Mosca continua ad aggredire perché non può farne a meno: ogni tregua mette a rischio la fragile coesione interna. Bisogna conoscere le frasi, i miti e i cliché di questa narrazione
Molti fiumi d’inchiostro sono stati versati nel tentativo di interpretare le motivazioni addotte da Mosca per giustificare l’invasione dell’Ucraina, commettere innumerevoli crimini di guerra e bruciare i ponti rimasti con l’Occidente. Gli analisti si arrovellano: perché portare avanti politiche tanto autodistruttive? Dio solo lo sa: la Federazione Russa, la più vasta massa continentale del pianeta, non ha certo bisogno di altro territorio, né è mai stata minacciata dall’Ucraina o dalla Nato — a dispetto degli agenti d’influenza mobilitati dal Cremlino per convincere sé stessi e noi di questa evidente menzogna.
In un certo senso, né Putin né il suo entourage dovevano necessariamente scegliere la guerra. È stata la guerra criminale d’aggressione a scegliere loro. Il colonialismo, impulso radicato e travolgente, è la forza motrice della storia russa: gli attori cambiano, ma la violenza resta.
Noi in Occidente dobbiamo smettere di ossessionarci sulle motivazioni di Vladimir Putin e affrontare una verità più profonda. La Russia è nata come un impero. La visione che il Paese ha di sé — come forza civilizzatrice investita di una missione divina, la “terza Roma” — alimenta l’aggressività verso i vicini e rafforza il legame tra il popolo russo e il potere del Cremlino.
Quando non cerca di sottomettere i vicini, il sistema politico centrato su Mosca non ha un’identità coerente. Cos’è la Russia? Qual è il suo scopo? Quale idea nazionale tiene insieme tutto, a parte la conquista e il saccheggio? Quando non è impegnato a preparare o combattere una guerra, il popolo russo — dai buriati ai calmucchi, dai tatari agli jacuti — potrebbe iniziare a domandarsi cosa li unisce davvero.
Com’è possibile che Mosca, una delle città con il più alto numero di miliardari pro capite al mondo, continui a drenare le immense ricchezze del territorio offrendo in cambio solo illusioni di grandezza? In un Paese dove il sessantasei per cento della popolazione rurale non ha nemmeno l’acqua corrente e il quarantotto per cento usa ancora latrine esterne.
Non si tratta solo delle azioni di un regime specifico o dello Stato russo in sé; è l’essenza di una cultura, una concezione distorta di sé, intrisa di neo-imperialismo. L’ultima incarnazione può chiamarsi putinismo o ruscismo — fascismo russo — ma il nome è secondario. Ciò che perdura è lo schema: una violenza continua come manifestazione dell’impulso coloniale di Mosca.
In ogni società, alcune espressioni, se ripetute spesso da chi ha potere e da chi non ne ha, diventano parte della coscienza collettiva. In Russia, si è sviluppato un linguaggio preciso, che alimenta narrazioni genocidarie e presenta l’aggressione come destino. Prendete queste sette espressioni: non sono deviazioni, ma i principi guida, l’impalcatura dell’identità imperiale russa.
Mondo Russo («Русский мир», Russkiy mir)
Ben più di una semplice rivendicazione culturale, si tratta di un’autoproclamata missione: intervenire — e, se necessario, invadere — ovunque vi siano parlanti russi o la Chiesa ortodossa russa. Questo concetto trasforma lingua, tradizione e religione in pretesti per l’espansione imperiale. Secondo questa dottrina, nessuno Stato confinante è davvero sovrano. Come ha detto una volta Putin: «Il confine della Russia non finisce da nessuna parte» — una frase che riassume perfettamente il livello di violenza e aggressività inscritto nella visione che Mosca ha di sé.
Popoli fratelli («Братские народы», Bratskie narody)
È il modo in cui Mosca si riferisce ai russi e agli ucraini — un cliché ripetuto fino alla nausea. Putin ha dedicato un articolo di cinquemila parole al tema nel 2021, a conferma della sua centralità ideologica nella preparazione dell’invasione su larga scala. All’apparenza evoca un legame di parentela, ma queste due parole nascondono un significato ben più oscuro. La frase rivela la violenza implicita nella visione russa: gli ucraini devono accettare di essere, in realtà, russi — oppure essere annientati. Questa unità condizionata rende evidente l’impossibilità di una vera coesistenza.
«Dov’eravate in questi otto anni?» («Где вы были восемь лет?», Gde vy byli vosem let?)
