Corriere della Sera
Gli italiani sono davvero più felici, più soddisfatti delle loro vite, come mostrato ieri da un’indagine dell’Istat? Il sociologo Domenico De Masi fa una lettura diversa e molto più pessimistica dei dati diffusi dall’istituo di statistica: “Forse – spiega in una intervista al Corriere dell Sera – gli italiani si sono assuefatti al peggio, altrimenti non si spiega”. Infatti, sottolinea il professore della Sapienza, “ci sono molti dati oggettivi” che dimostrerebbero che tra lo scorso Natale e febbraio, quando si è svolta l’indagine, non siano prodotti eventi tali da giustificare un cambio nelle opinioni degli italiani.
Quali?
«Per esempio, i poveri sono raddoppiati. Oppure vogliamo parlare della disoccupazione e dei giovani istruiti che non trovano lavoro?».
E allora come spiega il miglioramento della soddisfazione?
«Con l’assuefazione al peggioramento. Ci si abitua, per esempio, al crescere dell’insicurezza».
Sta dicendo che ci si dimentica di quando si stava meglio?
«In sociologia usiamo una parola, alienazione, per descrivere lo stato in cui si sta oggettivamente peggio ma non lo si avverte. È uno stato pericoloso anche psicologicamente, perché si abbassano le difese e la capacità di conflitto».
Secondo De Mari inoltre la percezione della soddisfazione delle proprie vite spesso può essere suscettibile di influenze personali e temporanee
«Un conto è esaminare indicatori oggettivi, tipo il patrimonio, il reddito, ma anche quante volte si è andati al cinema o per quanti giorni si è stati in vacanza, una cosa diversa è la percezione di soddisfazione o insoddisfazione soggettiva, che può essere influenzata da mille fattori».
Per esempio?
«Che so, uno è momentaneamente infelice per motivi sentimentali o di salute e viceversa. Magari il giorno prima dell’intervista la sua squadra ha vinto e lui è contentissimo. Insomma la sensazione di benessere ha poco valore rispetto agli indicatori oggettivi. E non gli darei tutta questa importanza, tanto più che siamo a ridosso del referendum e facilmente qualcuno può attribuirsi il merito di questo presunto miglioramento»
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