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Con don Giorgio Rossi nel decennale della sua morte, leggendo alcune sue poesie

Copertina l_ dove si schiudono i cancelli del cieloDon Giorgio Rossi, sacerdote salesiano, cessava la propria esistenza terrena l’otto dicembre 2010, giorno dell’Immacolata, festa sacra per tutta la Famiglia Salesiana, l’inizio dell’oratorio di Valdocco. Era nato a Lugo di Romagna, provincia di Ravenna il 6 luglio 1938. Ordinato sacerdote nel 1969, prestò la sua opera in varie sedi dell’ex Ispettoria Adriatica. Amava la poesia. Nell’oratorio San Domenico Savio, parrocchia San Marone di Civitanova Marche, dove svolse l’ultimo servizio, dopo la sua morte, trovai al secondo piano dell’edificio, tra libri impolverati, due testi con la firma di don Giorgio: Lorenzo Milani, alla mamma lettere 1943 – 1967, edizione integrale annotata a cura di Giuseppe Battelli, Editrice Marietti, 1990 e La poesia italiana dal 1960 a oggi, a cura di Daniele Piccini, BUR, 2005. Un professore universitario, grande esperto di letteratura poetica, al quale raccontai la scoperta fatta, si chiedeva meravigliato come era possibile che un sacerdote salesiano leggesse il libro di Piccini. Don Giorgio ricuciva palloni di cuoio, sempre pochi per il campetto dell’oratorio che ne divorava a centinaia, suonava la chitarra, leggeva, scriveva poesie e nella messa teneva omelie che non annoiavano affatto.

Nel 2011, l’anno successivo alla sua morte, la parrocchia San Marone stampò un libretto di poesie scritte da don Giorgio. Il progetto fu finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio della provincia di Macerata. Il volume, dal titolo La dove si schiudono i cancelli del cielo, contiene quarantuno testi e diverse incisioni, opera di Manuela Cerolini e di Ilaria Pellerito. In copertina è riprodotta una incisione di Manuela Cerolini: Ricucire. L’immagine è un pallone di cuoio ricucito. Il libricino, di sessantotto pagine, compresi alcuni aforismi dal titolo Vela Bianca, è diviso in quattro parti: Preghiere, alla Vergine, a mia mamma, luoghi e tempi. In quest’ultima parte è riportata una lunga poesia scritta da don Giorgio e dedicata al monte Morrone, la montagna abruzzese che sovrasta la città di Sulmona, dove il sacerdote salesiano prestò la propria opera, quale incaricato dell’oratorio per molti anni. Tra tutte le cariche, don Giorgio amava solo quella di incaricato dell’oratorio.

Al Morrone

L’incipit della poesia sembra voglia rimandare ai primi versi de “l’aquilone” di Giovanni Pascoli: “C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria”. Il nuovo nei sogni di don Giorgio è il vento. Scrive infatti: “C’è un forte vento / nei miei sogni / un vento che / odora di muschio e di resina, / un vento appeso a grappoli di stelle / un vento che racconta di lupi in ascolto, / di orsi dai grandi occhi umidi, / è il vento che scioglie il Morrone / dai suoi lacci bruni di antiche favole” (Giorgio Rossi, Al Morrone, in “Là dove si schiudono i cancelli del cielo Poesia”, pag. 59, Grafiche Fioroni, Casette D’Ete (FM), 2011).

Il monte Morrone diventa una persona viva con cui dialogare, come faceva Giacomo Leopardi con la Luna: “Che fai tu, luna in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa luna?” (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante nell’Asia). Il Morrone è montagna viva che si innalza ai “Cancelli del cielo”. Questa espressione dà il titolo ad una poesia e ritorna più volte in tutte le poesie di don Giorgio, tanto da suggerire il titolo alla raccolta. “Morrone, montagna viva / che ai cancelli del cielo / allunghi le dita scure dei tuoi faggi / dove corri stanotte? / Forse sui sentieri nervosi / che intessono suoi tuoi fianchi brevi / le trame scure dei tuoi boschi / e delle tue radure macchiate di gazze?” (Ibidem).

