bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
maggio 2025
L M M G V S D
« Apr    
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
262728293031  

Libri |Andrea Tornielli, Il papa dell’umiltà, profilo “francescano” di Albino Luciani

papa Lucianidi Raimondo Giustozzi

Cara Pia, oggi abbiamo concluso il preconclave con l’ultima Congregatio generalis. Dopo di che, tratta a sorte la cella, siamo andati a vederla. A me è toccato il N° 60, un salotto adattato a stanza per dormire. È come in seminario di Feltre nel 1923: letto di ferro, un materasso, catino per lavarsi. Al 61 c’è il cardinale Tomasek di Praga. Più in là i cardinali Tarancón (Madrid), Medeiros (Boston), Sim (Manila), Malula (Kinshasa). Manca l’Australia e si direbbe un concentrato di tutto il mondo. Non so quanto durerà il conclave. Difficile trovare una persona adatta ad andare incontro a tanti problemi, che sono croci pesantissime. Per fortuna, io sono fuori pericolo. È già gravissima responsabilità dare il voto in questa circostanza” (Andrea Tornielli, Il papa dell’umiltà, “profilo francescano” di Albino Luciani, pag. 36, Edizioni francescane italiane, Perugia, 2025).

Il cardinale Albino Luciani nella lettera indirizzata alla sorella Pia dice di essere “fuori pericolo” in quanto ritiene di non essere candidato al soglio di Pietro, ma non sarà così. Dopo la morte di Paolo VI, avvenuta il 6 agosto 1978, nel pomeriggio del 25 agosto 1978 i 111 cardinali entrano in conclave. Al termine della prima votazione, il cardinale Albino Luciani ottiene 25 voti, nel secondo scrutinio i consensi verso la sua persona salgono a 53, nella terza votazione, il nome del cardinale Albino Luciani risuona nella Cappella Sistina una settantina di volte; alla quarta votazione, Albino Luciani con un centinaio di voti diventa il nuovo successore di Pietro con il nome di Giovanni Paolo I. La ricostruzione dei consensi ottenuti nelle quattro votazioni è stata possibile averla grazie alle confidenze del cardinale Mario Casariego, di Città del Guatemala, consacrato vescovo da papa Giovanni XXIII il 27 dicembre 1958 insieme ad Albino Luciani (Ibidem, pag. 37, op. cit.).

“Albino Luciani, primogenito di Giovanni Luciani e di Bortola Tancon, nasce a Forno di Canale, oggi Canale d’Agordo, in provincia di Belluno, il 17 ottobre 1913. Viene alla luce nell’unica stanza un po’ riscaldata della casa. In quel tempo, l’abitazione, umilissima, era inserita in un tabià, un fienile tipico della zona, che serviva per accatastare il fieno per nutrire gli animali durante l’inverno. Il piccolo Albino Luciani nasce molto debole. Si teme per la sua vita, tanto che gli viene somministrato il battesimo dalla levatrice Maria Fiocco, una lontana parente della famiglia. Pochi giorni dopo, un sacerdote del paese, riconosciuta la validità del sacramento amministrato, lo completa con il rito liturgico vero e proprio. Papa Luciani ricorderà sempre l’umiltà delle proprie origini, prima come vescovo di Vittorio Veneto il 27 dicembre 1958, poi come patriarca di Venezia il 21 novembre 1969, consacrazioni ricevute rispettivamente da Giovanni XXIII e da Paolo VI

Per tutta la sua vita, Albino Luciani coltivò come non pochi l’esercizio della carità, in ricordo delle sue umili origini, interessandosi continuamente della vita materiale dei fedeli che gli erano stati dati come gregge da custodire, da difendere e da ammaestrare. L’attenzione verso gli operai e verso i loro problemi sociali gli venivano da ciò che aveva imparato fin da piccolo. Il papà Giovanni Luciani, di fede socialista, ad appena undici anni, nel 1983, è costretto a varcare i confini italiani per sfuggire alla miseria. Lavora a Innsbruck, in Austria, poi in Germania, a Solingen e a Bochum. Fa il muratore a Essen, e si specializza nel rivestimento degli altiforni. Il socialismo che abbraccia, senza nessuna foga rivoluzionaria, nasce dalla volontà di migliorare le condizioni di lavoro degli operai attraverso l’azione sindacale. Rientrato in Italia, si sposa, ma la sua prima moglie si ammala e muore, lasciandolo vedovo con due figlie piccole da crescere, Amalia e Pia. Riesce a trovare un impiego in Svizzera, nel 1909, e poi finalmente in Italia, in una fabbrica di Murano.

