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Invasori. Come gliumani e ilorocanihannoportatoiNeanderthal all’estinzione

Pat Shipman

Trad. Anna Maria Paci

Scienza

Carocci

2017(Orig. 2015)

Pag. 221euro 19

di Valerio Calzolaio

Europa. Ultimi cinquantamila anni. Un superpredatore, il moderno Homo sapiens fece il suo ingresso nell’ ecosistema euroasiaticoun po’ più di 45.000 anni fa. Dalle nostre parti, da qualche centinaia di migliaia di anni c’erano altre specie umane, in particolare i neanderthaliani. Noi siamo stati una specie molto invasiva, dopo poche migliaia di anni siamo di fatto rimasti l’unica specie umana in Europa e sul pianeta, abbiamo favorito l’estinzione di altri mammiferi di grossa taglia (megafauna), abbiamo sostituito piante e vegetazione spontanee con specie domesticate, abbiamo iniziato a far pagare un prezzo alto alla biodiversità globale. Gli ecosistemi sono entità complesse, intersecati e tenuti insieme da una rete di cooperazione, simbiosi e dipendenza reciproche. Quando i nostri progenitori s’imbatterono nei neanderthalianiin Eurasia, questi erano intelligenti, abili, ben adattati al loro ambiente; eppure loro si estinsero e noi no. La convivenza è durata poche migliaia di anni, le due specie erano non del tutto incompatibili sotto il profilo genetico, vi era già stata e è proseguita una qualche ibridazione (con discendenza fertile). Pareche non li abbiamo uccisi tutti o tanti, che vi sia stata competizione per le risorse ma la nostra prevalenza non sia dovuta a un’aggressiva conquista militare. Probabilmente le ragioni sono altre, hanno a che vedere con la biologia delle invasioni e i cambiamenti climatici: abbiamo occupato spazi e ci siamo adattati meglio. Allo sconvolgimento faunistico e ambientale avvenuto tra 45.000 e 35.000 anni fa, con rapide oscillazioni climatiche, sopravvissero lupi e uomini moderni, non è escluso che fossero anche predatori “alleati”, in grado di guardarsi nelle sclere (come mostra la copertina) e di sconfiggere i mammut.

La stimata antropologa americana PatShipman (Scarsdale, 1949), ex-docente alla Penn State University,dopo decenni di studi specifici di tassonomia e di archeologia fossile, nel nuovo millennio si è dedicata a biografie scientifiche e aquestioni generali di paleo ecologia.Siamo noi gli invasori che le suggerisconoil titolo, meglio esserne consapevoli; mentre ilsottotitolo non riassume l’insieme delle informazioni e riflessioni contenute poi nel testo. Per lunghi meditati capitoli l’autrice ragiona sulla competizione interspecifica negli ecosistemi, anche cercando di cogliere le dinamiche possibili rispetto ad assenza o presenza di umani; valuta le piramidi trofiche con produttori vegetali, diversi erbivori animali (consumatori primari) e consumatori secondari come insettivori e carnivori; chiarisce cosa in un ecosistema determina l’arrivo di una specie di predatori, con un esempio relativo all’habitat del parco di Yellowstone; segnala la lunga attività terrena di specie umane prima di e accanto a noi sapiens, i neanderthalianiin un vasto territorio dalla Spagna alla Russia, dal Galles al Medio Oriente. Forse, tra le capacità che a un certo punto mostrammo ci furono una notevole flessibilità della caccia (non solo con agguati) e della dieta (onnivora) e la domesticazione di un canide.Shipman lo definisce lupo-cane, segnalandopeculiaricaratteristiche, che si combinaronosinergicamente con quelle umane eci rese specie quasi imbattibile nell’ecosistema europeo intorno a 40.000 anni fa. L’autrice conclude riconoscendo che nell’ipotesi vi sono anche “punti di debolezza: domande senza risposta, parametri non misurati, lacune nelle evidenze difficilmente colmabili”. Una cosa considera certa: il nostro ruolo negli ecosistemi del mondo è di invasori e ci si sta ritorcendo contro.

 

v.c.

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