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Cultura. Attenzione alle tendenze antiscientifiche. Giorgio Parisi all’Accademia dei Lincei

Fonte Internet

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“Viviamo in tempi non facili per la cultura e per la scienza. Le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche si diffondono largamente. La scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale”. Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento di Giorgio Parisi, fisico di fama internazionale e neopresidente dell’Accademia nazionale dei Lincei, all’inaugurazione dell’Anno Accademico 2018-2019.

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di Giorgio Parisi*

[…] Viviamo in tempi che non sono facili per la cultura e per la scienza. Ci sono molte difficoltà, problemi nuovi sia in Italia che nel mondo. L’Accademia dei Lincei deve avere un ruolo cruciale nell’analizzare le cause di questa situazione e cercare di proporre soluzioni.

Noi tutti qui presenti ci rendiamo conto che non è possibile lo sviluppo tecnologico senza un parallelo avanzamento della scienza pura. La scienza pura non solo fornisce alla scienza applicata le conoscenze necessarie per potersi sviluppare (linguaggi, metafore, quadri concettuali), ma ha anche un altro ruolo più nascosto e non meno importante. Infatti, le attività scientifiche di base funzionano anche come un gigantesco circuito di collaudo di prodotti tecnologici e di stimolo al consumo di beni ad alta tecnologia avanzata.

Questa profonda integrazione tra scienza e tecnica potrebbe far pensare che la scienza abbia un futuro radioso in una società che diventa sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata (i diffusissimi cellulari di adesso arrivano a una capacità di calcolo di centinaia di miliardi di operazioni aritmetiche al secondo, più o meno come i mastodontici super-computer di venticinque anni fa).

In realtà oggi sembra vero tutto il contrario: ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio della Scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente, le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche (vedi per esempio NoVax o il negazionismo della Xylella come origine della malattia degli ulivi pugliesi) si diffondono largamente insieme a un vorace consumismo tecnologico. Addirittura una prestigiosa università italiana è arrivata ad ospitare un corso sulla agricoltura biodinamica.

Non è facile capire fino in fondo quale sia l’origine di questo fenomeno; è possibile che questa sfiducia di massa nella scienza sia dovuta anche ad una certa arroganza degli scienziati che presentano la scienza come sapienza assoluta, rispetto agli altri saperi opinabili, anche nei casi in cui non lo è affatto. A volte l’arroganza consiste non nel cercare di far arrivare al pubblico le prove di cui si dispone, ma di chiedere un assenso incondizionato basato sulla fiducia negli esperti.

Proprio il rifiuto di non accettare i propri limiti può indebolire il prestigio degli scienziati, che a volte sbandierano un’eccessiva sicurezza, che non è fondata, davanti a un’opinione pubblica che in qualche modo ne avverte la parzialità di vedute e i limiti. A volte i cattivi divulgatori presentano i risultati della scienza quasi come una superiore stregoneria le cui motivazioni sono comprensibili solo agli iniziati. In questo modo chi non è scienziato può essere spinto in una posizione irrazionale di fronte a una scienza percepita come magia inaccessibile e quindi a preferire altre speranze irrazionali: se la scienza diventa una pseudomagia, perché non scegliere la magia vera piuttosto che un suo surrogato?

La scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale. Dovremmo avere il coraggio di prendere esempio da Robert Wilson che, nel 1969, di fronte ad un senatore americano che insistentemente chiedeva quali fossero le applicazioni della costruzione dell’acceleratore al Fermilab, vicino Chicago, e in particolare, se fosse utile militarmente per difendere il paese, gli rispose “il suo valore sta nell’amore per la cultura: è come la pittura, la scultura, la poesia, come tutte quelle attività di cui gli americani sono patriotticamente fieri; non serve per difendere il nostro paese, ma fa che valga la pena difendere il nostro paese.”

Per affermare la scienza come cultura, bisogna rendere la popolazione (almeno quella colta) consapevole di cosa è la scienza, di come la scienza e la cultura si intreccino l’una con l’altra, sia nel loro sviluppo storico sia nella pratica dei nostri giorni. Bisogna spiegare in maniera non magica cosa fanno gli scienziati viventi, quali sono le sfide dei nostri giorni. Non è facile, specialmente per le scienze dure dove la matematica gioca un ruolo essenziale. Tuttavia con un certo sforzo si possono ottenere ottimi risultati. Bisogna anche abbattere, per quanto sia possibile, la separazione che c’è spesso tra gli studi umanistici e le altre discipline scientifiche. La nostra Accademia, che si divide equamente in una classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche e in una Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, è uno dei luoghi più adatti per colmare questa separazione.

