di Davide Morelli
Il Q.i(o quoziente di intelligenza) è il risultato della seguente formula: (età mentale/ età cronologica) x 100. La media è di 100 punti. Un individuo comunque che ottiene un punteggio tra 90 e 100 ha un’intelligenza nella norma. La frequenza dei punteggi nella popolazione viene rappresentata dalla curva gaussiana. Per misurare il Q.i gli psicologi utilizzano test standardizzati. Nel vocabolario della Treccani alla voce “quoziente” c’è scritto: “d. in psicometria , Q. di intelligenza o intellettuale o intellettivo(abbrev. Q.I), valutazione del livello di intelligenza di soggetti in età evolutiva, espressa con un numero che costituisce il rapporto percentuale tra l’età mentale , valutata con uno speciale test, e l’età cronologica, calcolata in mesi(articolata in 7 livelli che vanno dal massimo di 1,28 intelligenza eccezionale, al minimo di 0,65, oligofrenia per deficienza); tali risultati sono in genere considerati come mera indicazione, in quanto possono variare, anche in forte misura, a seconda del momento di somministrazione del test e del tipo di test utilizzato. Un metodo analogo viene usato a volte anche per adulti, e in questo caso il quoziente esprime il rapporto tra il livello intellettivo del soggetto in esame e quello di un soggetto “medio” della stessa età e condizione socio-culturale”. È una definizione discutibile, ma riesce a dare l’idea di quanto la questione sia controversa. Passiamo oltre. Già nell’impero cinese, nell’antica Grecia e nell’antico Egitto(per diventare scribi) gli individui si sottoponevano a prove di presunta intelligenza. Ma il primo test moderno di intelligenza lo dobbiamo a Binet nel 1905 in Francia. Nel giro di pochi anni questo test venne esportato negli USA e in Inghilterra. Colui che inventò il concetto di Q.i fu Stern nel 1912. I test di intelligenza divennero famosi nella prima guerra mondiale in America quando vennero somministrati i test Alpha e Beta alle reclute dell’esercito per selezionarle. Oggi, anno dopo anno, si diffondono sempre più anche in Italia. Oggi anche nel nostro Paese se ne fa largo uso nelle aziende, nelle università, nei concorsi pubblici, tra militari, in ospedali. Sembra quasi che le organizzazioni si ispirino alla sottocultura dei test e dei quiz televisivi o forse più semplicemente i test sono così diffusi in quanto c’è bisogno solo di carta e penna. Tutti pensano di poter valutare facilmente l’intelligenza altrui: di solito la valutano in base al rendimento scolastico o in base al successo professionale. Gli stessi insegnanti, anche senza una adeguata preparazione psicologica, pensano di poter valutare facilmente l’intelligenza degli alunni. Talvolta, specie nell’adolescenza, i fattori che determinano un buon o uno scarso rendimento scolastico sono altri: ad esempio lo sviluppo psicofisico( una ragazza sviluppata sarà senza dubbio più diligente e quindi più brava di un suo coetaneo ancora non sviluppato) oppure la separazione dei genitori oppure essere vittima di bullismo oppure una sindrome da deficit di attenzione o molto più semplicemente scarso impegno o difficoltà di concentrazione. Quindi per una misurazione attendibile bisogna andare da uno specialista(psicologo, psichiatra o psicoterapeuta): riviste e libri con i test non sono validi scientificamente( i test validi sono protetti da diritto d’autore e non si trovano in alcun libro o rivista). Ma anche i test di intelligenza standardizzati sono perfettibili. Innanzitutto c’è un problema di ordine metodologico. Il Q.i infatti è una misurazione indiretta soggettiva. Faccio un esempio. Misurare con un metro il lato di un tavolo è una misurazione diretta oggettiva. Calcolare l’area di un tavolo è una misurazione indiretta oggettiva. Ma un professore di psicologia ,che voglia ideare una scala di intelligenza , deve dare una definizione operativa di intelligenza(soggettiva). Ad esempio un ricercatore potrebbe definire l’intelligenza come la capacità di adattarsi meglio all’ambiente. Un altro ricercatore potrebbe definire l’intelligenza come la capacità di apprendere. Un altro ancora potrebbe definire l’intelligenza come problem solving. Un altro ancora potrebbe definirla come la capacità di elaborazione di dati. Un altro potrebbe definirla come capacità di astrazione. Per il grande psicologo Piaget l’intelligenza “è ciò che si fa quando non sappiamo cosa fare”. Sono tutte definizioni plausibili, che darebbero luogo a test di intelligenza molto diversi tra loro ed è possibile che, una volta standardizzati, si scopra scarse correlazioni(il coefficiente di correlazione ci dice se due variabili sono in relazione tra di loro. La correlazione è positiva quando la relazione è diretta e le due variabili crescono o decrescono insieme. La correlazione invece è negativa quando è inversa. Il valore ci dice l’intensità di questo rapporto tra due variabili e varia tra 0 e 1(- o +). Nel caso in cui sia 0 allora non c’è alcuna relazione tra le due variabili). Ma la questione della definizione operativa non è l’unico problema di ordine metodologico. Per dirla in termini psicologici alcuni test di intelligenza sono attendibili( nel senso che c’è coerenza dei risultati ottenuti dai soggetti in diversi periodi….almeno per soggetti adulti), ma sono criticabili per quanto riguarda la validità di costrutto per il semplice motivo che l’intelligenza è un costrutto complesso. Probabilmente ci sarebbe più bisogno di studi sperimentali( ricerca di base, formulazione di ipotesi, studi qualitativi, comprensione dei processi), mentre invece attualmente sono stati fatti soprattutto studi psicometrici(ricerche longitudinali, misurazione delle differenze individuali, studi quantitativi). Un altro problema sorge nei soggetti a cui viene somministrato il test. Con buona pace dei comportamentisti non è detto che tra lo stimolo e la risposta non si situi qualche variabile interveniente come l’ansia, la depressione, la distrazione, l’originalità: variabili intervenienti che possono alterare il risultato del Q.i e far abbassare i punteggi dei soggetti in questione. I test del Q.i possono aiutare le persone nell’orientamento scolastico e nell’orientamento professionale. Inoltre i test possono essere anche un valido strumento diagnostico per valutare le prestazioni intellettive di pazienti, che hanno avuto traumi cranici o altri problemi neurologici. È stato però scoperto che alcuni pazienti possono soffrire di una sindrome frontale, avere Q.i elevati e nonostante questo avere dei deficit di intelligenza sociali(avere cioè comportamenti non appropriati). I test del Q.i possono avere una buona capacità predittiva per quanto riguarda i risultati scolastici e la carriera, ma può darsi anche che tutto ciò possa essere determinato in parte anche dalla cosiddetta profezia che si autoavvera. Come per tutti i test anche per i test di intelligenza ci sono i falsi positivi( persone che ottengono punteggi elevati e poi hanno prestazioni scarse a scuola o al lavoro) oppure falsi negativi(l’esatto contrario dei falsi positivi). La psicologia non è mai stata una scienza esatta e forse non lo sarà mai: falsi positivi e falsi negativi ci saranno sempre in test psicologici. Inoltre alcuni psicologi hanno fatto una distinzione tra pensiero convergente e pensiero divergente(il pensiero creativo). Secondo questi studiosi il Q.i misurerebbe il pensiero convergente. Per risolvere problemi che hanno un’unica soluzione plausibile(secondo gli ideatori dei test) è necessario il pensiero convergente, che non richiede alcun tipo di apertura mentale. Il pensiero divergente invece, partendo da una traccia