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L’identità e la libertà Storia breve dell’indipendentismo ucraino

slavaukrainida Raimondo Giustozzi

“L’Ucraina siamo noi” di Christian Rocca racconta le radici storiche dell’Ucraina come Stato sovrano che risalgono a un’epoca lontana

 

L’attaccamento degli ucraini all’idea di Stato indipendente e a un’identità nazionale non nasce certo nel 1991, al momento del dissolvimento dell’Unione sovietica né, tantomeno, dopo l’attacco russo del 24 febbraio 2022, come si tende a credere in Occidente. Prima ancora del 1991, nello stesso Ventesimo secolo, l’indipendenza di tutto o parte del territorio ucraino è stata proclamata almeno cinque volte, ma si deve andare ancora più indietro, fino alla metà del Diciassettesimo secolo, per trovare le radici storiche dell’attuale Stato ucraino.

Sono stati poi gli intellettuali ucraini d’inizio Novecento a descrivere le caratteristiche civili ed etniche del popolo ucraino e a definire l’estensione geografica dello Stato, a codificare una forma scritta della sua lingua e a ricostruire la storia per legittimare l’esistenza di un popolo ucraino e il suo diritto all’autonomia statuale, culturale e politica.

Nel medioevo, la Rus’ di Kyjiv fu il primo esempio di entità ucraina che si estendeva oltre l’attuale Ucraina fino a comprendere anche la Bielorussia e buona parte della Russia europea. Putin oggi afferma che la Russia sia la Rus’ di Kyjiv, ma è uno strafalcione storico.

Lo storico ucraino Yaroslav Hrytsak ha spiegato in un’intervista a Yaryna Grusha su Linkiesta che quella russa è una presunzione grottesca, come se la Romania – che ha preso il nome dalla capitale dell’Impero romano – oggi pretendesse di conquistare l’Italia perché proprio da Roma ha preso il nome.

Dopo il dissolvimento, la Rus’ di Kyjiv continuò ancora per oltre un secolo con il nome di Regno di Galizia-Volhynia, in una forma più ridotta e limitata all’attuale Ucraina occidentale.

Poi ci fu l’Etmanato, più o meno nell’attuale Ucraina centrale, creato nel 1649 dal capo cosacco di Zaporizhzhya, Bohdan Khmelnytskyy, durato oltre un secolo, fino a quando fu abolito nel 1780 dall’imperatrice Caterina II di Russia.

Nel Diciannovesimo secolo, le terre ucraine erano divise tra l’Impero russo a Est e l’Impero austro-ungarico a Ovest. Gli Asburgo incoraggiarono il movimento nazionale ucraino di Lviv, mentre gli zaristi tentarono di sopprimere il movimento nazionale ucraino di Kyjiv. Alla fine dell’Ottocento, gli intellettuali e i partiti politici ucraini cominciarono a coltivare l’idea di uno Stato indipendente che comprendesse le terre abitate dagli ucraini di entrambi gli imperi.

All’inizio del Novecento, con il crollo dell’Impero russo e poi del successivo governo liberale e infine con la Rivoluzione bolscevica, cambiò tutto. I bolscevichi ci misero alcuni anni a sconfiggere i nemici interni e a fondare l’Unione Sovietica e gli ucraini utilizzarono questo lasso di tempo (1917-1921) per fondare la Repubblica popolare e nazionale ucraina che diventò «lo Stato indipendente del popolo ucraino, non soggetto a nessuno, libero e sovrano». Per popolo ucraino già allora si intendevano non solo gli ucraini etnici ma tutti gli abitanti dell’Ucraina, e quindi anche quel 30 per cento del totale della popolazione composto da russi, polacchi, ebrei e altre minoranze, tanto che le rispettive comunità avevano dei propri rappresentanti al governo per tutelare i propri interessi e la propria autonomia. Sulle banconote, oltre all’ucraino, comparivano la lingua russa, polacca e yiddish.