Spesso si dice che le scienze dure non sono comprensibili a chi non ha studiato la matematica. Ma lo stesso problema c’è anche con la poesia cinese, che è un miscuglio inseparabile di letteratura e di pittura: il manoscritto originale della poesia è un quadro dove i singoli ideogrammi cinesi sono gli elementi pittorici che vengono rappresentati ogni volta in maniera differente. Questa dimensione pittorica si perde completamente nella traduzione e la sua bellezza non è apprezzabile da chi non conosce bene il cinese. Come è possibile far apprezzare in italiano la bellezza delle poesie cinesi, così è possibile far comprendere anche la bellezza delle scienze dure a chi non conosce la matematica e non ha fatto studi scientifici.

Ma forse le difficoltà attuali hanno origini più profonde che devono essere comprese a fondo allo scopo di poterle contrastare. Stiamo entrando in un periodo di pessimismo sul futuro che ha la sua origine da crisi di varia natura: crisi economica, riscaldamento globale, esaurimento delle risorse, inquinamento. In molti paesi si aggiungono l’aumento delle diseguaglianze, il precariato, la disoccupazione, le guerre. Mentre una volta si pensava che il futuro sarebbe stato necessariamente meglio del presente, si è intaccata la fede nel progresso, nelle magnifiche e progressive sorti dell’umana gente: molti temono che le future generazioni staranno peggio di quelle attuali. E come la scienza aveva il merito del progresso, così adesso la scienza riceve il biasimo del declino (reale o solo percepito non importa). La scienza è a volte sentita come una cattiva maestra che ci ha portato nella direzione sbagliata e cambiare questa percezione non è facile. C’è una grande insoddisfazione verso tutti coloro che ci hanno portato in questa situazione e gli scienziati non sfuggono a questo biasimo.

Non dobbiamo essere sicuri che lo sviluppo della scienza sia inarrestabile: confidare ciecamente sull’ineluttabilità del bisogno che lo sviluppo tecnologico ha dello sviluppo scientifico può essere un tragico errore. I romani hanno conservato la tecnologia greca senza curarsi molto della scienza greca e i fanatici cristiani, comandati dal vescovo Cirillo di Alessandria, hanno tranquillamente fatto a pezzi la matematica-astronoma Ipazia, senza curarsi affatto delle conseguenze a lungo termine, anzi rallegrandosi della scomparsa di un sapere profano, ritenuto inutile se non dannoso.

Ma se anche al livello planetario la scienza continuerà a svilupparsi e a trascinare la tecnologia, non c’è nessuna garanzia che questo accada anche in un Paese come l’Italia. La deindustrializzazione sistematica dell’Italia è il filo conduttore della storia italiana dagli anni sessanta in poi, assieme al sempre più marcato disinteresse della grande industria per la ricerca. È ben possibile che i nostri governanti decidano che l’industria e la ricerca italiana debbano avere un posto sempre più secondario e che il Paese debba lentamente scivolare verso il terzo mondo: in fondo i brevetti si possono sempre comprare dall’estero e i prodotti ad alta tecnologia si possono importare.

Se consideriamo anche il lento decadere della scuola pubblica, il progressivo disinvestimento dell’impegno finanziario del governo italiano nei Beni culturali (basti dire che il restauro del Colosseo è stato fatto con fondi privati e che il Fondo Unico per lo Spettacolo diminuisce ogni anno fino ad arrivare alla metà delle cifre stanziate venti anni fa) ci rendiamo conto che tutte le attività culturali italiane sono in lento, ma costante, declino.

Il prestigio (e forse anche lo stipendio) degli insegnanti nelle scuole di tutti i livelli è calato sempre di più. Una volta nei piccoli paesi si dedicavano le vie agli insegnanti delle scuole elementari e i professori di Liceo erano grandemente rispettati. La scuola sta perdendo il ruolo di ascensore sociale che aveva una volta: le crepe che si aprono sul soffitto di molte aule scolastiche sono il segnale visivo dell’abbandono in cui è lasciata la nostra scuola. L’università italiana ha assistito nell’ultima decina di anni a uno dei più grandi disinvestimenti nell’alta cultura che siano avvenuti in un paese in tempo di pace, venti per cento in meno di finanziamenti, venti per cento in meno di insegnanti, venti per cento in meno di studenti.

Bisogna difendere la cultura italiana su tutti i fronti, dobbiamo evitare di perdere la nostra capacità di trasmetterla alle nuove generazioni. Se gli italiani perdono la loro cultura, cosa resta del Paese? Bisogna che si costituisca un fronte comune di tutti gli operatori culturali italiani (dagli insegnanti degli asili ai professori universitari, dai programmatori ai poeti) per poter affrontare e risolvere l’attuale emergenza culturale. […]

* Il testo integrale su scienzainrete.it

 

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