iniziale, conduce ad una molteplicità di idee originali e diverse tra di loro. Come se non bastasse spesso nelle scale di intelligenza ci sono alcuni item a risposta multipla. I principali difetti di questi item sono che i soggetti possono tirare a caso ed indovinare oppure che possono copiare facilmente se sono in gruppo. Forse è totalmente errato sottoporre gli studenti che vogliono entrare alla facoltà di medicina a 60 quesiti a risposta multipla( 5 opzioni di risposta) riguardanti la chimica, la biologia, la fisica, la matematica, la logica, la cultura generale. Per evitare che gli studenti tirino a indovinare probabilmente tolgono 0,4 punti per ogni risposta sbagliata, mentre non dare alcuna risposta vale 0 punti. Ma ciò non toglie i limiti del l’impiego dei test a risposta multipla. Non controbilancia alcunché. Forse è totalmente errato che tutte le facoltà universitarie stiano diventando a numero chiuso. Forse è antidemocratico. C’è un principio che si chiama diritto allo studio, che viene prima della qualità della didattica. Forse il numero chiuso è un modo per standardizzare la logica umana e il sapere. E se fosse in atto una normalizzazione della classe dirigente? Ma ritorniamo ai test di intelligenza. Spesso è più importante valutare le attitudini specifiche di un individuo(le abilità mentali come le capacità verbali, le capacità numeriche, la visualizzazione spaziale, il ragionamento, la memoria, etc etc) che il fattore g( l’intelligenza generale). Infine c’è un altro problema: il concetto di età mentale è arbitrario e senza senso per gli adulti. Per i bambini ha un significato perché un bambino di 5 anni con un q.i di 120 può andare a scuola con un anno di anticipo. Un bambino di 4 anni con un Q.i di 150 invece potrebbe andare a scuola con due anni di anticipo. Ma che senso ha tutto ciò per un adulto ? Cosa significa per un adulto di 60 anni con un q.i di 150 punti dire che ha un età mentale di 90 ? Significa forse che ha la prontezza mentale di un novantenne ? E che senso ha dire che un adulto di 60 anni con un q.i di 50 punti ha un età mentale di 30 anni ? Significa forse che ha la prontezza mentale di un trentenne ? Sappiamo in entrambi i casi che sono affermazioni assurde e senza senso. Come se non bastasse da decenni ormai ci sono delle polemiche per quanto riguarda il Q.i e le cosiddette “razze”. Secondo alcuni studi le persone di colore avrebbero punteggi inferiori ai caucasici. Non sappiamo però cosa misuri effettivamente il Q.i e se misuri qualcosa. Non sappiamo poi se sia più determinante l’ereditarietà o l’ambiente per quel che riguarda il Q.i. Da decenni fanno ricerche su gemelli identici separati, correlazioni di consanguineità e bambini adottati. Ma eredità ed ambiente interagiscono sempre; ció che è innato è difficile da separare da ciò che è acquisito e non va dimenticato che dna e ambiente sono solo due delle molte variabili, che possono determinare il successo, il reddito, il grado di istruzione di una persona: possono incidere anche fattori come la motivazione, l’impegno, la fortuna. Nella storia della psicologia ci sono stati sia genetisti che sfegatati ambientalisti, ma attualmente sappiamo che calcolare il livello mentale di un individuo non è facile come misurare l’altezza. Recentemente si sa che l’ereditarietà del Q.i è poligenica, ma non sappiamo quali sono esattamente i geni che la determinano. Non solo, ma come ha dimostrato Kamin molti psicologi nei primi decenni del novecento, che avevano fatto ricerche sul l’intelligenza, prima ancora che studiosi erano degli ideologi e le loro ideologie erano il determinismo biologico e il darwinismo sociale. Alcuni psicologi americani falsificarono i dati delle loro ricerche nel secolo scorso. Ad esempio nel 1912 furono somministrati i test di Binet agli