La Repubblica aveva un esercito nazionale autonomo per difendere le nove province abitate dagli ucraini nell’ex Impero russo e fu riconosciuta dalle potenze centrali con il Trattato di Brest-Litovsk (febbraio-marzo 1918), tanto che la Germania e l’Impero austro-ungarico inviarono loro truppe per proteggere l’Ucraina dalla Russia sovietica.

La Germania insediò a Kyjiv un leader filotedesco, l’Etmano Pavlo Skoropadskyi, messo a capo dello Stato ucraino con il titolo di Etmano che richiamava la lunga tradizione risalente all’Etmanato cosacco del Diciassettesimo e Diciottesimo secolo.

Dopo la resa della Germania agli Alleati, nel novembre 1918, lo Stato ucraino filotedesco crollò, ma la statualità ucraina sopravvisse con l’immediata restaurazione della Repubblica nazionale ucraina. Seguì una guerra civile, ma l’esistenza della Repubblica indipendente fu confermata sulla scena internazionale da venticinque Paesi e come tale essa fu accettata dentro varie organizzazioni internazionali.

Ben consapevoli della realtà e della forza del movimento nazionale ucraino, e dell’importanza della statualità ucraina come collante ideale per le persone che si identificavano come ucraine, i bolscevichi risposero proclamando nel dicembre 1917 la Repubblica nazionale ucraina sovietica, con capitale a Kharkiv. La presunta necessità di proteggere la Repubblica sovietica ucraina fornì alla Russia bolscevica la giustificazione “legale” per inviare l’Armata Rossa in Ucraina, al fine di cacciare le forze della Repubblica indipendente di Kyjiv, con una modalità simile a quella vista più recentemente in Donbas e in Crimea e con un analogo ricorso alle menzogne.

Nel 1918 fu istituita a Lviv una Repubblica nazionale ucraina occidentale che si unì con la Repubblica nazionale ucraina di Kyjiv. Entrambe erano impegnate in una lotta per la sopravvivenza: la Repubblica nazionale ucraina occidentale si difendeva dalla Polonia; la Repubblica nazionale ucraina di Kyjiv combatteva contro la Russia sovietica, contro le forze antibolsceviche della Russia bianca e contro vari eserciti contadini insorti che operavano nelle terre ucraine dell’ex Impero russo (il romanzo “L’orecchio di Kiev di Andrei Kurkov” fornisce una descrizione letteraria ma fedele di quei tumultuosi e caotici tempi).

Entrambe le Repubbliche ucraine furono sconfitte dai polacchi e dai russi, nonostante la mobilitazione di centinaia di migliaia di persone pronte a combattere e a morire per il loro Paese, l’Ucraina.

La forza dell’indipendentismo ucraino convinse i leader sovietici di Mosca che la Russia sovietica poteva sperare di mantenere il controllo sull’Ucraina solo se avesse inviato l’Armata Rossa a invadere e occupare il Paese, naturalmente in cooperazione con il Partito comunista ucraino che dal 1919 governava lo Stato ucraino sovietico strettamente alleato del Cremlino, ma amministrativamente separato dalla Russia.

L’Ucraina sovietica rimase per un certo periodo uno Stato sovrano, con il controllo del settore agricolo, della giustizia, dell’istruzione e degli affari esteri, e fu percepita all’esterno come uno Stato indipendente, tanto da mantenere una rappresentanza diplomatica in diversi Paesi (Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Lituania, Lettonia, Estonia, Turchia) e da concludere degli accordi bilaterali con altri.

La sovranità dell’Ucraina sovietica terminò formalmente nel luglio 1923, quando nacque la federazione delle Repubbliche nazionali con Russia, Bielorussia, Ucraina e Transcaucasia, ovvero l’Unione Sovietica, cui si aggiunsero su base “volontaria” altre Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. All’interno di questa unione nominalmente federale, l’Ucraina sovietica funzionava come uno spazio politico a sé stante, i cui residenti si identificavano con un’entità statuale chiamata Ucraina che per alcuni anni ha goduto di una certa autonomia da Mosca.