L’impegno di Albino Luciani verso la soluzione dei problemi sociali veniva anche dal paese di nascita, dove operava un grande sacerdote, l’arciprete Antonio Della Lucia, che, per frenare il fenomeno emigratorio della propria gente, aveva fondato in paese la prima Cooperativa Lattiera, secondo un modello che sarà esportato poi in tutto il Regno d’Italia. Un altro sacerdote che influenzò positivamente Albino Luciani da ragazzo, prima che entrasse nel seminario minore di Feltre (1923) e successivamente nel seminario gregoriano di Belluno (1928), fu don Filippo Carli, che aveva rinnovato la pastorale verso i più giovai con l’uso di video e di cortometraggi, che per quei tempi erano davvero delle novità. I bambini, che frequentavano il catechismo, erano entusiasti. Il nome Albino è stato il papà a darglielo, in ricordo di un ragazzo bergamasco, suo compagno di lavoro, che aveva visto morire in un altoforno. Ad aumentare la miseria della popolazione che abitava la montagna bellunese contribuisce anche la prima guerra mondiale. Albino Luciani ricorderà più tardi: “Posso confermarvi che durante l’anno dell’invasione ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame” (Ibidem, pag. 13).

Albino Luciani cresce in famiglia con le due sorelle Amalia e Pia, alla quale scrive la lettera ricordata all’inizio, ma anche con altri fratelli e sorelle. Il papà Giovanni Luciani, durante il lavoro a Merano, conosce una giovane, Bartola Tancon, che lavora presso a Casa di riposo Santi Giovanni e Paolo, a Venezia. I due si sposano e dalla loro unione nascono: Albino (17 ottobre 1913), Federico (1915) che muore dopo neppure un anno, Edoardo (1918), conosciuto, a Canale, come il “maestro Berto”, Antonia (1920), detta Nina, la più piccola.

La scelta di Albino Luciani di dedicare la propria vita al sacerdozio nasce dopo un incontro del tutto casuale con un frate cappuccino, padre Remigio, venuto a Canale per predicare la Quaresima. Chiede, prima di ritornare al convento chiede ai presenti chi vuole andare con lui. Albino si propone subito, manifestando anche il desiderio di fare il missionario in terre lontane. Viene distolto dal proprio parroco. Sa che il piccolo non gode di molta salute. Il parroco, avuta la certezza della vocazione, ottenuta l’approvazione del padre, indirizza Albino Luciani alla vita sacerdotale. Quello della salute sarà un problema che lo accompagnerà sempre nel corso di tutta la vita. Prima di essere eletto vescovo di Vittorio Veneto da Giovanni XXIII, alcuni confratelli vescovi del Triveneto parlano al papa della salute precaria di Albino Luciani. Il papa non sente ragioni. A chi gli ricorda che Albino Luciani è cagionevole di salute, risponde: “Bene, vorrà dire che morirà vescovo”. Gli viene anche riferito che Luciani è piuttosto timido. Il papa aggiunge: “Bene, ma è un uomo di fede e sa che Dio lo aiuterà”. Il nuovo vescovo sceglie come motto episcopale la parola “Humilitas”; nello stemma vuole tre stelle a significare le tre virtù teologali: fede, speranza e carità (pag. 20).

Albino Luciani viene ordinato sacerdote il 7 luglio 1935. Presta il suo primo servizio come prete nella parrocchia del suo paese natale, poi tra i minatori di Agordo (Belluno). Diventa docente e vicerettore del seminario di Belluno, dove insegna teologia dogmatica, diritto canonico, patristica, liturgia, arte sacra, eloquenza, catechetica, pastorale e amministrazione. Scrive con regolarità articoli per il settimanale diocesano “L’Amico del popolo” e cura la formazione di alcuni gruppi giovanili. Il vescovo di Belluno rispondeva, a chi gli parlava della cattiva salute di Luciani, che don Albino Luciani negli ultimi sette anni non aveva fatto un solo giorno di malattia. Aveva una voce piuttosto flebile, ma a questo supplivano gli impianti di amplificazione.

Il 16 ottobre 1942 ottiene la licenza in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana; nel febbraio del 1947, consegue il dottorato in teologia, con una tesi su “L’origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini”. Un curriculum di tutto rispetto, coniugato con l’impegno catechetico verso i più giovani. Nel 1949 dà alle stampe la sua prima opera, dedicata alla madre Bortola, morta l’anno precedente. Il libro “Catechetica in briciole”, destinato ai catechisti delle scuole parrocchiali, rivitalizza la tradizione del catechismo e ne indica i modelli: San Filippo Neri e San Giovanni Bosco.

