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In Emilia il museo virtuale può mostrare bene asimmetria e diacronia del migrare

detroit-immigrati-italianidi Valerio Calzolaio

La fisicità delle raccolte museali di oggetti materiali è da decenni sempre più accompagnata da supporti digitali multimediali che garantiscono la conoscenza di innumerevoli altri elementi materiali e immateriali. Talora costituiscono autonome e specifiche narrazioni, talora servono a interagire con la visione dei testi che commentano il percorso o dei materiali che lo illustrano. Difficile, ormai, che un museo ne sia del tutto sprovvisto, la loro fruizione risponde a una crescente domanda legata alle generazioni più giovani (non di rado in visita con parte di o tutta la famiglia) e all’insieme della nostra vita social. Ben vengano. Risultano spesso utili e certamente indispensabili per alcune tipologie di raccolte museali. Il fenomeno migratorio può essere compreso solo se si riesce a viaggiare nel tempo e nello spazio, a considerare almeno due ecosistemi, geograficamente distanti e due periodi storicamente differenti, e quasi sempre solo quelli di partenza e di arrivo non bastano.

 

La Regione Emilia Romagna ha fatto la scelta di un museo regionale dell’emigrazione emiliano-romagnola esclusivamente virtuale: Migrer. Sia il titolo identificativo (la migrazione senza prefissi), sia il logo (che termina con i bracci di chi va e viene) sono azzeccati e significativi. Il museo ha al centro le storie di emigrazione di chi è partito dalla regione nel passato ma anche nei tempi più recenti e contiene numerosi materiali multimediali che possono essere scaricati o visualizzati direttamente online (mostre, pubblicazioni, video, documentari, foto), prevedendo anche una pagina dedicata ad altri musei analoghi, ovviamente l’elenco è esaustivo per i comuni della stessa regione, incompleto ma ampio per il resto d’Italia, interessante comunque per ulteriori verifiche e nessi.

 

Temporalmente l’avvio del museo risale a pochi anni fa, ottobre 2019, comunque a prima e a prescindere dalle limitazioni imposte dalla pandemia, si tratta di una scelta meditata e virtuosa di virtualità. Il portale quasi annulla qualsiasi distanza, spaziale e temporale, e in questo caso collega gli emiliano-romagnoli nel mondo. E così, fra l’altro, la memoria si fonde con l’attualità, abbracciando in un unico racconto le comunità di corregionali all’estero. Il progetto, voluto dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo, ha inteso valorizzare le esperienze di chi ha abbandonato la regione italiana per un paese straniero, senza però dimenticare le proprie origini. Nel sito, che raccoglieva già all’inizio oltre un centinaio di storie, è presente la sezione per integrare il quadro con “aggiungi la tua storia”, permettendo ai giovani pure di interagire fra loro e permettendo inoltre un’area riservata, una sorta di forum interno di dialogo sulle migrazioni.

 

Il portale è stato presentato e promosso su tutto il territorio regionale, in scuole, comuni e università. Nella prima conferenza stampa è stata ricordata la vicenda dei fratelli Costa, partiti dalla provincia parmense e arrivati in Inghilterra, dove hanno fondato l’azienda Costa caffè, che adesso è diventata di proprietà della Coca Cola. Una storia di successo: andare via e partire lungamente non significa solo conoscere una nuova lingua o lavorare in un ambiente diverso, ma può rappresentare una esperienza straordinaria di meticciato. La Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo è l’organismo istituzionale sorto per attuare interventi a favore degli emigrati all’estero, valorizzare i rapporti con i paesi di che li hanno in vario modo “accolti” e sostenere le proposte avanzate dalle comunità immigrate altrove. La Consulta ha in questi anni contribuito a mantenere vive, nelle comunità di corregionali all’estero, le proprietà linguistiche, storiche e culturali delle zone d’origine, spesso anche attraverso associazioni ed enti, incontri e iniziative riguardanti l’emigrazione e la tenuta di un Elenco, quello regionale ufficiale delle associazioni e federazioni di emiliano-romagnoli all’estero, consultabile anche sul sito del museo.