Il dialogo con il monte Morrone è anche con Pietro da Morrone, l’umile fraticello che fece degli anfratti e delle caverne naturali della montagna la propria dimora per vivere di preghiera e lontano dal mondo. Gli eremi sono distribuiti per tutto il monte Morrone e per la Majella, conosciuta quest’ultima in tutto il mondo come la Tebaide dell’Abruzzo. Don Giorgio si rivolge direttamente al monte perché gli parli di Pietro: “Troverai ancora le soffici orme / del piccolo frate bianco / appeso al suo bastone antico? / Pietro da Morrone, ascolta, non correre, / fermati ancora, come una volta / sulla sottana nera trapunta / ai tuoi fianchi del tuo Morrone fratello, / riposati, e semina ancora dietro di te, / eremi di pace assorta e chiostri verdi, / di’ ancora le tue orazioni / qui sul cuore bruno del tuo Morrone” (Ibidem).

Un appello accorato rivolge a Pietro da Morrone: “Prendi ancora per mano il tuo Dio, / strappalo a quel suo cielo lontano, / e riconducilo piano, come un tempo / tra le luci chiacchierine / dei paesi montani, / grappoli di lanterne sorrette / da angeli, / e sui passi e sulle forre / dove il croco sbircia le piccole lontre, / dove l’erba dei prati è gonfia di vento, / dove le rondini tessono trame di gioia / contro i fianchi turchini del Morrone”. I paesi montani sono come grappoli di lanterne sorrette da angeli. Don Giorgio conosceva molto bene tutti i paesi appollaiati a mezza costa sul versante della Majella e del Morrone. Da Sulmona raggiungeva San Valentino e Caramanico in motorino.

Di ogni paese conosceva tutte le leggende tramandate nei secoli e riproposte dalle amministrazioni locali ogni anno in occasione di feste popolari. Non c’era eremo del Morrone o della Majella che non avesse raggiunto. Il più vicino a Sulmona è il conosciutissimo eremo di Sant’Onofrio. In Abruzzo, prima a Sulmona, poi ad Ortona, don Giorgio ha trascorso molti anni. Amava la regione come se fosse una sua nuova patria. Nella poesia, trova nel monte Morrone un nuovo amico con cui dialogare ancora: “Mio Morrone, quando la prima neve / copre la tua pelle, / raccontano le leggende / che folate di angeli scendono / a baciarti piano con le ali / e nascono fiori e nascono colori. / le nuvole cantano lunghe canzoni / tra i solchi vivi del tuo viso arricciato / dove giocano le poiane / nell’abbrivio lento del volo a planare, / regine dolci, giù nella valle di perla”. La musicalità dei versi, ricchi di enjambement, è come cadenzata. La descrizione della breve vallata sottostante alla montagna è magica.

Don Giorgio, nelle sue omelie brevi ma cariche di messaggi, amava spesso citare i pastori d’Abruzzo che avrà visto cento volte nel corso dei campi estivi fatti con i ragazzi dell’oratorio. La montagna invita al silenzio e alla contemplazione. La Bellezza esiste e don Giorgio la spiegava così:  “Dio non ha niente a che fare con la religione, ma con la bellezza e la verità. Perché la bellezza è verità e la verità bellezza” (pag. 68). E’ uno dei suoi tanti aforismi. La valle gli ricordava forse l’amata campagna di Lugo di Romagna: “Nella valle qualcuno cammina / invisibile tra i rami, / si ode soltanto un breve frusciare d’erba. / Il fieno raccolto tondeggia di luce. / E l’azzurro è ancora lì, / montagna divina, / a fasciarti i fianchi e le spalle aguzze, / dove i pastori calmi rigano / i loro tratturi, passo dopo passo”.

I sogni del poeta sono affidati alla grande montagna amica: “Io ti respiro mio Morrone, / mia montagna grande, mia montagna forte, / e se le tue radici / dipanano i miei pensieri inquieti, / sciogli nel tuo lungo abbraccio / i miei sogni e la mia gente, / perché sei tu il mio canto che mi afferra / e mi fa volare dove i rovi non feriscono / e le aquile hanno occhi profondi / per dissetarsi di sole. / E così è”.