Ad esempio, l’Ucraina sovietica continuò per un certo periodo a mantenere il controllo sul proprio sistema di istruzione e sullo sviluppo culturale. Con l’incoraggiamento delle autorità di Mosca, il governo dell’Ucraina sovietica avviò con Lenin nel 1923 un programma noto come ucrainizzazione (ed è per questo che Putin, falsificando la storia, giustifica l’invasione spiegando ai suoi sudditi che le pretese statuali degli ucraini sono artificiali perché nascono da una precisa e arbitraria scelta di Lenin).

L’obiettivo strategico del programma di ucrainizzazione, ovviamente, era quello di legittimare l’autorità del Partito comunista ucraino, attirando nelle sue file una più ampia fetta di popolazione locale. Riconoscendo la forza genuina del sentimento nazionale ucraino, il Partito comunista sperava di ricevere maggiore sostegno e nuove iscrizioni promuovendo la lingua ucraina e tutte le forme di cultura ucraina.

Il programma di ucrainizzazione ebbe un notevole successo, tanto che nel 1929 tre quarti degli studenti della Repubblica frequentavano scuole in cui l’ucraino era la lingua di insegnamento. Aumentò enormemente anche il numero di pubblicazioni e di istituzioni culturali (enti scientifici, biblioteche, teatri, musei) che utilizzavano la lingua ucraina. Lo status dell’Ucraina Sovietica fu potenziato nel 1945, quando addirittura divenne uno dei membri fondatori delle Nazioni Unite, dove era presente all’Assemblea generale come una nazione autonoma e indipendente.

Il programma ebbe troppo successo, tanto che le autorità comuniste di Mosca, con Stalin al potere, si accorsero che stava involontariamente contribuendo ad alimentare il nazionalismo ucraino. Stalin avviò allora il primo Piano quinquennale dell’Unione Sovietica per industrializzare più rapidamente il Paese e per collettivizzare il settore agricolo con la forza. L’Ucraina risentì in modo particolare della collettivizzazione forzata, con la deportazione di oltre mezzo milione di agricoltori privati (i kurkuli in ucraino, i kulaki in russo) e all’imposizione di una carestia genocida, nota come Holodomor, o Grande carestia, che solo nel 1932-1933 causò quasi quattro milioni di morti.

Questi tragici sviluppi furono accompagnati dal completo smantellamento del programma di ucrainizzazione e da un attacco frontale ai leader intellettuali e culturali ucraini. La cancellazione fisica e culturale, nei primi anni Trenta, dei contadini e degli intellettuali delle città ucraine non eliminò il sentimento nazionale ucraino, anzi costituì il fondamento di una memoria comune ucraina che è riaffiorata ogni volta che le circostanze politiche hanno permesso una rinascita del movimento nazionale.

Quando, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, l’Unione Sovietica entrò in un periodo di trasformazione con la perestroika di Michail Gorbačëv, aumentarono le richieste per il ripristino di un’Ucraina sovrana, ma rimasero inascoltate anche dopo la catastrofe di Chernobyl’, in Ucraina, quando i leader sovietici (ed erano i riformatori di Gorbačëv) deliberatamente non avvertirono gli ucraini delle radiazioni nucleari.

Solo alla caduta dell’impero sovietico, nel 1991, nacque un’Ucraina pienamente indipendente.

Il 24 agosto 1991, il Parlamento dell’Ucraina sovietica, la Verkhovna Rada, dichiarò l’Ucraina uno “Stato democratico indipendente”, poco dopo il tentato colpo di Stato a Mosca organizzato per rovesciare Gorbačëv. In seguito al fallimento del colpo di Stato, il Parlamento ucraino dichiarò comunque l’indipendenza e indisse un referendum nazionale. Ai cittadini venne chiesto di approvare o respingere la dichiarazione del Parlamento. Il 92 per cento degli elettori ucraini approvò la dichiarazione di indipendenza, anche nelle zone del Paese che sembravano più legate a Mosca ( a Donetsk e a Luhansk il “sì” ottenne l’84 per cento; in Crimea il 54 per cento ).