 

Per quanto riguardano gli aspetti finanziari, la Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo promuove bandi pubblici rivolti a enti locali e associazioni di promozione sociale con sede in Emilia-Romagna, che sviluppano progetti sul tema dell’emigrazione, si possono visitare i relativi sito e pagina social. Il fenomeno dell’emigrazione emiliano-romagnola nel mondo rappresenta, infatti, una componente importante della storia nazionale. Vale per ogni dove e per ogni emigrazione: le storie raccontano esperienze di sapiens che hanno lasciato la propria terra e i propri affetti per cercare un futuro migliore, talvolta anche attraverso percorsi tragici e difficili. Cambiano i volti e i luoghi, certamente cambiano le ragioni e i tempi. Cambiano poi ovviamente le destinazioni, eppure le storie si assomigliano, sembrano sovrapporsi le une alle altre e intrecciarsi, in ogni paese e in ogni regione.

 

Utili, pertanto, le pubblicazioni curate dalla stessa Consulta, come per esempio il volume del novembre 2021 di Renzo Bonoli, L’emigrazione emiliano-romagnola. Una storia da ricordare e rispettare, nel quale vengono pure recuperate alcune grandi biografie: Zeno Dardi, imprenditore bolognese emigrato in Australia; Attilio Pavesi, piacentino di Caorso, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles; Ermanno Orsini, lo “scopritore” dell’emigrazione contadina pastenina (modenese) nel sud del Cile; Agostino Codazzi, il grande geografo che esplorò il Sud America; Lino Bertoncini divenuto, con la figlia Marilina, il trascinatore dell’emigrazione a Buenos Aires; Alberto Anelli, splendida figura di antifascista in Capital Federal; Serge Reggiani, attore e cantante versatile, idolatrato dal pubblico parigino.

 

C’è un ineccepibile ragione formale per cui sembra che le emigrazioni dall’Italia siano iniziate dopo l’unità nazionale, prima la denominazione non era certificata, ma se si parla di Genova o Ancona o di ogni altra antica nostra città la storiainizia molto prima, lo abbiamo già visto. Le prime manifestazioni del processo migratorio risalgono a epoche lontane, nuova residenzialità in un ecosistema significa che vi si è stabiliti dopo una vita errante o come immigrati da altre parti. E, fra i nuovi residenti, quasi subito alcuni (magari pochi) hanno iniziato dopo un po’ a emigrare, altri dopo hanno scelto di immigrarvi ancora. Anche limitandosi alla storia moderna e contemporanea e prendendo spunto dal sito dell’emiliano-romagnolo Migrer, vi si citano i primi segnali sicuri nei secoli XVI e XVII ed è soprattutto dalla seconda metà del Settecento che si comincia a parlare di emigrazione in forme per così dire autonome, individuali e periodiche che spesso assumono le caratteristiche di vera e propria avventura.

 

Precursori di questa forma di emigrazione “itinerante” furono con tutta probabilità i cosiddetti Orsanti o Girovaghi spinti a lasciare l’Italia proprio da un forte spirito di avventura. Le loro storie sono sconosciute ai più e sono ammantate di tenacia, di mistero e di sacrificio. La loro decisione di partire venne probabilmente dettata, più che dallo stato di necessità, dal desiderio di rompere con l’ambiente d’origine, familiare e di paese, e anche dal mito di un lontano eldorado. Alcuni bolognesi, soldati e avventurieri, partiti alla conquista del mondo nell’Ottocento divennero esploratori, archeologi e cacciatori di tesori. Tra questi, Giuseppe Ferlini, passato tristemente alla storia per aver arrecato danni a oltre quaranta piramidi in Egitto e in Sudan negli anni Venti del Novecento, fra l’altro danneggiando alcuni resti perfettamente conservati e però arricchendosi con la scoperta delle piramidi di Meroe.

