Disegnando marine, moli, fari e immagini quotidiane come specchio della Romagna (e del mondo), il poeta ravennate continua a stupire…
Continua con coerenza il suo percorso Luciano Benini Sforza, poeta romagnolo (è nato a Ravenna nel 1965), che, lontano dalle riserve esclusive di tanta poesia contemporanea, ne La matita e il mare dà ancora una volta prova della sua bravura, attraverso una poetica insieme quotidiana e misurata, aperta e lirica, con un equilibrio fra parola densa e parola comunicativa. Edita nel 2016 da L’arcolaio, già nel titolo (appunto, La matita e il mare) questa raccolta poetica sembra delineare un manifesto programmatico: la “matita” corre sul foglio, traccia versi, delineando immagini e spazi, in cui predominanti sono le marine, i moli, i fari, le “liquide” (Bauman) vite che hanno l’Adriatico come cornice; una cornice, un territorio,una provincia che diventano, però, specchio del mondo globalizzato contemporaneo, a cui la grande e avvolgente dimensione del “mare” sembra certamente rimandare.
Lo stile di Benini Sforza è uno stile tutt’altro che ermetico o ermetizzante; il suo modo espressivo, come rileva Gualtiero De Santi nella prefazione, è lieve, lirico-discorsivo, accostante (il “sai”, ripetuto in alcuni testi, risulta, in un’epoca di connessioni, la ricerca di un interlocutore, di un tu più umano). Fedele ad una poesia dal sapore misurato, quotidiano, ma non freddo, sublime o accademico, utilizzando invece un comprensibile, piano classicismo “dal basso”, tracciato appunto da una “matita”, il poeta incontra le cose, le esperienze, la realtà e le persone di tutti i giorni, rimanendo lontano dagli sperimentalismi che talora conducono la lingua a ibride forzature. Benini Sforza traccia dei testi, dei quadri lirici, lirico-narrativi e sentimentali che pullulano di figure, ricordi, vedute; allo stesso tempo, inoltre, un territorio (la Romagna) diventa specchio e riflesso del mondo globalizzato, diventa una sua particolare e poetica intersezione o propaggine. Non aspettatevi, però, facili condanne verso la contemporaneità, così frenetica e privata dei suoi valori tradizionali, né pose disperate; il poeta non si erge mai a giudice e non vuole impastare i suoi versi con patetismi di maniera: in effetti, troviamo soprattutto una presa di coscienza delle criticità, dei problemi della società in cui tutti oggi viviamo. C’è, quindi, un carico emotivo e morale che si traduce in equilibrio compositivo, un equilibrio caro a Umberto Saba, quando parlava di “poesia onesta”. Per Saba, lo diceva a proposito di Manzoni, la “poesia onesta” era quella “costante e rara cura di non dire una parola che non corrisponda perfettamente alla sua visione”. In Benini Sforza c’è questa onestà di fondo, che lo fa essere poeta lirico e insieme ancorato, interessato civilmente ed umanamente alla nostra modernità globalizzata, un autore, di conseguenza, che “fra i coralli e le ore”vede anche “ le zanne lunghe di questi tempi”.
Piergiorgio Viti
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