immigrati. Secondo queste ricerche l’83% degli ebrei, l’80% degli ungheresi, il 79% degli italiani erano dei ritardati mentali. In questo caso la psicologia era serva di una politica conservatrice, che voleva limitare l’immigrazione proveniente dall’Europa. In definitiva le differenze di intelligenza esistono, ma non sono così facilmente quantificabili come alcuni vorrebbero far credere. Esistono infatti molte definizioni di intelligenza e come se non bastasse gli ideatori dei test di intelligenza avrebbero la pretesa di crearli “culture free”, ma nessuna intelligenza umana si può separare nettamente dalla cultura degli ideatori e dei soggetti presi in esame. Non esisteranno mai test totalmente culture free. Alessandro Antonietti fa alcuni esempi di come il concetto di intelligenza dipenda dal contesto culturale. Per una popolazione indigena dello Zimbawe intelligenza significa cautela nelle relazioni sociali. Per i cittadini del Niger intelligenza significa rispetto delle tradizioni sociali e culturali. Per i giapponesi sono persone intelligenti coloro che pensano rapidamente, riescono a sintetizzare, hanno buoni risultati scolastici, prendono velocemente decisioni. Ogni professore ha la propria mentalità e cultura. Si pensi soltanto che per ideare dei test di intelligenza non può prescindere dalla propria cultura. Inoltre è sempre difficile separare nettamente abilità(innate) e competenze(acquisite) oppure attitudine e interesse. È difficile distinguere tra la componente cognitiva, quella culturale e quella motivazionale. Non è questione di essere fautori e nemmeno detrattori di questi test. Sicuramente sono meglio di una raccomandazione per selezionare il candidato migliore e a mio avviso sono meno attendibili di un periodo di prova per un candidato. Comunque per chi si credesse un genio può contattare l’associazione Mensa, un club internazionale per plusdotati. Ma solo il 2% della popolazione risulta avere i requisiti per accedervi. Non dimentichiamoci una cosa : anche il Q.i ha i suoi paradossi. Ad esempio lo scrittore Salinger aveva un Q.i di 104 punti; J.F.Kennedy un Q.i di 119; Andy Warhol un Q.i di 86; il premio Nobel Watson, che assieme a Crick scoprì la struttura a doppia elica del Dna, aveva un Q.i di 115. Invece Madonna e Shakira hanno un Q.i di 140 punti. Infine un’ultima cosa: spesso sui giornali leggiamo che secondo alcune ricerche le donne sono più intelligenti degli uomini, i bianchi più intelligenti dei neri, gli orientali più intelligenti degli occidentali, i mancini più o meno intelligenti dei destri, i ricchi più intelligenti dei poveri, i più istruiti più intelligenti di chi ha studiato meno. Gli esperti potrebbero dirci che i campioni delle ricerche sono rappresentativi dell’intera popolazione. Ma anche se i test fossero somministrati a milioni di persone sulla faccia della terra siamo sempre in 7 miliardi attualmente. Sarebbero quindi sempre generalizzazioni indebite. Non solo ma oltre ai limiti della statistica induttiva ci sono anche i diversi limiti e difetti dei test di intelligenza, che secondo Rita Levi Montalcini godono di “una fama immeritata”(molto probabilmente perché sono costituiti da batterie di reattivi mentali semplici da calcolare e a causa anche della loro pretesa oggettività) e che secondo il premio Nobel non possono avere nessuna pretesa di scientificità. Bisogna quindi ricordarci che l’utilizzo di questi test ha delle implicazioni etiche in quanto può discriminare un gruppo di persone o un’etnia. Ma ora veniamo ad altro. Che dire della creatività ? Spesso si scambia la creatività con la bizzarria e l’eccentricità. È difficile definirla e allo stato attuale delle conoscenze è impossibile trovare dei correlati neurofisiologici, vista la complessità dell’argomento e la limitatezza della conoscenza in