…Nel frattempo sembra che per noi cittadini ci sia poco o nulla da fare, non sembra aria da movimenti di società civile, nemmeno movimenti di opinione.
di Paolo Flores d’Arcais by Micromega
Zaia e Zingaretti, in primo luogo. Perché quella di Zaia non è solo una vittoria locale. In Veneto ottiene un plebiscito, ma il fatto che la sua lista personale ottenga il triplo dei voti della Lega rende inevitabile la sua diarchia con Salvini, e quando si andrà al voto nel 2023 uno solo potrà essere il “front runner” nazionale (con la Meloni in crescita). Come potrà Zaia mettere a frutto questa vittoria? Con quali prese di posizione a livello nazionale potrà far capire di avere una linea diversa da quella di Salvini? E davvero da Salvini è politicamente diverso, o è solo questione di stile? E può essere rassicurante pensare che una destra che tanti giornali si ostinano a immaginare civile possa essere tale, anziché estranea alla Costituzione repubblicana (nata dall’antifascismo e impregnata dei valori della Resistenza), se le scelte possibili si riducono alla padella, la brace e il calderone di Meloni, Salvini e Zaia?
Zingaretti ha vinto, certamente. Da settimane si rimpallavano angosce di un cappotto o quasi della destra, il risultato delle regionali è un sostanziale pareggio, la sua segreteria non corre più rischi. Ma come può mettere a frutto questo successo? Perché a guardare più da vicino i tre risultati positivi, la vittoria di Zingaretti assume altri colori e altri nomi. In Toscana ha vinto la paura, non certo l’orribile candidato Giani. In Campania non ha vinto il Pd, ha vinto De Luca, la sua lista personale oscura quella del partito, e soprattutto la quindicina (!) di liste civiche, vulgo clientelari, acchiappa un elettore su quattro. Quale che sia il progetto di Zingaretti, come potrà mai essere di squallore tale da sedurre questi elettori (e allontanare quelli davvero democratici)? In Puglia la cosa è meno soffocante, ma anche qui le liste di clientele fanno larghissimamente aggio su quelle di partito (di valori è meglio non parlare).
Il governo dovrebbe arrivare a fine legislatura, un terzo dei parlamentari sa che matematicamente non potrà essere rieletto, molti altri non lo potranno politicamente, difficile che arrivino al masochismo delle elezioni anticipate. Ancora due anni e mezzo di governo Conte, perciò. Di alleanza Pd-M5S. Per fare cosa? I due partiti sono in disaccordo quasi su tutto. Mentre la valanga di miliardi in arrivo impone scelte strategiche, priorità dirimenti. Sanità e scuola, ovviamente: puntando sul pubblico (come vorrebbe la Costituzione) o munificando anche il privato, come oscenamente fatto in Lombardia, Formigoni regnante e anche dopo, ma anche nel Lazio di Zingaretti, o realizzando un vero servizio nazionale, con risorse di danaro e medici e infermieri nella prevenzione, completamente trascurata? E con una ineludibile neo-centralizzazione della Sanità, oggi feudalizzata regionalmente.
E le altrettante valanghe di miliardi che invece vengono annualmente sottratte dall’evasione e dalla corruzione? Si continuerà a non fare nulla, come sempre avvenuto, perché l’evasione è di massa, e la corruzione anche? O si comincerà a colpire con brutalità la grande evasione e la grande corruzione, cioè pezzi importanti dell’establishment diffuso, rendendosi credibili anche presso gli evasori e corrotti più piccoli, convincendoli che la legalità diventerebbe un vantaggio anche per loro?
E su misure di libertà civile, come l’eutanasia, con la Corte Costituzionale che richiama il parlamento a operare (in conformità alla Costituzione, ovviamente, non alle gerarchie di Madre Chiesa), quanto potrà traccheggiare, e come saprà resistere alle pretese clericali, calpestando maggioranze che i sondaggi indicano schiaccianti per la libertà di ciascuno sul proprio fine vita, se il ministro della sanità, uno che ha fatto assai meno peggio degli altri, non si vergogna di nominare un vescovo (degnissima persona, monsignor Paglia, e anche un amico, e tuttavia …) a capo di una commissione che deve riformare l’assistenza alla vecchiaia? Insomma, senza una politica che sappia conquistare gli animi (preferirei “entusiasmare”, ma so che sarebbe massimalistico wishful thinking, anche se sacrosanto) tra due anni e mezzo la vittoria della destra, che ha la Costituzione repubblicana “in gran dispitto”, ha dalla sua fiumi di probabilità.
Non ho dimenticato il referendum. Il sì ha vinto in modo massiccio. Ha vinto malgrado tutti i partiti, che pure avevano approvato in parlamento la riduzione dei seggi, settimana dopo settimana non abbiano fatto altro che far trapelare ragioni per il “no”, a destra con Berlusconi e Meloni esplicitamente, e con un pezzo di Lega tramite Giorgetti, nella non-destra con molti esponenti del Pd. E poi con quasi tutti i quotidiani e i media.
Ovvio che Di Maio cercherà di far passare questo sì come la sua vittoria. Modo risibile per occultare che intanto il M5S è in fase di estinzione, e quando si andrà al voto dovrà sorridere se non scenderà alla percentuale a una cifra.
Conte ha ora l’occasione della sua vita, lunga addirittura due anni e mezzo. Inutile ripetere che solo una politica energica, audace, visibile, di “giustizia-e-libertà” potrà evitare il ritorno della destra. È così, ma temo che proprio non sia in grado di capirlo perché non è in grado di volerlo, non sono i suoi valori politici.
Nel frattempo sembra che per noi cittadini ci sia poco o nulla da fare, non sembra aria da movimenti di società civile, nemmeno movimenti di opinione. Proviamo almeno, ciascuno nel suo piccolo, nella sua nicchia, molecolarmente, a fare “come se”, a continuare in modo intransigente a ribadire “giustizia-e-libertà”, contando che tantissimi altri, dispersi, sparpagliati, disorganizzati, stiano facendo lo stesso. Magari qualcosa prima o poi si vedrà, cristallizzerà.
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