Dalla mia finestra

Da buon romagnolo espansivo e verace – don Giorgio è stato sempre capace di entrare in sintonia con la gente, facendosi giovane con i ragazzi, anziano con i vecchi e negli ultimi anni della sua vita, dopo l’amputazione di una gamba, disabile con i malati” (Cfr. La dove si schiudono i cancelli del cielo, quarta pagina di copertina, risvolto). E’ stato ospite per circa un anno al Santo Stefano di Porto Potenza Picena. Da San Marone, andavamo in molti a trovarlo, soprattutto di sabato pomeriggio. Pur con una protesi, celebrava la Messa nella cappellina dell’Istituto. Dalla sua camera di degenza osservava il mare poco distante e la poesia prendeva forma. Ricordo che me ne fece leggere alcuni versi. Stava trovando la forma più limpida del testo e qualche enjambement in più.

“Magia delle ore antelucane! / Sul velluto blu del mare / si appisolano pigre vongolare / col dito puntato ad una goccia di luna. // Le stelle sono lacrime non piante / che si asciugano nel vento. / E nel vento si allunga la vela blu del Conero / che si stiracchia sonnacchioso / nel cielo di perla: cosa sogna? / Con chi parla? / Sulle punte umide degli scogli / i gabbiani / stendono il loro sommesso parlottare / come ragazze alla veranda / che si confidano segreti” (Giorgio Rossi, La dove si schiudono i cancelli del cielo, pag. 63). Sembra un quadro impressionista. Tutto è al proprio posto: il mare, le vongolare, il Conero che, dopo il sonno della notte, si sveglia ancora sonnacchioso, i gabbiani che ciarlano tra loro sulla sommità degli scogli.

Nei versi successivi ritornano i cancelli che si schiudono al nuovo giorno: “La stella del mattino / ha terminato il suo turno di veglia / e se ne va, regina delle albe, / oltre i cancelli della notte. / Ed eccolo, eccolo lì, il sole nuovo / con la flottiglia delle nuvole / che salgono al nord, / al giro di boa della luna nuova, / a bucare l’orizzonte con la punta d’oro”.

Gli ultimi versi della poesia rimandano ad una riflessione che si apre all’attesa del futuro: “La poca luce sbiadisce / le ombre diafane e sinuose. / L’aria sa di buono, sa di sale: / Signore, questa è l’ora, / quando verrai? / Bussa ti prego: io sono lì” (Ibidem, pag. 64).

Alla mamma

Nella raccolta sono cinque le poesie dedicate alla mamma. Come per ogni sacerdote, la mamma rappresentava anche per lui la continuità con il passato e l’àncora a cui ritornare nel momenti di nostalgia o di sconforto. Amava anche documentarsi e leggere le lettere scritte da don Lorenzo Milani alla mamma, ma non la prima edizione, curata da Alice Weis, la mamma del priore di Barbiana, ma l’edizione integrale curata da Giuseppe Battelli. Ricordo anche che gli diedi da leggere un documento sulla persona, l’opera, il pensiero di don Lorenzo Milani, che avevo scritto per la Scuola Media di Verano Brianza (Mb), quando insegnavo e abitavo ancora in Brianza. Era nulla di eccezionale, solo una piccola biografia del priore di Barbiana, nella cui stesura avevo utilizzato il libro di Neera Fallaci. “Dalla parte dell’ultimo, vita del prete Lorenzo Milani, Libri Edizioni, Milano 1974. Rimase contentissimo. I suoi superiori lo avevano sconsigliato di leggere la biografia di don Milani scritta da Neera Fallaci. Chissà perché mai questo invito, quasi divieto. Don Milani era sì un prete ribelle ma obbedientissimo alla Chiesa, fossero costati anche l’esilio e l’amarginazione sul monte Giovi, dove era stato mandato quasi come in un ideale penitenziario ecclesiastico. Non ci fu verso di trovare in lui il benché minimo sospetto di eresia.