Nelle settimane successive al referendum del primo dicembre 1991, l’Unione Sovietica cessò di esistere (26 dicembre 1991). Nei mesi a seguire, l’indipendenza dell’Ucraina fu riconosciuta dalla maggior parte dei Paesi del mondo, dalle Nazioni Unite e dai suoi vicini post-sovietici, comprese la Federazione Russa e la Bielorussia.

Come Stato indipendente, l’Ucraina intraprese un periodo di transizione in cui le sue priorità principali furono il passaggio da un’economia statale a un’economia di mercato libero; la trasformazione istituzionale da un modello autoritario a un modello democratico; e una più stretta associazione con l’Unione Europea e il Nord America al posto della infelice dipendenza dall’ex mondo sovietico.

In quel momento, l’Ucraina controllava il terzo arsenale nucleare mondiale, con circa cinquemila tra testate strategiche e tattiche. Su insistenza degli americani, il governo ucraino scelse la strada della denuclearizzazione e tra il 1994 e il 1996 trasferì tutte le armi alla Russia. Insomma, in quell’occasione, gli ucraini si fidarono della Russia e cedettero alle pressioni occidentali alimentate dall’ideologia della fine della storia e della vittoria irreversibile della democrazia liberale. Il risultato di quella scelta fu, invece, la ripresa delle mire imperialiste di Mosca che è la base dell’attuale conflitto.

La Costituzione dell’Ucraina, adottata nel 1996, ha previsto una struttura statale unitaria con un governo guidato da un presidente eletto direttamente dal popolo e con un parlamento a Camera singola, la Verkhovna Rada. L’eccezione è la Crimea, riconosciuta come Repubblica autonoma all’interno dell’Ucraina e dotata di un proprio Parlamento. L’evoluzione dell’Ucraina dalla sua fondazione nel 1991, e in particolare in seguito alle due rivoluzioni politiche ( la Rivoluzione arancione del 2004 e la Rivoluzione della dignità di Euromaidan del 2013-2014 ), mostra che Kyjiv si muove con convinzione verso l’obiettivo di diventare una nazione in cui l’ucrainità è definita principalmente dal principio civico enunciato nella sua Costituzione: ovvero quello per cui il popolo ucraino è composto dai cittadini dell’Ucraina appartenenti a tutte le nazionalità e a tutte le etnie.

L’identità civica ucraina si fonda su un impegno a favore di uno Stato governato dai valori democratici europei e di un’enfasi sulla libertà di espressione, i diritti umani e lo Stato di diritto. La forza del principio civico è stata confermata oltre ogni aspettativa dalla reazione all’invasione russa del 2022, durante la quale i cittadini ucraini di tutte le regioni, nazionalità, etnie e lingue resistono, combattono e muoiono difendendo lo Stato con cui si identificano pienamente.

Questo Stato è l’Ucraina.

L’Ucraina non è un Paese perfetto, tutt’altro. È pur sempre una nazione che si è liberata dalla morchia sovietica da poco più di trent’anni e come quasi tutti i Paesi soggiogati da Mosca è uscita dal comunismo affrontando anni di povertà estrema, di far west sociale e di razzie economiche da parte degli oligarchi. Volodymyr Zelensky è stato eletto nel 2019 con un programma elettorale populista per fermare le ruberie di Stato, ma lui stesso ha avuto rapporti ambigui con due oligarchi con immensi interessi economici, dai media alla finanza, uno dei quali nell’estate 2023 è finito nei guai giudiziari. Ma la guerra ha accelerato i processi di modernizzazione dello Stato e di avvicinamento agli standard dei Paesi europei. Il predecessore di Zelensky, Petro Poroshenko, è egli stesso un piccolo oligarca con interessi industriali di ampio genere, anche nei media. Tutti gli ucraini che conosco sufficientemente bene da avergli potuto chiedere se alle elezioni del 2019 avessero votato Poroshenko o Zelensky mi hanno risposto di aver votato Poroshenko. Nessuno ha scelto Zelensky, benché quest’ultimo alle Presidenziali abbia ottenuto più del 73 per cento.

