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La diocesi di Fermo, i presuli di origine lombarda e la tenuta di San Claudio al Chienti

San Claudiodi Raimondo Giustozzi

La diocesi di Fermo è stata retta per lungo tempo, tranne dei brevi intermezzi, da presuli lombardi: mons. Carlo Castelli (1906- 1933), mons. Norberto Perini (1941- 1970), mons. Gennaro Franceschetti (1997- 2005). Mons. Ercole Attuoni (1933- 1941), toscano, ebbe il merito di far piantumare i grandi cipressi che costeggiano il viale che dalla carrareccia porta alla basilica romanica di San Claudio. Si ricordava forse dei cipressi di Bolgheri, di carducciana memoria e portò anche da noi un po’ della sua terra d’origine. Amava la tenuta di San Claudio che apparteneva alla diocesi di Fermo. Era solito recarvisi spesso per far visita ai suoi contadini.

 

Nel periodo del passaggio degli uccelli migratori si appostava con il suo fucile da caccia sotto la sua nocetta costruita con poche frasche, posta a ridosso delle colline che sovrastano la ferrovia per Civitanova – Macerata – Fabriano. Si racconta che un giorno passeggiasse su una strada fiancheggiata da alcuni alberi di mele, alcune delle quali erano cadute in terra. Chinatosi furtivamente, per non farsi accorgere dai contadini che erano intenti a zappare poco lontano, se ne mise una in bocca per mangiarla, dopo averla pulita con il lembo della propria tonaca. Nonostante le precauzioni prese fu notato da un contadino. Il vescovo non sapeva come scusarsi: “Sa, volevo provare se era buona”. Il contadino, di rimando: “Magnete, magnete Eccellenza, tanto nuà le mele casche le dacemo a li porci”. Mangiate, mangiate pure, Eccellenza, tanto noi, le mele che sono cadute in terra le diamo ai maiali. Ovviamente in quello che aveva detto il contadino non c’era nessun riferimento alla persona ma parole dette in libertà senza nessuna malizia come è nel costume nostrano.

 

Di mons. Carlo Castelli si ricorda il fitto carteggio con don Romolo Murri, il “cappellano dell’estrema”, secondo la sprezzante definizione data da Giovanni Giolitti all’indirizzo del prete che, uscito fuori dalla chiesa, candidatosi nelle liste elettorali del Collegio di Montegiorgio, venne eletto deputato al Parlamento Italiano. Al presule lombardo va riconosciuta la tolleranza nei confronti del prete ribelle che ritornò nell’alveo della stessa Chiesa pochi mesi prima della propria morte. Romolo Murri (Monte San Pietrangeli 1870 – Roma 1944)  ha avuto un posto di primo piano nella formazione dei primi Fasci Democratici Cristiani e dell’impegno sociale e politico dei cattolici che per il “Non expedit, impedire oportet” non potevano essere né eletti né elettori. Parlare della personalità, l’opera, il pensiero di Romolo Murri richiederebbe uno spazio notevole. E’ stato uno dei personaggi più studiati da storici di ogni estrazione ideologica: Arturo Carlo Iemolo (liberale), Pietro Scoppola (cattolico), Giorgio Candeloro (marxista) e da una miriade di altri studiosi, per citare i più famosi: Fausto Fonzi, Maurilio Guasco, Lorenzo Bedeschi, Gabriele De Rosa.

 

Grande merito di mons. Castelli fu il restauro della chiesa abbaziale di San Claudio nella quale era solito recarsi per un periodo di riposo. Si racconta che al termine dei lavori, davanti al nuovo ingresso del tempio, liberato dalle costruzioni precedenti che ne deturpavano la visuale e al ripristino delle pareti in muratura, avesse chiesto ai contadini della sua tenuta, un complesso di 360 ettari di terreno, cosa ne pensavano dell’opera eseguita. Nessuno osava parlare, tranne un “vergaro” che disse:” Sta tutto vène, però che te costava a ‘ffàje dà ‘na bbella sbiancata? La carge sta a bbommercatu”. Va tutto bene, però, cosa ti costava a darle una mano di bianco. La calce viene venduta a poco prezzo. Si dice che il vescovo, di origine contadina, fosse scoppiato in una bella risata perché il senso d’ordine e di pulizia, secondo quella gente di campagna, poteva essere conseguito attraverso una tinteggiatura di tutto il monumento.