materia. Tutti sono alla ricerca di creatività nell’arte, nella scienza, nell’imprenditoria, nel design, nella moda, nella pubblicità, nel management, nel giornalismo. Il creativo per antonomasia è chi scopre o inventa qualcosa. Scoperte fondamentali che hanno cambiato la storia dell’umanità sono quella del fuoco, della scrittura, della ruota, della polvere da sparo. Ma spesso non sappiamo chi sono stati gli autori di queste scoperte così importanti. Una scoperta può avvenire anche per serendipity, ma Pasteur sosteneva che la fortuna aiuta le menti preparate ed i latini invece ritenevano che la fortuna aiuta gli audaci. È impossibile pronunciarsi sulla fortuna perché la casistica nella vita è pressoché infinita. Creativo è chi pensa una cosa non ancora pensata. Ma per essere veramente creativi oltre alla ideazione ci deve essere la realizzazione. L’uomo con la sua creatività ha dominato la natura, ma questa sarà sempre più creativa dell’uomo. Per Roberto Vecchioni le donne sono detentrici della vera creatività perché fanno figli e agli uomini non resta che invidiare “il segreto di far nascere”. Ma c’è chi sostiene che anche la cultura sia biofila. Sono pochi i lavori che autorealizzano le persone: secondo Maslow coloro che svolgono lavori creativi si sentono autorealizzati e si sentono meno frustrati. In fondo per i creativi il lavoro è anche un gioco, conserva una componente ludica. Ci sono state la generazione del’68 e quella del’77 che volevano “l’immaginazione al potere”, volevano vivere fuori dagli schemi, ricercando la felicità. Forse chiedevano troppo. Per Vittorio Rubini anche la creatività è distribuita lungo un continuo attitudinale. Secondo altri il genio non è il non plus ultra dell’intelligenza, ma una felice combinazione di talento e sacrificio. C’è chi sostiene che Einstein da bambino si immaginasse di cavalcare raggi di sole. Si sa che da grande ha affermato che “la logica porta da a a b, mentre l’immaginazione porta dovunque”. Non tutti i bambini prodigio diventano geni. Anzi la stragrande maggioranza si perde per strada. Molti diventano eruditi ma la precocità non è necessariamente sinonimo di creatività. Forse c’è una legge non scritta, una regola comunque del buon senso, per cui i bambini devono fare cose da bambini e non fare i grandi. La creatività è significativamente correlata con l’istruzione per il fatto che per porsi problemi scientifici bisogna di solito essere scienziati, ma ci sono stati diversi casi nella storia di autodidatti o di intellettuali non brillanti scolasticamente. Ricordo il celebre detto italiano secondo cui i dilettanti hanno fatto l’arca di Noè ed i professionisti il Titanic. I premi Nobel italiani per la letteratura Quasimodo, Deledda, Montale e Fo erano autodidatti ad esempio. Persone molte colte possono spesso autocensurarsi ed inibirsi. In fondo per essere creativi bisogna esporsi e rischiare la brutta figura. Un tempo si parlava molto di creatività dei popoli latini. Noi italiani molto probabilmente per questo motivo ci sentiamo nati imparati. Secondo Orson Welles: «In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”. Per molto tempo la creatività non è stata studiata dagli psicologi. Solo Freud aveva dato un contributo. A lui si deve il concetto di sublimazione, secondo cui la libido può essere trasformata in energia creativa. La sublimazione è il meccanismo di difesa dell’io su cui si fonda l’intera cultura umana. Consiglio anche di leggere “il poeta e la fantasia”. Fu nel 1957, dopo il lancio dello Sputnik russo sulla luna, che venne messa sotto processo la scuola americana e gli americani iniziarono ad investire nel talento. Guilford in quegli anni presentò i suoi lavori sulla creatività. Secondo lo psicologo americano erano ben 120 le attitudini della mente. Distinse tra pensiero