È una domanda retorica usata come arma da Mosca per deviare le critiche sulla propria aggressione contro l’Ucraina. Si riferisce al periodo che va dall’annessione russa della Crimea nel 2014 all’invasione su vasta scala del 2022, accusando gli altri di indignazione a intermittenza e ignorando volutamente le sofferenze provocate dalla Russia stessa. Chiariamo subito: non è stata l’Ucraina a bombardare sé stessa, contrariamente a quanto vorrebbe far credere la propaganda del Cremlino. La responsabilità ultima per il dolore e la devastazione inflitti alla popolazione degli oblast di Donetsk e Luhansk ricade su Mosca. Secondo il diritto internazionale e il più elementare senso morale, chi avvia una guerra d’aggressione criminale è responsabile dell’intera catena di violenze che ne consegue.
«I nostri non li abbandoniamo» («Своих не бросаем», Svoikh ne brosayem)
In apparenza, sembra una nobile dichiarazione di solidarietà da parte del Cremlino: un impegno verso i propri “fratelli”. In realtà, la Russia ha trasformato questa espressione in un’arma retorica per giustificare invasioni e minare la sovranità degli Stati confinanti. Secondo questa logica, ovunque vivano russofoni, Mosca non solo ha il diritto, ma addirittura il dovere di intervenire — a prescindere dalle conseguenze.
«Possiamo farlo di nuovo» («Можем повторить», Mozhem povtorit)
È un vanto riferito al ruolo della Russia nella Seconda guerra mondiale e alla marcia vittoriosa su Berlino. Ma oggi è diventato il simbolo di un orgoglio militarista e di cicli infiniti di violenza. Presenta la conquista come qualcosa di inevitabile e giusto, nascondendo la fragilità di un sistema fondato interamente sull’oppressione.
Risorgere dalle ginocchia («Вставание с колен», Vstavanie s kolen)
Un’espressione che evoca un Paese che si scrolla di dosso l’umiliazione e rivendica il proprio posto legittimo nel mondo. Ma si tratta dell’ennesimo gioco di prestigio. Il crollo dell’Unione Sovietica — un evento che ha ampliato la libertà nel mondo e offerto ai russi una rara opportunità di costruire un Paese migliore — viene interpretato, attraverso la lente imperiale, non come una liberazione ma come una catastrofe. Così, guerre non provocate, crimini efferati e nuove conquiste vengono venduti come un ritorno alla grandezza — una risalita che in realtà è solo una ricaduta nel militarismo e nella repressione.
L’Anima russa misteriosa («Загадочная русская душа», Zagadochnaya russkaya dusha)
Questo cliché eterno viene spesso evocato da ammiratori e apologeti della Russia. Allude a un’essenza profonda, enigmatica, che gli stranieri non possono né comprendere né definire — una sorta di spiritualità, o skrepy, che terrebbe uniti i russi. Ma è un linguaggio in codice. Il presunto mistero dell’anima russa è solo un paravento, utile a nascondere il vuoto al centro di uno Stato-Frankenstein: vasto quanto un continente, ma privo di una visione unificante. La Russia non è una nazione: è una prigione di nazioni, tenute insieme non da valori comuni, ma dalla forza e dalla paura. Al suo interno, il popolo ha interiorizzato la sottomissione, disinteressato alla politica e rassegnato all’umiliazione inflitta ogni giorno dal proprio governo. All’esterno, quella stessa oppressione viene usata come arma, in un ciclo perverso di proiezione violenta contro chiunque osi resistere.
È fondamentale comprendere cosa rivela questo vocabolario sulla profondità della mentalità imperialista russa, se vogliamo davvero capire perché Mosca si comporta in questo modo. Il Mondo Libero si rifugia dietro promesse vaghe di sostenere l’Ucraina «finché sarà necessario», ma al tempo stesso fatica a cogliere — o sceglie deliberatamente di ignorare — la piena portata della realtà che stiamo affrontando.
Sotto la maschera della difesa degli interessi nazionali, le guerre della Russia — in Cecenia, Georgia, Siria, Crimea e ora Ucraina — seguono tutte lo stesso schema. Questa spinta incessante alla dominazione non si fermerà da sola: va fermata. Se il Mondo Libero non garantirà la vittoria dell’Ucraina, i nostri errori strategici si moltiplicheranno. I tentativi di de-escalation, di scambio di territorio in cambio della pace o di congelare il conflitto per compiacere Mosca si ritorceranno contro di noi — come è sempre accaduto.
Articolo precedentemente uscito su Euromaidanpress
Linkiesta, Esteri, 27 marzo 2025
di Andrew Chakhoyan
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