Oggi i soldati ucraini si stanno sacrificando per proteggere i loro connazionali (e l’Europa intera), proprio come fecero i soccorritori nell’aprile 1986. Le decisioni che hanno innescato entrambe le tragedie sono figlie della politica coloniale di Mosca
Sabato 26 aprile si è commemorato il trentanovesimo anniversario dell’esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl. Nei giorni di lutto, seguiti dall’attacco russo alla capitale Kyjiv, nel quale sono state uccise dodici persone e più di novanta sono rimaste ferite, gli ucraini hanno trovato spazio per ricordare un’altra tragedia che ha colpito il loro territorio.
Il mondo, purtroppo, ha conosciuto l’Ucraina e le sue città più per le loro tragedie che per le loro glorie: Chernobyl, Donetsk, Mariupol, Bucha e Bakhmut sono per sempre legate nella storia al lutto, alla morte e, per ora, anche all’ingiustizia.
Per lunghi anni la tragedia dell’esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl, come del resto tutti gli incidenti nell’Unione sovietica, è stata coperta da un velo di silenzio. Anche per noi, che abitavamo a pochi chilometri dal reattore numero quattro distrutto, l’evento della notte del 26 aprile 1986 era circondato da supposizioni e congetture, ma non da una verità cristallina.
La guerra di oggi, quella che la Russia ha iniziato contro l’Ucraina già nel 2014, è anche lo scontro armato più documentato nella storia dell’umanità, il che, nella sua tragica realtà, ci lascia la speranza nella giustizia e nel giusto racconto, in opposizione al silenzio e alla menzogna, tra le armi preferite della Russia nella guerra ibrida odierna.
Il 26 aprile, gli account istituzionali dell’Ucraina e vari siti nazionali hanno pubblicato articoli dedicati al tragico anniversario, ricordando il sacrificio di coloro che hanno perso la vita salvando quella degli altri. Sembra di leggere la storia dell’Ucraina odierna, perché i soldati di Kyjiv si stanno sacrificando al fronte per proteggere i loro connazionali.
In entrambi i casi, queste tragedie potevano essere evitate, e in entrambi i casi le decisioni che hanno dato inizio a queste tragedie sono state prese a Mosca. La politica coloniale russa non ha fatto altro che sterminare la popolazione dei Paesi colonizzati.
In questi giorni il tema del nucleare è tornato attuale con l’accordo di pace – o di resa – che gli Stati Uniti hanno proposto più all’Ucraina che alla Russia, perché il testo, con le condizioni proposte, sembrava scritto non dalla Casa Bianca, ma dal Cremlino. Stando alla prima versione, trapelata sui giornali, la centrale nucleare di Zaporizhzhia sarebbe passata sotto il controllo dell’amministrazione trumpiana; in quella che è stata definita come versione definitiva, la Zaes (l’abbreviazione ucraina per la centrale di Zaporizhzhia) sarebbe invece tornata il controllo dell’Ucraina. L’esito di questo accordo, al momento, rimane sconosciuto.
In questi tre anni, a partire dall’invasione russa su larga scala, Mosca è ricorsa più volte al ricatto nucleare: minacciando di usare l’atomica, minacciando di provocare danni alla Zaes e occupando la centrale di Chernobyl nei primi giorni della guerra.
Il 24 febbraio 2022 l’esercito russo, senza alcuna competenza, aveva occupato la centrale nucleare di Chernobyl, chiusa ormai dal 2000, ma comunque bisognosa di sorveglianza continua. Centosettanta impiegati sono stati presi in ostaggio, costretti a lavorare sotto pressione continua. I soldati russi, nel loro solito modo, si comportavano come perfetti analfabeti, attraversando la Foresta Rossa – la zona più inquinata al mondo – con i carri armati, svolgendo lavori di fortificazione sul terreno e sollevando nell’aria polvere nucleare.
Gli occupanti avevano derubato gli uffici della centrale, portando via computer, utensili vari e addirittura stoviglie dall’albergo vicino. Dopo trentacinque giorni di occupazione, terminata il 31 marzo 2022, i militari russi si sono ritirati dalla città di Chernobyl, lasciando il caos e l’infrastruttura danneggiata, che gli ucraini hanno poi dovuto ripristinare. Le conseguenze dei blackout prolungati, che rallentavano il sistema di raffreddamento, hanno rischiato di causare situazioni di emergenza, evitate per miracolo.
Quest’anno la centrale nucleare di Chernobyl ha subito un nuovo attentato da parte dell’esercito russo. Nella notte tra il 13 e il 14 febbraio 2025, infatti, un drone russo ha colpito il tetto del sarcofago del reattore numero quattro, provocando un buco di sei metri e danneggiando, con il successivo incendio, i cavi elettrici e alcuni monitor. Il livello di radioattività non è cambiato, ma questo incidente ha messo in allerta la comunità internazionale che aveva investito nella costruzione dell’enorme struttura in cemento e acciaio.
Secondo le ricerche dei fisici nucleari, i resti del reattore esploso la notte del 26 aprile 1986 rimarranno attivi, e dunque pericolosi, ancora per migliaia di anni. La radioattività comincerà a scendere solo dopo trecento-seicento anni, quando finalmente si dissolveranno le fonti principali della radiazione, il cesio-137 e lo stronzio-90.
Per migliaia di anni a venire gli ucraini vivranno accanto alla tragedia di Chernobyl, così come per migliaia di anni a venire dovranno smaltire le conseguenze della guerra russa, dell’ecocidio e del genocidio che ha colpito la nostra terra. Oggi non siamo nel 1986, e siamo muniti delle armi della parola e del racconto, che non permetteranno che gli ennesimi crimini russi commessi contro gli ucraini cadano nell’oblio.
Linkiesta, Esteri, 28 aprile 2025
Di Yaryna Grusha
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