bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
dicembre 2016
L M M G V S D
« Nov   Gen »
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
262728293031  

50esimo rapporto Censis, ko economico per i Millennials, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di 25 anni fa. Crollo delle nascite, boom di voucher.

Internet

Internet

L’Huffington Post

Ko economico dei Millennials (più poveri dei loro nonni e per la prima volta anche dei coetanei di 25 anni fa), boom di voucher nel mercato del lavoro, nuova era dell’economia sommersa, crollo delle nascite. E’ questo il quadro desolante del Paese disegnato dal 50esimo rapporto annuale del Censis. L’aspetto più cupo riguarda i giovani. Per la prima volta nella storia i giovani sotto i 35 anni saranno più poveri dei loro padri, dei loro nonni ma anche dei coetanei di 25 anni fa. Oggi i cosiddetti Millennials stanno subendo un vero e proprio “ko economico”. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%.

Nel confronto con venticinque anni fa – scrive il Censis – i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora che invece avevano un reddito del 5,9% rispetto alla media della popolazione di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali Millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell’insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%.

Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).

Sul fronte lavoro, il boom dei voucher – 277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 e i 70 milioni di nuovi voucher emessi nei primi sei mesi del 2016 – “è il segnale che la forte domanda di flessibilità e l’abbattimento dei costi stanno guidando un segmento esteso e crescente di datori di lavoro, alimentando l’area delle professioni non qualificate e del mercato dei “lavoretti”, imprigionando uno strato crescente dell’occupazione (soprattutto giovanile) nel limbo del lavoro “quasi-regolare”, osserva il Censis nel 50.mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, sottolineando che “non a caso, la nuova occupazione creata è associata a una bassa crescita economica”. Secondo i dati della contabilità nazionale, “tra il primo trimestre del 2015 e il secondo trimestre del 2016 il Pil è aumentato di 3,9 miliardi di euro e gli occupati interni di 431.000 unità, quindi ciascun nuovo occupato è associato a una produzione di ricchezza di soli 9.100 euro. Nel periodo, in effetti, la produttività (intesa come Pil per occupato) si è ridotta di conseguenza da 16.949 a 16.812 euro: 137 euro in meno per occupato”. In altri termini “se la produttività (in Italia già di per sé non alta) fosse rimasta costante, nell’ultimo anno e mezzo il Pil sarebbe cresciuto complessivamente dell’1,8% e non solo dello 0,9% come invece abbiamo effettivamente registrato”.

All’interno del mercato del lavoro, si legge ancora nel Rapporto, “è avvenuta una ricomposizione tra le diverse categorie professionali, che ha portato a una crescita del peso delle professioni non qualificate (+9,6% nel periodo 2011-2015) e degli addetti alle vendite e ai servizi (+7,5%), a uno svuotamento di figure intermedie esecutive, attive principalmente in ambito impiegatizio (-5,1%), a una drastica riduzione della componente operaia, degli artigiani e degli agricoltori (-14,2%)”.

L’Italia sta vivendo una “prolungata e infeconda sospensione, dove le manovre pensate in affannata successione non hanno portato i risultati attesi”. In questo contesto, secondo il 50.mo Rapporto Censis, è nata una “seconda era del sommerso”, che punta, dal risparmio cash alla sharing economy, alla “ricerca di più redditi”. Fenomeno diverso da quella degli anni ’70 che apriva a “una saga di sviluppo industriale e imprenditoriale” perché si tratta di una “arma di pura difesa”.

Le aspettative degli italiani – sottolinea il Censis nel capitolo “La società italiana al 2016” del 50° Rapporto sulla situazione sociale del Paese – continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l’esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo è una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l’alimentazione (il 51,7%). L’immobilità sociale genera insicurezza, che spiega l’incremento dei flussi di cash.

Rispetto al 2007, dall’inizio della crisi gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l’Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna. Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Così, con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l’Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra. Emerge una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia.

“L’Italia non è un Paese per genitori. Che nel Belpaese si facciano troppi pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell’immaginario collettivo. Nel sentire comune, la prima causa imputata rispetto al crollo delle nascite è la grave e perdurante crisi economica”.

“Senza stranieri il rischio è il declino. Nell’ultimo anno l’allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall’Unità d’Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. Senza giovani nè bambini, il nostro viene percepito come un Paese senza futuro”, continua il Censis.

Dal Rapporto emerge che per l’83,3% degli italiani la recessione economica ha avuto un impatto sulla propensione alla natalità “rendendo più difficile la scelta di avere figli anche per chi li vorrebbe”. Il 60,7% è tuttavia convinto che, se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti (sussidi, asili nido, sgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze parentali), la scelta di avere un figlio sarebbe più facile. Meno figli anche ha causa della presa di coscienza tardiva circa la presenza di eventuali problemi di infertilità, che allunga inevitabilmente i tempi di accesso alle cure e quindi la loro efficacia. Le coppie che si sottopongono alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) sperimentano un percorso articolato, con modalità di accesso e opportunità molto differenziate tra le diverse Regioni: il 76% dei coniugi in trattamento pensa che chi ha problemi di questo genere in Italia sia svantaggiato rispetto a chi vive in altri Paesi europei, il 79,5% pensa che non in tutte le Regioni sia assicurato lo stesso livello di qualità nei trattamenti, così come la gratuità dell’accesso alle cure (74,3%).

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>