di Alessandro Cappelli
Dietro i dati ufficiali manipolati, Mosca sta vivendo una crisi lenta e strutturale, aggravata dal crollo delle entrate energetiche e da un’economia militarizzata che non genera crescita
La Russia sta diventando sempre più povera, anche se la propaganda del Cremlino vorrebbe suggerire il contrario. La crescita rallenta, le importazioni sono in calo e il passaggio a un’economia di guerra ha fermato i consumi senza portare i risultati sperati da Vladimir Putin. Purtroppo, però, la capacità di Mosca di proseguire la guerra in Ucraina non sarà compromessa, almeno per il momento e a meno di eventi esterni non previsti.
La premessa da fare quando si parla di economia russa è una nota metodologica. I dati ufficiali sono sempre manipolati per creare una narrazione fuorviante. Ad esempio, un report pubblicato dallo Stockholm Institute of Transition Economics (Site), realizzato in autunno e aggiornato nei giorni scorsi, evidenzia un enorme aumento delle spese militari fuori bilancio, con costi che vanno molto oltre i numeri riportati nelle statistiche ufficiali.
Per la Russia, il peso finanziario della guerra – sia le spese effettive sia gli obblighi finanziari futuri – è significativamente superiore a quanto indicato nei bilanci. «È importante continuare a dimostrare chiaramente che l’economia russa non è così forte come afferma Putin. La Russia sta diffondendo propaganda economica per presentare le sanzioni come inefficaci, minando così il sostegno a lungo termine all’Ucraina. Dobbiamo fare tutto il possibile per impoverire le risorse della Russia attraverso sanzioni aggiuntive e più severe», ha detto la ministra delle Finanze svedese Elisabeth Svantesson alla presentazione del report.
Un dato aiuta a capire: secondo le previsioni ufficiali, la crescita economica dovrebbe rallentare quest’anno dal 4,1 per cento al 2,5 per cento, ma secondo il Fondo Monetario Internazionale sarà circa intorno all’1,5 per cento. Al netto dei dati inaffidabili e dei report distorti, qualcosa si può intuire, o si può leggere tra le righe, in alcuni casi dedurre. L’Economist ad esempio si è appoggiato a diversi indicatori di istituti economici e finanziari per ricondurre le difficoltà economiche di Mosca a tre cause principali.
La prima è quella che la Banca Centrale russa definisce eufemisticamente come «trasformazione strutturale» dell’economia. Quando è iniziata l’invasione su vasta scala, Mosca è stata obbligata a rimodellare la sua economia imperniandola quasi unicamente sulla guerra. L’industria della difesa è diventata il centro di tutto, dando priorità alla spesa militare rispetto ad altri investimenti essenziali. Eppure quest’anno la spesa militare crescerà solo del 3,4 per cento in termini reali, un netto rallentamento rispetto all’aumento del cinquantatré dell’anno scorso. E se in questa voce la spesa non aumenta «significa una crescita più lenta e minore», spiega l’Economist.
Il secondo fattore è la politica monetaria. Lo scorso 25 aprile la Banca Centrale ha deciso di mantenere il tasso di interesse di riferimento a un punitivo ventuno per cento, il livello più alto dall’inizio degli anni Duemila, con l’inflazione che intanto potrebbe assestarsi intorno al tredici per cento nei prossimi dodici mesi (anche qui, lo Stockholm Institute of Transition Economics dice che dopo l’esplosione di febbraio 2022 l’inflazione è scesa «miracolosamente»).
Se fosse tutto qui, spiega l’Economist, per Putin andrebbe benissimo. Il punto, però, è che il rallentamento economico è ancora peggiore. «Questo perché, nelle ultime settimane, un terzo fattore ha finito per dominare tutti gli altri: le condizioni esterne si sono inasprite. Con l’intensificarsi della guerra commerciale americana – aggiunge il magazine britannico – le previsioni di crescita globale sono crollate, e di conseguenza i prezzi del petrolio».
Il calo dei prezzi del petrolio sta causando alla Russia problemi di ogni tipo. La dipendenza di Mosca dalle esportazioni di greggio è una fragilità ormai nota e la diminuzione dei prezzi del petrolio degli ultimi mesi influisce anche sull’economia reale: le casse della Russia ne stanno già risentendo, a marzo le entrate fiscali derivanti da petrolio e gas sono diminuite del diciassette per cento su base annua. Inoltre, il 22 aprile Reuters ha riportato, citando documenti ufficiali russi, che il governo prevede un forte rallentamento delle vendite di idrocarburi quest’anno – un segnale dell’efficacia delle sanzioni imposte dall’Unione europea e dal G7.
Anche gli economisti Alexandra Prokopenko e Alexander Kolyandr nell’aggiornamento settimanale sull’economia russa su The Bell spiegano che dopo tre anni di militarizzazione dell’economia, la Russia si trova ad affrontare un rallentamento sostanziale: «Attualmente sembra una franata senza crolli drammatici.
Tuttavia, non si tratta di una transizione verso un’economia prospera di pace: il modello economico russo non viene ricostruito, semplicemente si sta esaurendo. Questo equilibrio fragile potrebbe facilmente saltare. L’inflazione, ad esempio, potrebbe riesplodere in caso di aumento della spesa pubblica o di accelerazione del credito aziendale. Anche i fattori esterni, come un rallentamento globale causato dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, potrebbero avere un impatto imprevedibile».
Le prospettive future sul lungo periodo non sono certo migliori, per Mosca. L’invecchiamento demografico e l’esodo di lavoratori qualificati non offrono grandi prospettive e, contemporaneamente, anche la capacità tecnologica della Russia diminuisce a causa dell’isolamento internazionale e dell’assenza di alcuni prodotti sul mercato.
Tutte le previsioni lasciano immaginare che in futuro l’economia russa non vedrà grossi miglioramenti, anzi. Tra gli scenari più probabili non c’è ancora il collasso totale dell’economia che può fermare l’esercito impegnato in Ucraina – lo scenario più auspicabile. Ma l’erosione graduale e strutturale dell’economia russa sta aumentando il rischio di una crisi più profonda nei prossimi anni.
Linkiesta, Economia, 30 aprile 2025
di Alessandro Cappelli
Invia un commento