convergente(logica deduttiva comune) e pensiero divergente, che tra l’altro è simile al pensiero laterale dello psicologo De Bono: tutto sta a fare una analisi completa del problema e a vagliare tutte le possibili soluzioni senza scartarne alcuna, nemmeno le più improbabili e bizzarre. Chi è creativo ha una mente diversa? Segue una regola diversa? Non lo sappiamo. A chi vuole cercare di rispondere a questa domanda consiglio di leggere saggi di filosofia sul paradosso di Kripkenstein. I creativi sono diversi dagli altri? Per Carl Rogers i creativi sono persone “aperte all’esperienza”. Per altri studiosi sono degli anticonformisti. Difficile stabilire se siano associati dei tratti di personalità alla creatività. Ma la domanda principale è chiedersi che cosa sia la creatività. Secondo la scuola della Gestalt il pensiero produttivo consiste nel comprendere tutti gli aspetti del problema. Il soggetto quindi giunge alla soluzione , dopo averlo ristrutturato cognitivamente (insight) e dopo averlo ridotto ai termini essenziali e perciò semplificato. Altro contributo importante è quello di Wallas, che nel 1926 concluse che ogni scoperta scientifica è il risultato di quattro fasi: preparazione(studio, raccolta dei dati, analisi del problema), incubazione(rielaborazione inconscia dei dati), illuminazione(intuizione intellettuale), verifica. L’inconscio quindi sembra avere un ruolo determinante anche nella creatività scientifica. Ad esempio Kerulè scoprì la struttura dell’anello benzenico in sogno. Kerulè scrive: “voltai la sedia verso il caminetto e mi assopii. Ed ancora gli atomi saltellavano davanti ai miei occhi. Questa volta i gruppi più piccoli stavano con discrezione sullo sfondo. Il mio occhio mentale, reso più acuto da ripetute visioni di questo tipo, riusciva ora a distinguere strutture più ampie, di varia conformazione; lunghe file, a volte più vicine l’una all’altra; tutte che si combinavano e si contorcevano con movimenti di serpente. Ma ecco ! E quello cosa è? Uno dei serpenti aveva afferrato la propria coda, e la forma piroettava beffarda davanti ai miei occhi. Come per un improvviso lampo di luce mi svegliai….dobbiamo imparare dai sogni, cari signori”. È importante anche la testimonianza del matematico Poincarè. Il matematico francese scrive: “una sera contrariamente alle mie abitudini, bevvi del caffè, e non riuscii più ad addormentarmi: le idee mi si accavallavano nella mente, le sentivo come urtarsi fino a che due di loro, per così dire, si agganciarono per formare una combinazione stabile”. In questo caso si parla di incubazione, che è un periodo in cui l’inconscio riformula alcuni aspetti del problema, che fino ad allora analizzato dal punto di vista cosciente non sembrava avere alcuna soluzione. L’incubazione è quindi un lavorio inconscio che riesce a sbloccare la situazione mentale di stallo. Per quanto riguarda invece l’illuminazione Poincarè scrive : “arrivati a Coutamces, montammo su un trenino per non so quale passeggiata; nel momento in cui mettevo piede sul predellino , mi venne l’idea senza che niente nei miei precedenti pensieri sembrasse avermici preparato, che le trasformazioni che avevo usato per definire le funzioni di Fuchs fossero identiche a quelle della geometria non euclidea”. Spesso alcuni freni inibitori ostacolano la creatività. Secondo alcuni esperti per sbloccarla bisogna praticare zen, fare meditazione, rilassarsi, fare delle mappe mentali, fare il brainstorming( di Osborn). Secondo diversi studi la creatività artistica dovrebbe essere legata alla depressione, alla ciclotimia, alla psicosi maniaco-depressiva. Italo Calvino in “Lezioni americane” scrive che gli scrittori hanno un temperamento saturnino. Ottiero Ottieri ha scritto dei poemetti in cui ha trattato dei suoi disturbi di umori, curati dallo