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Geni e razze, un problema d’istruzione.

Foto Oliviero Toscani

Foto Oliviero Toscani

di OLMO VIOLA 

Studi recenti hanno messo in luce come certi insegnamenti superficiali di nozioni di genetica possano contribuire all’emergere di pregiudizi riguardanti le differenze tra presunte “razze umane” e come da questo conseguano discriminazioni a vari livelli nella società. Per emendare tale problema è stato proposto di modificare le modalità di insegnamento della genetica nelle scuole superiori e alcuni esperimenti paiono promettere cambiamenti positivi nel gestire le informazioni di genetica umana da parte degli studenti a cui sono stati somministrati insegnamenti aggiornati. Per combattere pregiudizi razziali e discriminazioni è fondamentale ripartire dalla scuola e da un’adeguata cultura scientifica.

Perché la maggior parte degli scienziati ha la pelle chiara e la maggior parte dei più forti giocatori di basket hanno la pelle nera? Qualcuno pensa che la risposta più appropriata a tali domande sia da ricercare in una predeterminazione delle capacità intellettive, o sportive, dovuta alle peculiarità genetiche proprie dei gruppi “razziali” ai quali appartengo i differenti individui. Non sono poche le persone che ancora oggi adottano pregiudizi razziali per giustificare certe differenze tra persone e gruppi, trovando corretto ricondurre differenze nelle capacità e nelle occupazioni a una costituzione naturale che giustificherebbe tale discriminazione. In un sondaggio compiuto tra gli studenti americani di scuole superiori, un quinto su 721 studenti si è detto d’accordo con l’affermazione: “membri di un gruppo razziale sono più ambiziosi rispetto ai membri di un altro a causa di fattori genetici”[1]. Non pochi attribuiscono le disparità nelle retribuzioni medie tra bianchi e neri a differenze genetiche, inferendone così la naturalità e dunque la correttezza.

Vengono così a sommarsi due errori grossolani: si sviluppa un ragionamento basandosi su informazioni genetiche scorrette e si presuppone che ciò che è naturale sia di per sé buono e giusto. Pregiudizi razziali sono ancora ben radicati in certi settori della popolazione e si stanno verificando delle recrudescenze in certe nazioni, soprattutto laddove movimenti nazionalisti-sovranisti propongono campagne politiche che fomentano paure e discriminazioni. Il problema delle razze umane non pare superato.

Recenti studi[2] hanno messo in luce come tali pregiudizi possano nascere anche a partire dallo studio della genetica nei corsi tenuti nelle scuole superiori. Informazioni riguardanti la genetica umana possono essere fraintese se insegnate senza precauzioni o in modo superficiale. Spesso tali insegnamenti si limitano alla “genetica dei piselli” di Mendel e la questione spinosa delle razze umane viene evitata o delegata alle scienze sociali per una trattazione che si presuppone più esaustiva. Tale strategia educativa è stata criticata ed è stato proposto di riconsiderare le modalità d’insegnamento della genetica nelle scuole superiori, sostenendo la necessità di fornire una più approfondita spiegazione della genetica umana.

L’idea alla base di tale ricerca, che ha avuto un’eco anche sul New York Times[3], è che si debba intervenire nel modificare i programmi di studi nelle scuole superiori e le modalità di insegnamento della genetica, così da fornire le informazioni corrette ai giovani studenti, permettendo loro di debellare i pregiudizi. Fornire una base appropriata di conoscenze di genetica renderebbe difficile fraintendere certe informazioni e appronterebbe un apparato di fatti e concetti utili a intervenire nei dibattiti che possono svilupparsi in vari spazi pubblici riguardanti la questione delle razze, molto spesso influenzati da vetuste idee sull’essenzialismo e sul pre-determinismo genetico che favoriscono l’accondiscendenza verso pratiche discriminatorie.

Per esempio: portare a lezione il caso di come un singolo gene influenzi l’espressione di un singolo carattere, senza chiarire ulteriormente il tema, può indurre a pensare che caratteri complessi possano essere determinati da uno o pochi geni e che essi possano essere caratteristici solo di certe popolazioni o gruppi. L’inferenza che pone alla base delle capacità cognitive di una persona un singolo gene, il quale sarebbe ereditato in quanto frequente in una certa popolazione, diviene una possibile estrapolazione ingenua da tale insegnamento. In molti frangenti manca il tempo necessario ad approfondire le complicate modalità di espressione dei geni e lo sviluppo dei caratteri, cosicché il ricorso a esempi semplici è la scorciatoia più funzionale per velocizzare l’insegnamento, tenendo presente che le lezioni vengono finalizzate a rispettare il programma prestabilito. È proprio per le possibili conseguenze negative che tale impostazione d’insegnamento può avere che diviene fondamentale intervenire in questi gangli nevralgici della formazione della cittadinanza per eradicare i prodromi di possibili discriminazioni razziali.