Il ricordo della mamma nella poesia che apre la sezione della raccolta è di una tenerezza di figlio che fa commuovere: “Scendevi nel crepuscolo portando / la fragranza dei fieni appena smorza / recisi con la falce del meriggio. // Il passo tuo era, all’ombra della sera, / tra le ortiche e i papaveri, vela / tuffata nell’ansia del tramonto. // Non so perché, talvolta tu rientri / nel mio cuore con la luna e con le siepi / come un fantasma / e sopra la rugiada / dei prati ricordo il tuo giaciglio, / aperto al sole e al veto in primavera. // Tra vigna e vigna in mezzo a quei poderi / scalza, la mano stanca su la vanga, / ti ricordo, / o mamma; / furtiva su l’aspra salita del fiume / saliva la sera” (Giorgio Rossi, op. cit. pag. 41). E’ il paesaggio della bassa.

Don Giorgio era un sognatore. Oggi le utopie non albergano più nelle strade del mondo. Quelli che ancora le hanno sono pochi e devono fare i conti con il cinismo e l’opportunismo di tanti. Ricordo la sua grande passione per Pierangelo Bertoli. Forse non ci sono versi più belli per ricordare don Giorgio di quelli del cantautore emiliano: “Canterò le mie canzoni per la strada / ed affronterò la vita a muso duro / un guerriero senza patria  e senza spada / con un piede nel passato / e lo sguardo diritto e aperto nel futuro…”. Uno degli altri aforismi che don Giorgio era solito usare: “Le persone non sono morte quando giacciono nella tomba, ma quando un giorno rinunciano ai loro sogni”. E ancora, citando in parte Scott Fitzgerald, amava dire: “Tu vedi delle cose e dici: perché? Ma io sogno delle cose mai viste e dico: perché no? (Ibidem, op.cit. pag. 68).

Nel giorno del suo funerale, celebrato nella chiesa di Cristo Re, a Civitanova Marche, venerdì 10 dicembre 2010, arrivarono ragazzi, giovani, adulti, ragazze e mamme da ogni dove, da Sulmona, Ortona, Vasto, Terni, Macerata, Ancona, Roma, Porto Recanati, luoghi diversi nei quali don Giorgio aveva svolto la propria missione. Per un pomeriggio Civitanova Marche fu l’epicentro dei ricordi, spenti tra un singhiozzo e l’altro, il fazzoletto tra le mani ad asciugare qualche lacrima che scendeva ora furtiva ora copiosa. Duemila le persone intervenute al suo funerale? Non si saprà mai il numero esatto. Tanti furono costretti a rimanere fuori dal tempio. Era venuto a mancare l’amico di tutti: bambini, ragazzi, giovani, adulti e vecchi. Gli occhi di tanti ragazzi erano lucidi per le lacrime versate. Si aggrappavano gli uni agli altri come per confortarsi a vicenda. Con loro c’erano i propri genitori, già ragazzi anche loro, quando avevano conosciuto don Giorgio nel pieno delle sue forze.

Ci sono valori e testimonianze che don Giorgio ci ha lasciato, come ricordò l’allora ispettore della Congregazione Salesiana, don Alberto Lorenzelli, nel corso dell’omelia, davanti ad un pubblico attento e commosso, presenti le autorità cittadine. E se don Giorgio non c’è più fisicamente, continuano a parlarci le sue parole, il suo amore per il lavoro presso l’oratorio, le cose semplici che lui amava e che hanno tanto suscitato commozione in chi lo ha conosciuto. Sta a tutti noi essere attenti a non perderne la memoria. Viviamo nel presente, ma tutto il presente sfuma nel passato ed in quanto tale diventa memoria. Il presente è solo un’illusione. Esistono solo la memoria del passato e l’attesa del futuro che è sempre costruito con la saggezza delle esperienze che accumuliamo nel tempo.

Ora, dopo dieci anni dalla sua morte, mi è piaciuto ricordarlo con alcune sue poesie raccolte nel volume citato. La morte non finisce nulla, cantava Rafael Alberti. Chi ha conosciuto don Giorgio forse ha tanti ricordi legati al tempo trascorso nei campetti dei diversi oratori. Perché non ricordalo con qualche commento? Quanto a me provvederò a pubblicare sul sito altri pezzi delle sue poesie, soprattutto quelle contenute nelle altre sezioni del libricino. Nella casa salesiana di Civitanova Marche ci sono ancora delle copie del libro “La dove si schiudono i cancelli del cielo”. Basta  richiederle.

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