un dorge penziéro, / che sfiòra a mmardeppéna su la frònna. // Lònga e sserena è la notte de luna / ghjà tutta ‘mmandata de stelle vrille, / cuscì lucéndi comme le faville, / ma che ll’arba le smorcia a un’a una” (Ibidem, pag. 67).

Traduzione: “E’ notte. Anzi, è notte fonda. / Il vento da terra soffia leggero, / delicato come un dolce pensiero, / che sfiora appena sulla chioma degli alberi. // Lunga e serena è la notte di luna / già tutta coperta di stelle che brillano, / così lucenti come faville, / ma che l’alba spegne ad una ad una”.

Finisce qui questa breve presentazione di alcune poesie di Sandro Bella. Le altre troveranno spazio in altri articoli. Mi premeva soltanto per il momento ricordarlo così in punta di piedi.

Raimondo Giustozzi

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