A tal fine sono stati condotti dei test: in alcune classi d’istituti d’istruzione secondaria negli Stati Uniti sono state somministrate lezioni di genetica aggiornate e ponderate al fine di fornire i giusti anticorpi contro pregiudizi razziali. Le lezioni sono state calibrate in funzione dell’esperienza pregressa degli studenti e del loro contesto socio-culturale di provenienza, e in ogni corso l’insegnamento si è concentrato sulle differenze genetiche che si possono riscontrare tra, e all’interno di, diverse popolazioni, approfondendo le conoscenze della genetica delle popolazioni. Dopo il periodo di insegnamento gli studenti sono stati sottoposti a un controllo utile a stabilire quanto potessero essersi aggiornate le loro credenze riguardo alla genetica umana ed è stata riscontrata una correlazione positiva tra il nuovo insegnamento e una diminuzione dei pregiudizi razziali. Tale studio indica come impartire conoscenze genetiche più approfondite possa comportare vantaggi educativi e come sia importante non delegare la questione delle razze ai soli studi sociali, che rimangono comunque fondamentali per comprendere i passaggi storici e le discriminazioni culturali e politiche che hanno permesso di costruire società marcatamente razziste.

È dunque possibile prevenire e correggere la diffusione di bias riguardanti la questione delle razze umane. Ampliando la prospettiva di tali studi, essi dimostrano come insegnare corrette informazioni scientifiche sia utile a influenzare la cognizione sociale, ovvero come sia possibile fornire una struttura di informazioni pertinenti a indirizzare i dibattiti e a emendare falsità e distorsioni che potrebbero condurre a comportamenti discriminatori. La base fondamentale è la ristrutturazione delle modalità di insegnamento della genetica, ma tale riflessione può essere estesa ad altri settori scientifici, le cui informazioni, se fossero insegnate e condivise con efficacia, sarebbero utili a “vaccinare” le menti dai virus della disinformazione e della superstizione. Basti pensare a come una corretta conoscenza del funzionamento del nostro sistema immunitario potrebbe essere utile a evitare ogni discussione riguardante le vaccinazioni degli infanti.

Gli autori dello studio riconoscono che i loro risultati non sono la soluzione definitiva al problema della discriminazione razziale, ovviamente. Vi sono limiti riguardanti la portata dell’indagine e dei suoi risultati. Ulteriori indagini saranno necessarie per stabilire quanto questi interventi mirati, durante la formazione culturale della cittadinanza, possano avere effetti duraturi, se essi realizzino degli effettivi cambiamenti concettuali profondi o si limitino a effetti superficiali sul breve periodo. Alcune variabili andrebbero approfondite, per esempio il ruolo dei contesti socio-culturali nello strutturare la cognizione e la comunicazione degli individui: se e quanto, nei contesti dove esistono, oppure non esistono, delle regole sociali antidiscriminatorie, le idee e i comportamenti razzisti diminuiscano o aumentino. Rimane difficile stabilire se a un contesto dove vi sono poche esternazioni razziste corrisponda una reale diffusione di idee antirazziste, o se idee razziste vengano semplicemente nascoste nelle interazioni. Bisognerà inoltre chiarire l’influenza di certe pratiche sociali nello strutturare modalità di riconoscimento sociale: quanto e in che modo, a seconda delle diverse basi culturali di partenza, i soggetti con poche idee chiare, o mal fondate, su un certo argomento possano conformarsi passivamente a un contesto pro-razzismo o antirazzista.

Si può prevedere che gli studi che si occupano di queste problematiche contribuiranno alla pianificazione di adeguate strategie d’intervento e a elaborare soluzioni integrate per questi problemi estremamente complessi. La scuola è una palestra fondamentale per la costituzione morale dei futuri cittadini e sempre più evidenze convergono nel mettere in luce come non si possa prescindere da una cultura scientificamente informata. In tal senso, gli scienziati non possono rimanere osservatori passivi e omertosi di fronte a fenomeni di discriminazione (politica, economica, sociale) laddove possano intervenire proficuamente a dissolvere idee e comportamenti a dir poco biasimevoli. Sarebbe un errore sottostimare l’importanza delle conoscenze di genetica umana all’interno di alcuni dibattiti sociopolitici contemporanei e per questo motivo non si deve lasciare spazio per legittimazioni sociali di idee discriminatorie ed esternazioni razziste.

NOTE

[1] Donovan, Brian M., et al. “Toward a more humane genetics education: Learning about the social and quantitative complexities of human genetic variation research could reduce racial bias in adolescent and adult populations.” Science Education 103.3 (2019): 529-560, p. 541.

[2] Donovan, Brian M., et al. “Toward a more humane genetics education: Learning about the social and quantitative complexities of human genetic variation research could reduce racial bias in adolescent and adult populations.” Science Education 103.3 (2019): 529-560.

[3]https://www.nytimes.com/2019/12/07/us/ra…

by MicroMega

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