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Terremoto. Dov’è finito il Mibact?

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Vittorio Emiliani

Dov’è finito il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini? Dov’è finito il suo Ministero e con esso le Soprintendenze? Nelle cronache televisive del sisma fra Umbria e Lazio non sono praticamente mai apparsi. La scena se l’è presa tutta Matteo Renzi, accompagnato dai tecnici della Protezione Civile e da Renzo Piano. Come se la prese all’Aquila, tutta quanta, Berlusconi col fido Bertolaso. Ricordo dei più sinistri, visto che la ricostruzione aquilana è una delle meno riuscite, delle più sbagliate, delle più tardive. Anche lì Soprintendenze emarginate, quasi nascoste. Ma non come oggi.

Tutto il contrario di quanto avvenne nelle ricostruzioni più riuscite: a Tuscania semidistrutta nel 1971 e come rinata, in Friuli con una stretta intesa fra tecnici del MiBACT e della Regione, soprintendenti e comunità locali decise, soprattutto a Venzone, a ricostruire “com’era e dov’era”; anche in Irpinia dove la delega per gli edifici monumentali, civili e religiosi, fu affidata ad un soprintendente della qualità di Mario De Cunzo (a Napoli agiva la Soprintendenza speciale per il terremoto guidata da Giuseppe Proietti). Nel ’97 in Umbria-Marche, a partire da Assisi, dove la Basilica di San Francesco rischiò di scivolare tutta quanta a valle, il governo Prodi e il ministro Veltroni ebbero l’idea vincente di affidarsi ai tecnici più sperimentati: Antonio Paolucci commissario straordinario per l’Umbria e Maria Luisa Polichetti per le Marche, avendo quali collaboratori Bruno Toscano, gran conoscitore umbro (i Manuali del territorio) e Marisa Dalai con alle spalle svariate esperienze fra le quali il Friuli. Per la Basilica Superiore di Assisi il grande regista fu Pippo Basile dell’Istituto Centrale del Restauro espertissimo di terremoti. Con lui collaborarono a fondo due strutturisti del valore di Giorgio Croci (chiamato in ogni parte del mondo) e Paolo Rocchi.

In questi giorni si è parlato molto di Renzo Piano, ma, con tutto il rispetto, qual è la sua esperienza specifica in materia di ricostruzioni post-terremoto? Anche in tv compaiono ovunque sismologi, geologi, mai strutturisti i quali spieghino cosa si è già fatto in Italia con tecniche d’avanguardia e cosa si può fare senza ricominciare sempre da zero.

Domenica Dario Franceschini ha rilasciato a Repubblica una lunga quanto generica intervista al termine (soltanto al termine) della quale tesse l’elogio dei Soprintendenti coi quali “è orgoglioso di lavorare”. E’ la risposta al sindaco di Matelica (Macerata) il quale lamentava lo stato di semi-paralisi in cui versano le Soprintendenze, con pochi mezzi, unificate d’autorità per essere poi trasferite (legge Madia, un parto geniale) sotto il comando delle Prefetture (Piemonte sabaudo 1859, che progresso!). Risposta retorica. Parole parole parole. Come tante altre in cui si snocciolano cifre mirabolanti per la tutela. E’ vero, c’è stato un aumento, ma in percentuale sul bilancio dello Stato si va verso un modesto 0,30 per cento contro lo 0,40 di sedici anni fa (governo D’Alema). E’ vero, c’è un concorso per assumere 500 funzionari, ma i “buchi” nei quadri ministeriali sono falle enormi, l’età media è sui 55 anni, archivi e biblioteche stanno molto peggio e rischiano di chiudere per mancanza di dirigenti e di personale di ruolo. Certe Pinacoteche Nazionali aprono da tempo a orario ridotto. Il caos amministrativo e gestionale accompagna la riforma Renzi-Franceschini-Madia e intanto l’Italia trema, crolla, smotta, si sbriciola.

Ma i soprintendenti vanno tenuti nascosti, come si faceva coi gozzuti, messi in cantina, quando Vittorio Emanuele II visitava le città della provincia sabauda. Il presidente Renzi li detesta fin da quando era sindaco di Firenze. “Sovrintendente (sic!) è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?” Così nel suo “vangelo” intitolato “Stil novo”. Ora capite perché si affida ad altri e mette in un canto la tutela.

Vittorio Emiliani

Articolo 21,  30 Ottobre 2016

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