Da patriarca di Venezia è vicino ai malati e sostiene i lavoratori di Porto Marghera, ai quali non fa mancare il proprio appoggio. Durante gli anni veneziani compie diversi viaggi all’estero, in Svizzera, Germania e Brasile. Pubblica numerosi articoli su temi di attualità nelle pagine del quotidiano veneto “Il Gazzettino” come pure su “L’Osservatore Romano”. Sia negli anni durante i quali ricopre l’incarico di vescovo di Vittorio Veneto sia in quelli da patriarca di Venezia si dichiara sempre per la libertà religiosa e partecipa direttamente alla discussione nata attorno all’Enciclica “Humanae vitae”, pubblicata da Paolo VI il 25 luglio 1968, un testo che mette in primo piano la dignità della donna e guarda al mondo intero, non solo all’Occidente avviato sulla via della secolarizzazione.

 

Il profilo francescano” di Albino Luciani

Il vescovo Albino Luciani fa un primo riferimento al Santo di Assisi nell’esortazione alla diocesi di Vittorio Veneto nel 1960 quando invita i fedeli a mortificare il corpo, chiamato dal poverello di Assisi, “frate asino”. “Il corpo è “Frate” perché fratello nostro e necessario, “Asino”, perché non bisogna trattarlo troppo bene e va abituato a qualche cosa di sgradito. Il digiuno quaresimale è ridotto al minimo, ma la chiesa desidera che si supplisca con qualche altra opera. Non è difficile: mangiare adagio, quando l’appetito ci farebbe divorare tutto in fretta; sopportare un po’di freddo, privarsi di un cinema pur permesso e altre cose simili, nessun danno recano alla salute e fanno tanto bene all’anima. Quattro anni dopo nel gennaio 1964, il futuro papa fa propria una delle caratteristiche di san Francesco, e la indica come esempio per tutti in un testo che contiene alcune riflessioni sulla “prudenza cristiana” (pp. 51- 52).

Un lungo e dettagliato riferimento al poverello di Assisi il patriarca Albino Luciani lo fa il 3 ottobre 1970 in occasione della festa dedicata a san Francesco, in occasione dell’omaggio delle genti venete al santo: “Francesco sposò madonna Povertà, dama ch’era stata di Cristo, ma che dopo Cristo se ne stava dispetta e scura e senza invito di cavaliere alcuno. La povertà, per Francesco, non si esaurì nel solo non possedere, significò mantenersi distaccato e libero di potersi dare intero a Dio e alle anime” (pag. 55). In questa omelia Albino Luciani definisce il Santo di Assisi l’espressione più tipica e felice della religiosità e del genio italiano, rammentando l’augurio francescano “Pace e bene”, entrato nel grande paniere della cultura anche laica. Nella stessa omelia il patriarca di Venezia ricorda il legame della città lagunare con san Francesco: “Sono giusto 750 anni dacché egli, reduce con i suoi compagni dall’Egitto, approdava all’isoletta detta allora delle due vigne e chiamata oggi “isola di San Francesco del Deserto” pag. 62).

Un successivo riferimento al Santo di Assisi si ritrova due anni dopo, il 5 ottobre 1972, nell’omelia di inizio anno scolastico al seminario di Venezia. Parlando dell’energia di Francesco, il patriarca diceva: “Gli era capitato un frate, che poco pregava, niente lavorava e schivava per vergogna di andare all’elemosina. A tavola, invece, dava dentro forte. San Francesco, dopo un po’ di tempo, lo chiamò e gli disse: Va’ per la tua strada, frate Mosca, perché vuoi divorare il lavoro dei tuoi fratelli e stare ozioso nel servizio di Dio, alla maniera del fuco o pecchione, che non vuol lavorare, ma divora il lavoro e guadagno delle api”. Nella stessa omelia invitava tutti i ragazzi che l’ascoltavano di diventare tutti api operose. In un’altra omelia, del 6 gennaio 1973 additava in san Francesco “Il giovane ricco, piacente e intraprendente che a ventiquattro anni si spogliò di tutto per sposare madonna Povertà a somiglianza del suo amore crocifisso. A una società di superbi, di predatori e di libidinosi propose i tre voti di obbedienza, povertà e castità. Fu seguito da migliaia di uomini. Attuò una grande riforma nella chiesa, contestando non gli altri, ma se stesso e non con gesti strepitosi, ma con umili azioni” (pag. 63).

