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Storie di ordinaria rassegnazione. A Casteldaccia il solito killer, l’abusivismo

Fonte Internet

Fonte Internet

Spazzate via due famiglie, travolte dal torrente. Una storia già vista di case abusive e territori abbandonati, denunce inascoltate e ricorsi al Tar. Dove a uccidere sono l’illegalità e l’assenza dello Stato

di Gabriella Cerami

Un frigorifero, carcasse di auto, copertoni, pezzi di mobili, sacchetti della spazzatura e bottiglie. Gli alberi sono sradicati e i terreni agricoli distrutti. Sul letto del fiume Milicia, ora che l’acqua sta scendendo dopo la tempesta, si vede di tutto. E tutti sapevano quanto questo torrente potesse diventare pericoloso, travolgendo con la sua furia le case e i magazzini di Casteldaccia, un nucleo di edifici abusivi, che lì, a pochi passi dal corso d’acqua, non dovevano essere costruiti. Come al solito, tutti sapevano. E invece una villetta vicino al mare, presa in affitto per andare in villeggiatura, è diventata la tomba per nove amici e parenti venuti qui per trascorrere i giorni di festa.

In tutta la Sicilia le vittime sono dodici. Un ragazzo nella sua auto a Vicari ha perso la vita perché un altro fiume è esondato e poi due turisti tedeschi nell’agrigentino. C’è chi dà la colpa a un evento imprevedibile, alla forza della natura, ma è il solito killer a uccidere in queste storie che si susseguono ogni volta uguali in molti territori d’Italia: l’abusivismo.

Il sindaco di Casteldaccia ricorda che questa villetta era stata dichiarata abusiva, ma c’era un ricorso pendente da tempo al Tar e per questo non è stata abbattuta. Il primo cittadino di Altavilla Milicia ricorda che le denunce erano partite, si sapeva che lì “erano tutte case abusive”. Ma la Corte dei Conti accusa gli ultimi due sindaci di aver “consentito di continuare a beneficiare degli immobili realizzati abusivamente, senza corrispondere alcuna indennità”, con un danno alle casse del Comune. E gli amministratori negano di aver ricevuto contestazioni su norme contro l’abusivismo edilizio e a loro volta raccontano di una situazione difficilissima, con migliaia di richieste di sanatoria inevase, appena sei vigili in un territorio vastissimo, con decenni di illegalità alle spalle, un iter farraginoso e pochi fondi per demolire gli edifici fuori legge.

Fonte ansa

Fonte ansa

Scambi di accuse, mentre Giuseppe Conte arriva in Sicilia, sorvola la zona, promette un miliardo per il dissesto idrogeologico, e il governatore Nello Musumeci chiede lo stato di emergenza e predispone interventi su una ottantina di fiumi dicendo stop all’utilizzo delle case adiacenti. C’è poi chi si chiede come siano stati spesi i soldi fino ad ora e dove siano finiti.

Troppo tardi tuttavia per le vittime di Casteldaccia. Un uomo della Guardia forestale, posizionato in quei pochissimi metri che separano il letto del torrente dalla villetta di Casteldaccia, indica i sedili di un’auto e osserva: “Questi oggetti fanno volume e quando un torrente viene trasformato in una pattumiera e non viene messo in sicurezza prima o poi esonda”. Come è successo la scorsa notte quando verso le dieci è arrivata la tempesta, la casa era buia e Federico, un ragazzino di 15 anni, ha preso in braccio la sorellina Rachele di uno e mezzo: “Papà, prendi la macchina e andiamo via”, ha detto. Ma non c’è stato tempo, in pochissimi secondi la furia assassina dell’acqua e del fango venuti già dalla montagna, dove il fiume è esondato, li sbatte dentro casa e non c’è scampo.

Il papà Giuseppe si salva, si è ritrovato su un albero e adesso si dispera seduto su una sedia di fronte all’obitorio dell’ospedale di Palermo. Ha viso il sconvolto e gli occhi rossi dal dolore in un pianto senza fine. Poco più in là c’è Luca, un altro sopravvissuto per caso, era andato a comprare i dolci con una figlia e la nipote: “Mio figlio, mio figlio. Il fango. Me lo dovevano dire. Me lo dovevano dire”.

Voleva che gli dicessero di evacuare la villetta di Casteldaccia, perché quella notte era particolarmente pericoloso fermarsi qui dove il fiume è straripato investendo in pieno questa casetta bianca. “Se ci fosse stato un piano superiore si sarebbero salvati”, dice Loreto che intanto è andato ad aiutare la cugina che ha una casa qui vicino: “Non dovevano venire qui, mia cugina per esempio non c’era, qui si viene solo in estate”. La pericolosità del luogo era nota: tanti oggi ricordano che la diga si era rotta più volte, forse anche un mese fa, secondo qualcuno, e non c’era stato ultimamente un intervento per ripararla. Un signore con i sui due figli sta riparando la recinzione, abbattuta anch’essa dall’acqua, del suo magazzino agricolo: “Siamo qui dalle cinque, noi non ci abitiamo. Era inimmaginabile”. Lui non vuole fare polemiche ma la figlia con martello in mano per fissare la rete di ferro non si trattiene: “Se non c’è manutenzione succede tutto questo e se l’argine non viene messo in sicurezza il fiume esonda”. Di nuovo passa Loreto con i suoi stivali carichi di fango: “Io me lo ricordo il camion che passava di qui a scaricare. Qui si metteva e gettava tutto nel torrente”. Torrente che prima di arrivare al mare passa sotto la strada statale, dove se fosse passato qualcuno probabilmente sarebbe stato spazzato via.

A consolare il nipote Giuseppe, c’è anche Angelo Comito, che nella tragedia ha perso la sorella: “Siamo noi a creare queste morti con l’abusivismo e inquinando il territorio che poi nessuno sistema. Il proprietario della casa gli aveva detto di non andare in inverno, quindi tutti sapevano che era pericoloso”. Casteldaccia si inserisce in una lista di devastazioni e morte lunga vent’anni in Italia, storie di fragilità e di illegalità diffusa: da Sarno a Giampilieri, passando per Acireale, Lamezia Terme, Liguria, Veneto. Per ricordarne solo alcune.

Davanti la casa, al di là della striscia bianca e rossa che delimita l’aria, ci sono gli uomini della scientifica e i Vigili del Fuoco ancora con i piedi nel fango. I corpi sono stati portati tutti via, nell’ospedale di Palermo, dove tutti gli amici di Bagheria sostengono questa famiglia ridotta a lumicino: “Entriamo con Luca, da solo non ce la fa”. È il momento di vestire il figlio dopo che gli è stato tolto il fango di dosso. Il padre si dispera urlando “perché, perché”. E tutti dicono che qualcuno dovrà pagare. Si spera prima e non dopo nuove tragedie.

 

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