psichiatra Cassano. Ricordiamo a proposito “L’infermiera di Pisa”. Ma molto probabilmente i disturbi dell’umore o addirittura una eventuale psicopatologia tolgono alla creatività più che essere indispensabili, anche se c’è chi pensa che siano strettamente collegate genialità e follia. Si cita a sproposito i casi di Nietzsche, di Holderlin, di Torquato Tasso. C’è anche chi pensa che per essere artisti ci voglia la sregolatezza dei sensi e l’alterazione degli stati di coscienza, ma ciò è diseducativo e porta all’autodistruzione. Per essere creativi bisogna anche sapersi gestire. Invece per quanto riguarda la creatività scientifica risulta impossibile dare una definizione efficace ed esaustiva dell’intuizione e secondo molti studiosi non sarebbe correlata a nessun disturbo di umore. C’è chi ritiene che la creatività sia sinonimo di individualità ed individualismo; anche persone colte pensano che in gruppo ci sarebbero le cosiddette perdite di processo, dato che alcuni membri si disimpegnerebbero e regredirebbero. Insomma in gruppo ci sarebbero sabotatori e free rider. Ma in gruppo si può anche apprendere ed essere valorizzati, spronati e motivati. Infine i risultati delle ricerche sulla relazione tra Q.i e creatività. Si è parlato di una soglia(q.i di 120): le persone creative di solito raggiungono come minimo questo punteggio. Tutti sono concordi sul fatto che si possa essere intelligenti senza essere necessariamente creativi ma che per essere creativi si debba essere necessariamente intelligenti. Ma anche qui ritorniamo al solito punto: chi è davvero intelligente? Intelligenti sono coloro che hanno ottime prestazioni nei test di intelligenza. Ma lo stesso Cattell, uno dei più grandi studiosi dell’intelligenza umana, alla fine si chiese in un articolo scientifico se i test di intelligenza erano davvero intelligenti. Sappiamo per esperienza che anche i cosiddetti intelligenti possono fare cose stupide. Naturalmente è più raro che i cosiddetti stupidi facciano cose intelligenti, ma mai sottovalutare le persone e le loro potenzialità più o meno inespresse.
Se volete approfondire l’argomento consiglio di leggere:
⁃ Teorie del l’intelligenza- Robert Sternberg, Bompiani
⁃ I test nelle organizzazioni- Piergiorgio Argentero, Il mulino
⁃ The Bell curve: intelligence and the class structure in american life- Richard Herrnstein and Charles Murray
⁃ Scienza e politica del Q.i- Leon Kamin, Ubaldini Editore
⁃ Chi siamo. La storia della diversità umana- Luca e Francesco Cavalli Sforza, Mondadori
⁃ Razza o pregiudizio ? L’evoluzione dell’uomo fra natura e storia- Luca e Francesco Cavalli Sforza, Mondadori
⁃ Intelligenza e pregiudizio contro i fondamenti scientifici del razzismo- Gould Stephen, Il Saggiatore
In rete si può trovare in inglese un articolo del premio Nobel Lewontin sulla questione.
Altri che hanno criticato il Q.i:
-Il tuo futuro- Rita Levi Montalcini, Garzanti
-L’io e il suo cervello- John Eccles, Karl Popper- Armando editore
⁃ Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento- Gardner Howard, Erickson
Un altro tipo di intelligenza oltre a quella tradizionale del Q.i:
Intelligenza emotiva, Daniel Goleman, Rizzoli
A proposito della relazione tra Q.i e creatività e sulla creatività in genere:
⁃ La creatività – Arthur Cropley, Armando editore
⁃ Guida alla creatività – Robert Weisberg, Meb
⁃ L’arte della creativity- Alex Osborn, Franco Angeli
⁃ La creatività – Carlo Trombetta, Bompiani
⁃ La creatività- Vittorio Rubini, Giunti
⁃ I test di intelligenza sono intelligenti ? – Cattell R., Psicologia contemporanea
– Vide in sogno l’assetto delle molecole- Asimov I., in “Corriere della Sera”(20 Febbraio 1990)
– La psicologia dell’invenzione in campo matematico- Hadamard Jacques, Cortina Raffaello
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