Il 4 ottobre 1973, alcuni mesi dopo essere diventato cardinale, Albino Luciani, nell’omelia per il centenario dell’Unione Apostolica del Clero, sosteneva: Dello stesso Paolo sono le parole, che oggi la liturgia applica a san Francesco: Quanto a me, mai mi accada di gloriarmi, se non nella croce di nostro Signore Gesù Cristo, che ha fatto del mondo un crocifisso per me e di me un crocifisso per il mondo” (pag. 64). L’anno successivo, il 21 giugno 1974, nell’omelia per la festa del Sacro Cuore, il cardinale Luciani lodava la bellezza di ogni cosa che esiste nel mondo, ma invitava altresì di elevarsi a Dio perché le bellezze di qui devono far pensare alle perfezioni molto più grandi di colui che le produce. Francesco seguiva la linea ascensionale; aveva il dono dello stupore, ma di uno stupore sacrale. Il russo (cosmonauta), che, ritornato da un viaggio nello spazio, riferì di non avervi incontrato Dio, seguiva invece la via discensionale, dello stupore ormai secolarizzato (pag. 65).

Il 29 settembre 1974, il cardinale Luciani, celebrando la messa per il VII centenario di San Bonaventura, sosteneva che “Si aveva bisogno allora e sempre del carisma francescano, perché nessuno degli ordini esistenti prima di noi ha scoperto tutto lo spazio cui, invece, si estendono gli ideali di san Francesco: Unirsi totalmente a Cristo nel gusto della contemplazione, conquistare a Dio e salvare molte anime, per le quali Cristo ha voluto essere crocifisso e morire” (pp. 66- 67). Al Santo di Assisi, Luciani ritornava in altre omelie, il 6 gennaio, il 4 ottobre 1975, dove invitava tutti a fare di san Francesco il modello da imitare nella vita di tutti i giorni. In una delle ultime omelie, quella del 3 ottobre 1976, ricorrendo il 750° anniversario della morte di San Francesco, il cardinale Luciani diceva: “Nella Chiesa dei suoi tempi, che aveva bisogno di molta riforma, egli aveva imboccato il metodo giusto della riforma. Amore appassionato a Cristo: vivere come lui, di lui, applicando il Vangelo alla lettera, aderire a lui come fosse presente, è stato il suo programma … Molti prelati erano ricchi e ciò scandalizzava la gente. Francesco non volle sottolineare lo scandalo, raccomandò fortemente a tutti il rispetto ai vescovi e ai sacerdoti, anche se poco degni. Per se stesso, invece, scelse la povertà e alla povertà fece larghissima propaganda” (pp. 81- 82).

Il saggio di Andrea Tornielli, il papa dell’umiltà, profilo “francescano” di Albino Luciani, consta di 99 pagine ed è diviso in quattro parti. La prefazione è scritta da Stefania Falasca, giornalista di “Avvenire e postulatrice della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo I. Le altre tre parti riguardano: il profilo biografico del papa dell’umiltà, le parole di Luciani vescovo e cardinale sul santo di Assisi e il santo di Assisi nella vita di un papa. È un libro da leggere con passione e grande interesse. Andrea Tornielli, da vero signore, rimanda al saggio: Papa Luciani. Cronaca di una morte, scritto da Stefania Falasca, anche per fugare tuti i rumori e le illazioni che la stampa ha fatto sulla morte di Papa Giovanni Paolo I. Nel suo libro, Andrea Tornielli dedica mezza paginetta alla morte di papa Luciani, un pontificato durato appena 34 giorni: “Quel giovedì 28 settembre (1978), ancora nessuno lo sa, è l’ultimo giorno di vita di Albino Luciani. Una giornata che trascorre normalmente, con un’agenda di impegni e di incontri …” (pag. 47).

Raimondo Giustozzi

Bibliografia

“Andrea Tornielli (Chioggia, 1964) è giornalista e scrittore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Sana Sede. Ha collaborato: al Gazzettino, Il sabato, 30giorni, Il Giornale, La Stampa, dove è sato condirettore del sito web Vatican Insider. Fra i tanti temi affrontati, si è occupato, in particolare, della difesa dei comportamenti di Pio XII nella Shoah, del problema del mito e della storicità di Gesù; ha scritto libri su Padre Pio. Nel 2022 è stato autore, insieme a Lucio Brunelli del programma “Volti dei Vangeli”. È sposato e ha tre figli. Ha pubblicato una sessantina di libri, alcuni di grande successo” (Risvolto prima pagine di copertina).

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>