 

Di mons. Norberto Perini, dall’aspetto gracile e apparentemente malaticcio, si racconta che una donna, impressionata per l’incerta salute del nuovo pastore venuto a far visita ai propri contadini, pochi giorni dopo il suo insediamento, avesse detto: “Mamma mia! Questu véscu, a vvedéllu è ttandu scriâtu, adè n’ scorpicciu, puritti nu’: dev’èsse che lu papa ce l’ha distinatu per fallu murì ècco!”.  Questo vescovo, a vederlo, è tanto sparuto, è una buccia d’acino d’uva, poveretti noi: deve essere che il papa ce l’ha destinato per farlo morire qui. Il vescovo udì tutto, tanto che ricordò l’episodio trent’anni dopo, ad 83 anni, nel corso di una riunione dei dipendenti della tenuta di San Claudio, indetta per salutarli prima delle sue dimissioni per raggiunti limiti di età ed arguto com’era, con un sorrisetto divertito, sulle labbra esili, cominciò il suo discorso: “trent’anni fa ero venuto a morire qui tra voi, così pare che volesse il papa, ma il Signore Iddio non la pensò allo stesso modo” (Claudio Principi, Dicerie popolari marchigiane tra Ottocento e novecento, vol. II, editore Sico, 1996, Macerata).

 

Mons. Norberto Perini era dotato di molta arguzia e dalla battuta pronta. Si racconta che ad un incontro al quale parteciparono, negli anni sessanta del secolo scorso, alcuni  parroci della propria diocesi fermana, alla domanda su come fossero i lombardi, il vescovo avesse risposto che erano delle brave persone: laboriose, oneste, generose. Persone ottime: peccato però che non conoscessero la geografia. Un parroco, suo interlocutore del momento, gli chiese il motivo per fare questo appunto. Il presule, sorridendo, rispose: “Sono stato ultimamente a Milano, e durante un ricevimento nel palazzo municipale, un pezzo grosso, non appena seppe che ero arcivescovo a Fermo, data la presunta vicinanza, mi pregò di salutargli tanto un suo amico che era  il prefetto di Napoli” (Claudio Principi, Dicerie popolari marchigiane tra Ottocento e Novecento, vol. III, pag. 200, Edizioni Simple, Tipografia San Giuseppe s.r.l. Pollenza (MC), dicembre 2010).

 

I primi due volumi “Dicerie popolari marchigiane tra Ottocento e Novecento”, di Claudio Principi furono pubblicati rispettivamente, il primo nel 1995, il secondo nel 1996 dall’Editore Sico di Macerata. Gli altri tre volumi sono stati pubblicati dalle Edizioni Simple. I cinque volumi raccolgono 1828 testi scritti sotto forma di aneddoti, fatterelli e racconti. L’ultimo volume contiene anche una brillante postfazione della prof.ssa Maura Francavilla, docente di lettere presso i licei della provincia di Macerata. Claudio Principi è stato un fecondo scrittore di Corridonia, che ha dato alle stampe anche un altro delizioso volume: “Contadinerie marchigiane”. Sono dei sonetti scritti nel dialetto della sua terra d’origine: Montolmo. Mons. Perini sarà sempre ricordato come il vescovo che chiamò i salesiani a guidare la parrocchia di San Marone di Civitanova Marche, lui che aveva studiato da giovane nel collegio salesiano di Milano. I primi padri salesiani della parrocchia San Marone sono arrivati il primo settembre del 1951 e da allora ad oggi hanno sempre retto la parrocchia dedicata al primo martire piceno.

 

Mons. Noberto Perini è stato anche docente nei collegi arcivescovili di Tradate in provincia di Varese. Molti industriali brianzoli, conosciuti nel lungo soggiorno in quel di Giussano (Mb) erano stati suoi allievi. Ambrogio Viganò, industriale del tessile, che possedeva in paese una fabbrica ereditata dal padre, aveva studiato in uno di questi colleghi. Nel corso di frequenti visite che facevo nella sua casa, essendo amico di Carlo, suo figlio, mi ricordava sempre Norberto Perini. La locale biblioteca civica, intitolata a don Rinaldo Beretta, storico per antonomasia della Brianza, possedeva molti scritti di mons. Norberto Perini e ricordini della sua elezione a vescovo di Fermo.

 

Del breve periodo durante il quale la diocesi è stata retta da mons. Gennaro Franceschetti non è possibile dire molto tranne alcune curiosità come quella relativa ai nomi di molti paesi del fermano: Monte Vidon Combatte, Monte Vidon Corrado. Pensava fossero i cognomi delle persone. Prima di essere nominato vescovo della diocesi fermana era parroco di Manerbio in provincia di Brescia. Era grande amico di Giuseppe Soffiantini, l’industriale bresciano fatto oggetto di un sequestro di persona. Mons. Franceschetti non conosceva affatto il nostro territorio, ma l’ha amato come pochi altri, desiderando di essere seppellito nella cripta della cattedrale fermana, meta di continue visite.

Raimondo Giustozzi

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