 

Del resto, diari, memorie e resoconti di conflitti, invasioni e disastri (principale origine di migrazioni forzate per chi sopravviveva) riempiono le cronache dell’antichità, fin dal De Bello Gallico e dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Tornando a Migrer anche nella Bologna pontificia il fascino dei viaggi raggiunse molti uomini, da Ludovico de Varthema (1470-1517), al pittore Giovanni Gherardini (1655-1729), dall’architetto Luigi Melchiorre Balugani (1737-1771) ai molteplici scrittori che con le loro fantastiche rubriche dilettavano i lettori. La passione per la lettura e i romanzi costituisce un ulteriore mezzo di promozione del migrare: si pensi all’immaginario motivante costruito dal Robinson Crusoe di Daniel Defoe, o da Giulio Verne ed Emilio Salgari, per arrivare agli stessi “eroi” del nostro Risorgimento come Giuseppe Garibaldi. Le avventure di personaggi e personalità hanno lasciato traccia, a tal punto per esempio che la maggior parte delle loro spoglie sono tumulate nella Certosa di Bologna. Poi, nel periodo delle Esposizioni Universali (da circa il 1840), si cominciarono a intravvedere mondi lontani attraverso l’iconografia, come pure emerse l’abitudine a esporre reperti e manufatti importati da quegli uomini avventurosi (all’origine di musei di ogni tipo, nei quali le migrazioni possono essere anche non citate).

 

Il viaggio virtuale nell’emigrazione emiliano romagnola riesce a essere una celebrazione del sacrificio di tanti italiani che in varie epoche hanno varcato mari e oceani o attraversato monti e pianure, per cercare fortuna all’estero. Migrercostituisce una sorta di viaggio ideale nel mondo per sviluppare un interscambio virtuale e sociale, economico e culturale tra la realtà regionale di provenienza e quella d’arrivo o di attuale dimora. Naturalmente la memoria è l’ambito nel quale si possono apprezzare questi due elementi, storia e territorio, matrici comuni per riappropriarsi dell’esperienza di vita di sapiens e di ecosistemi talora sconosciuti, attraverso la quale sono comunque maturati momenti esistenziali e dinamiche relazionali che ci riguardano. Il percorso, a volte anche autobiografico, mostra la comunanza di vita fra i migranti e recupera molta memoria soggettiva, si possono in parte ricostruire gli ambiti sociali e territoriali di partenza e quelli di arrivo, dando vita a un confronto (anche paesaggistico) di grande impatto culturale e storico.

 

Sul sito del museo trovate molti itinerari, per esempio c’è la Collezione (un archivio dinamico di racconti, immagini, video e audio), si dà conto di mostre collegate e di possibili attività didattiche, vengono riportati i dati statistici. Nel secolo canonico dell’emigrazione italiana (1876-1973), l’emigrazione emiliano-romagnola è stata decisamente inferiore alla media nazionale: il tasso di emigrati, infatti, si aggirava intorno al 3,5% e risultava la metà di quello nazionale (con forti differenze a livello provinciale). Nel secondo dopoguerra i numeri dell’emigrazione si mantengono comunque elevati fino agli anni Settanta e stabili negli anni successivi, con un’impennata negli ultimi dieci anni. A livello regionale, la nuova emigrazione, dopo anni di calo, ha ripreso a salire in modo deciso dopo il 2010, con andamento sempre crescente. Si tratta di un fenomeno che riguarda tutte le regioni italiane, con una precipua dinamica anche interna, dal sud al nord Italia, che in parte riassorbe l’emigrazione estera dalle regioni del centro-nord.

 

Gli emigranti non sono restati né restano a lungo “emiliani all’estero” o “italiani all’estero”. Pochi sono tornati e tornano, è vero, si sa. Tuttavia, anche loro hanno fatto “esperienza” di meticciato e quelli che restano lontano sono divenuti e diventano cittadini di un altro paese, contribuiscono ad altre lingue, culture, economie, società, ognuno con il proprio carico di ricordi e fatiche. Per darne conto la memoria individuale va integrata con la storia collettiva. Non basta leggere sbiadite immagini fotografiche o ascoltare racconti tramandati di padre in figlio, non sono sufficienti gli eventi dei singoli, scoprendo ricordi ed esperienze diffuse, intuendo sentimenti ed emozioni relazionali, ricostruendo fatti e connessioni comunitarie. Tutto ciò che noi oggi siamo ha radici in un passato collettivo e multifocale. Per questo parliamo di diacronia e asimmetria delle migrazioni, di pressione selettiva del migrare, di specie meticcia.

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