Poroshenko, pur con tutti i dubbi legati ai suoi interessi personali, è considerato colui che ha costruito da zero l’esercito ucraino e quindi il salvatore preventivo del Paese, assieme all’attuale presidente e comandante in capo Zelensky.

Agli stessi interlocutori ho domandato che cosa voterebbero se si andasse presto a elezioni, nel pieno della guerra, come chiedono gli americani. La risposta non è stata univoca e nemmeno banale: tutti stimano Zelensky, perché è il loro presidente e il comandante in capo che ha respinto i russi, e perché ha gestito da statista consumato l’arena internazionale, eppure in caso di elezioni non sono così certi di votarlo, pur sapendo che un’eventuale quanto improbabile bocciatura di Zelensky da parte dei cittadini ucraini sarebbe manna dal cielo per i propagandisti russi. Gli ucraini che conosco, prima di decidere, vorranno vedere quali saranno le alternative al presidente, e non nascondono l’idea che cambiare non sarebbe male, anche perché, prima o poi, l’atteggiamento attendista di Zelensky nei giorni precedenti l’invasione del 24 febbraio, e in particolare il suo iniziale fidarsi dei russi che ha fatto infuriare anche Joe Biden e il suo staff, dovrà essere raccontato e spiegato.

Una risposta, questa dei miei interlocutori, che da un lato smentisce la propaganda secondo cui gli ucraini sarebbero un popolo plagiato da un guerrafondaio fanatico e dalla Nato, e dall’altro conferma che l’Ucraina sta facendo grandi passi avanti sul fronte democratico, visto che nel mezzo della guerra si discute apertamente se votare o no l’eroe della resistenza e si guardano comunque con sospetto le attività di mobilitazione globale a favore dell’Ucraina organizzate da altri oligarchi. Su pressione dell’Occidente, Zelensky ha già approvato varie riforme, alcune caute e altre meno caute, per far rientrare l’Ucraina nei parametri europei (ma dovrà ancora affrontare quella della giustizia). E ha licenziato numerosi funzionari pubblici e di governo per allontanare le accuse di ruberie sugli appalti militari. L’Ucraina è un Paese moderno e complicato, con start up innovative nate durante la guerra, un business agricolo tradizionale e un expertise e delle capacità industriali militari a questo punto senza paragoni nell’Europa continentale. Alcuni servizi sono antiquati, altri tecnologicamente avanzati e su tutto incombono gli oligarchi, ma l’anomalia post sovietica è in via di contenimento: prima della guerra, per esempio, la Banca mondiale aveva imposto la nazionalizzazione di una banca privata tecnologicamente all’avanguardia anche rispetto agli standard occidentali, perché la raccolta privata era investita prevalentemente a beneficio delle aziende degli oligarchi, uno dei quali era il principale sostenitore di Zelensky. Gli ucraini, ha scritto Thomas Friedman, hanno «hands, brains and grains», manodopera, cervelli e grano, non molti altri Paesi possono vantare queste tre cose. C’è ancora tanto da fare, ma la direzione è quella giusta e la volontà civile e politica è univoca. Prima però serve che finisca la guerra: e la guerra può finire in tre soli modi: con il ritiro unilaterale della Russia, con la sconfitta sul campo dell’esercito di Mosca oppure facendo entrare l’Ucraina nella Nato garantendo a Kyjiv la sicurezza globale prevista dall’articolo 5 del Trattato atlantico, quello che impegna tutti i Paesi dell’Alleanza a difendere militarmente chi subisce un attacco esterno.

Questo brano è tratto dal libro “L’Ucraina siamo noi”, di Christian Rocca, pubblicato da Linkiesta Books. Lo si può acquistare online a questo link.

 

Esteri, 24 febbraio 2025, Linkiesta

di Christian Rocca

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