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Quartiere San Marone: l’ Hotel Solarium e le case popolari di via Carducci, angolo via Cavallotti

hotel solarium fonte internetdi Raimondo Giustozzi

Posto a poca distanza dalla nuova rotonda, quella con l’albero della vita, l’hotel Solarium ha visto tutte le più recenti trasformazioni del quartiere San Marone. E’ in via Giosuè Carducci, al numero civico 33- 35, esiste fin dal 1962, con il medesimo nome, nella stessa area dove un tempo c’era una falegnameria e deposito di legname. Il primo proprietario è stato Cognigni, padrone anche della stessa falegnameria. L’albergo, nel 1975, cambia proprietario, passa nelle mani della clinica “Villa Alba” di Macerata, successivamente, molti anni dopo, in quella di “Villa Pini” di Civitanova Marche, nei primi anni del nuovo millennio, subentra, come proprietario dell’immobile, Carlo De Benedetti che rileva anche Villa Pini e l’Istituto Santo Stefano di Porto Potenza. Tutta l’operazione si è conclusa solo pochi anni fa.

L’albergo conosce una prima ristrutturazione nel 1991 ma solo per quanto riguarda gli esterni, nel 2010 vengono rinnovati tutti gli spazi interni fino ad assumere l’attuale fisionomia. Ha camere ampie, con letto singolo o doppio, dotate di ogni comfort. Il personale è impagabile quanto a cortesia e disponibilità. L’albergo, classificato a tre stelle, consta di ventiquattro camere e di una sala riunione. Alla reception si danno il turno tre persone, un’altra è a disposizione per l’eventuale sostituzione, altre due lavorano ai piani. Ha l’ingresso che dà sulla strada adriatica ed è collegato all’interno con “il ristorantino” con il quale la gestione dell’albergo ha una convenzione. Gestore dell’albergo è Gianni Domizi, persona fine e dotata di un garbo impareggiabile, una vita trascorsa nella ristorazione e nel settore turistico alberghiero.

Inizia a lavorare a Tolentino presso “L’Hotel 77”, albergo che prende il nome dall’omonima strada statale, proprietario “Mari”. Il motel ristorante esiste tuttora, passato dalle mani del nonno, al figlio, ai nipoti. E’ un albergo ristorante che ha servito da sempre la ditta “Nazareno Gabrielli”, dai discendenti del mitico fondatore dell’impresa all’ultimo camionista. Gianni, da Tolentino, conteso dalle  ragazze del posto, appena sposato, nel 1975, a ventotto anni decide che è tempo di cambiare aria, anche per mettere a frutto le esperienze acquisite. Punta verso la marina ed arriva all’hotel Solarium di Civitanova Marche. Viene assunto come dipendente ma con la qualifica di dirigente, preposto dal titolare all’esercizio della struttura.

Anni fa ha festeggiato i suoi primi quarant’anni al servizio dell’hotel Solarium di cui è gestore dal 1994, dopo esserne stato il direttore. Dotato di un ottimismo di fondo, Gianni ha una sua filosofia di vita. Preferisce “schioppare” lavorando, nel nostro dialetto il termine vuol dire fare bancarotta, più che lavorare alla giornata senza correre i rischi del mestiere. Più volte, quando non riesce a soddisfare tutte le richieste, superiori all’offerta che può dare, come nel caso dell’apertura del nuovo centro commerciale “Il Cuore Adriatico”, sistema i clienti in altre strutture ricettive della città, pagandone il pernottamento, tanto sa che alla prossima occasione, gli stessi clienti ritorneranno da lui. “L’ottimismo è il profumo della vita”.

Era uno slogan che andava di moda alcuni anni fa, pronunciato in uno spot pubblicitario dal poeta Tonino Guerra al suo nipote Gianni. Nel nostro caso, le parti si sono invertite. Gianni Domizi è Tonino Guerra, i clienti sono i suoi interlocutori. Il cliente va trattato sempre con riguardo, secondo Gianni Domizi, per questo fa scegliere sempre a lui quale ristorante preferisce per consumare il pranzo e la cena. Vivendo poi nello stesso albergo, Gianni si sobbarca tutto il turno di notte, avendo sempre con il cliente rapporti di stima e di fiducia. L’albergo di via Carducci lavora per tutto l’anno anche per questo, con il valore aggiunto del prezzo che è sempre contenuto.

Case popolari di via Carducci, angolo via Cavallotti

Lungo la statale adriatica, sulla destra, andando verso Porto Sant’Elpidio, proprio all’angolo di via Cavallotti, ci si imbatte in un agglomerato di abitazioni che trasudano storia, limitatamente agli ultimi cinquantadue anni, tanto il tempo trascorso perché la cittadina adriatica da paesotto qual era si trasformasse nella cittadina di quarantaduemila abitanti dei giorni nostri. Siepi e pioppi fiancheggiavano la carreggiata. Un fossato che raccoglieva acqua piovana e non solo correva sul margine destro della strada bianca non ancora asfaltata, ma brecciata. Poche le automobili, rare le biciclette, ci si spostava a piedi. Parliamo dell’immediato secondo dopoguerra con le difficoltà economiche e materiali della ricostruzione. L’INA CASA e l’Istituto Autonomo Case Popolari costruivano, dopo quelle di via Napoleone, altre palazzine popolari per 32 famiglie, proprio in via Carducci. Correvano i primi anni cinquanta, proprio quando arrivavano a Civitanova i Salesiani.

 

Tutta la lunga striscia di terreno era ancora campagna profonda, coltivata a grano e cereali. La famiglia Foresi voltava e rivoltava le zolle da tempo immemorabile. Poco prima delle case popolari c’era l’abitazione dell’ing. Galeazzi, dirigente della vicina fabbrica “Cecchetti”. Lo stabile è oggi occupato dalla caserma della Polizia e su un altro capannone, attiguo ad essa, sempre di proprietà dell’ing. Galeazzi, c’è ora il colorificio “Cluana Color”. Sull’altro lato della strada si estendeva in tutta la sua lunghezza e larghezza, su circa dodici ettari di terreno, la fabbrica “Cecchetti”, l’officina meccanica e metal meccanica per antonomasia di Civitanova Marche. I rumori dei magli, delle presse e del carrello trasbordatore arrivavano attutiti all’interno delle abitazioni abitate dalle prime famiglie. Certo il paesaggio non era quello che si vede oggi affacciandosi dalle finestre delle case popolari. Lo sguardo spazia su un vuoto che si va riempiendo lentamente di nuove abitazioni disegnate da team di architetti di chiara fama mondiale. E’ il nuovo quartiere che andrà ad occupare tutta l’area dove un tempo c’erano i capannoni della fabbrica.

 

E’ il presente che sta avanzando giorno dopo giorno, così diverso dal passato fatto di sovraffollamento nelle abitazioni popolari di via Carducci. Le famiglie numerose erano sacrificate in ambienti troppo piccoli. Si stava stretti nelle case, ma “Quelli erano i giorni”. Non si avevano poi tante pretese, memori delle ristrettezze ancora più gravi vissute negli anni di guerra e nei giorni dei bombardamenti su Civitanova. Si lavorava e con quel poco che si riusciva a mettere da parte si rinnovava la mobilia o si cambiava del tutto l’arredamento del bagno, sostituendo lavabo e quant’altro, avendo di mira non il lusso, ma solamente il decoro.

 

Vera e Clara che hanno abitato da sempre nelle case di via Carducci ricordavano la grande alluvione del 5 – 6 settembre 1959. L’acqua aveva sommerso quasi per intero tutto il primo piano delle case. Furono giorni di paura e di ansia perché si temeva di perdere tutto quello che si era riusciti a realizzare con una vita di sacrifici e rinunce. L’alluvione toccò anche questo rione di Civitanova Marche al pari di altri angoli e quartieri. I violenti temporali si abbatterono anche a Porto Sant’Elpidio, creando allagamenti e distruzioni immani.

 

Tanti sono gli anni trascorsi dalla costruzione delle case popolari di via Carducci. Le palazzine hanno avuto bisogno di ristrutturazioni, recupero della facciata e dei balconi, anche perché i materiali utilizzati per la loro costruzione non erano stati certo di prima qualità. Oggi molti appartamenti sono stati riscattati da chi vi abita, pochi sono quelli ancora in affitto. Chi vi risiede da sempre può avere la percezione del tempo trascorso. Una volta si poteva dormire sonni tranquilli anche perché tutti si conoscevano. Le piccole strisce di terra ai lati del cortile venivano coltivate ad orto o a giardino ed erano luogo di incontro e di socializzazione. La porta delle abitazioni non veniva chiusa nemmeno di notte. Si accostava una sedia all’interno per non farla sbattere sotto l’azione del vento, quando si creava una corrente d’aria perché magari nelle notti d’estate, per il gran caldo si apriva anche la finestra. Chi entrava di notte, spingendo la porta faceva rumore perché spostava la sedia che era posta dietro ad essa, così chi si era appena assopito sentiva rincasare il proprio figlio o altri membri della famiglia.

 

Oggi si è barricati in casa e non si conosce a volte nemmeno l’inquilino che abita sullo stesso pianerottolo. Paura, diffidenza e notizie di cronaca nera date dal telegiornale convincono tutti a chiudere a tripla mandata la porta quando anche non mettere in atto altri sistemi di sicurezza. Sì, cinquantadue anni, tanto il tempo trascorso dalla loro costruzione, sono tanti, ma le palazzine di via Carducci non li dimostrano affatto soprattutto perché vi si può cogliere ancora quella cultura popolare che è un bene prezioso da salvaguardare.

 

Raimondo Giustozzi

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