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Libri. Sei nuove recensioni di Valerio Calzolaio

Biondillo Fonte internet

Biondillo Fonte internet

I cani del barrio
Gianni Biondillo
Noir
Guanda Milano
2022
Pag. 399 euro 18
Valerio Calzolaio

Milano. Gennaio-febbraio 2020. Mentre sta segretamente iniziando a circolare in Lombardia un inedito virus, un tale denuncia prima ai carabinieri e poi ai poliziotti milanesi di aver subito un inspiegabile tentativo di omicidio. Era a caccia con i suoi due bracchi italiani, lo hanno bendato e gli hanno legato i polsi, buttato in un furgoncino, sballottato per ore con botte insulti minacce, fatto rotolare fuori e preso a calci e sputi, appoggiato al tronco di un albero del bosco con la canna di una semiautomatica alla guancia, finché casualmente un collega cacciatore non li ha visti e ha sparato loro contro qualche colpo a distanza. Si è trovato gettato in una scarpata e soccorso dolorante senza documenti. Si tratta del 46enne Fabrizio Ridolfi, laurea alla Bocconi, specializzazione a Londra, borsa di studio a Stanford, ricco potente imprenditore etico ostile al malaffare e in procinto di ricevere importanti incarichi istituzionali (quasi ministro, si dice). Nello stesso giorno l’ottimo malmostoso sarcastico disincantato ispettore Michele Chiodo Ferraro salva Marisol Ochoa, naturalizzata italiana. Dopo aver prenotato un tavolo a cena con l’amico Mimmo ‘O Animalo all’all you can eat sotto casa in via Padova e aver successivamente camminato per ore nel quartiere, avevano sentito urla femminili da dentro un’auto e bloccato il pericoloso rissoso sudamericano Ramón Hernadez che stava picchiando la donna 29enne, la quale ringrazia e il giorno dopo lo richiama e lo va a trovare al commissariato di via Satta a Quarto Oggiaro, chiedendo a lui e al collega Comaschi di ritrovare Carlo Pedro, il figlio 14enne scomparso, forse per problemi di droga, è disperata. Le indagini corrono parallele, con vari intoppi e intrecci, ci vorrà soprattutto Giulia, la pratica digitale social figlia universitaria di Ferraro, per sbrogliare quasi tutte le matasse, non senza correre pericoli.
L’architetto scrittore Gianni Biondillo (Milano, 1966) prosegue la bella felice serie Ferraro, iniziata quasi venti anni fa (2004) e giunta al nono bel romanzo (tralasciamo il giro per l’Italia della ex moglie dell’ispettore, Francesca con le amiche negli anni Ottanta, per sempre giovani), con un pubblico sempre ampio di affezionati lettori (e il Premio Scerbanenco 2011 assegnato al quarto), in mezzo a tante altre versatili scritture e narrazioni, anche no fiction e per quotidiani, cinema, televisione o teatro. Il testo è in terza varia al passato, imperniato sull’ispettore e i suoi legami, questa volta molto su Giulia e il complice nuovo bel rapporto fra il retrogrado attento padre e l’aggiornata sensibile figlia. Il titolo prende spunto dall’altra dinamica genitoriale madre-figlio di origini ecuadoregne, ovvero dai quartieri dove è difficile rendersi indipendenti (da vincoli e droghe), pieni di “bestie feroci, perros locos, cani del barrio. Pura razza bastarda”. La storia urbanistica e architettonica di Milano viene fuori a ogni angolo con curiosa competenza, molte sono le aree complesse e problematiche (da non definire “periferiche” nelle metropoli moderne) di cui scopriamo vicende edilizie e dinamiche sociali, protagoniste di eventi centrali e cruciali, due in particolare. Intorno al bosco di Rogoredo si spaccia ma c’è anche Don Marco che distribuisce cibo e calore (Ridolfi dà una mano), Nella grattacielosa CityLife si pippa e in alto pare quasi accada nella fiction (con Ridolfi dentro) quel che accadeva davvero alla “Terrazza sentimento” di Alberto Genovese (emerso alla cronaca nera nell’autunno 2020 e recentemente condannato a otto anni per due episodi di violenza sessuale). In entrambi i posti vanno aggiornati la geografia e il mercato di droghe, sesso e potere. I vezzi linguistici (“non ostante la mole”, “posa non differente”) richiamano l’attenzione su una prosa volutamente lenta, sempre ricca e curata, piacciano o meno. Forma e sostanza restano come sempre ottimi. Ferraro odia i libri gialli e impara la rilevanza di pagantelle e zarretti. Ridolfi li porta in una buona trattoria per camionisti, con un bottiglione di bonarda, vino fresco e leggero. C’è una cagnolona festosa in alto in copertina (insieme allo spacciatore tatuato, in primo piano), avrà nome Billie come l’adorabile cantante Holiday.

v.c.

Recensione Il malinteso della vittima

Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva
Tamar Pitch
Istituzioni
Edizioni GruppoAbele Torino
2022
Pag. 111 euro 14
Valerio Calzolaio
Istituzioni della giustizia. Ovunque. Legalità e onestà sono state e ancora sono le parole d’ordine di molte forze politiche negli ultimi decenni. Insieme hanno contribuito a costruire un senso comune, diciamo così giustizialista, o meglio forcaiolo, secondo cui deve marcire in galera chiunque sia sospettato di violare qualche legge, magari a fin di bene, per esempio quando la legge violata viene ritenuta ingiusta. La giustizia penale è selettiva per definizione (dipende dal tipo di azioni e comportamenti definiti reati e dal percorso istituzionale attraverso cui solo alcuni dei relativi colpevoli vengono condannati e detenuti), eppure viene invocata come la soluzione di tutti i problemi, oltre a concretizzarsi praticamente come classista e razzista. La “deriva punitivista” risulta abbastanza recente e non solo italiana. Nel primo dopoguerra della ricostruzione, per sicurezza si intendeva soprattutto la “sicurezza sociale”, ossia la titolarità e l’effettivo godimento di garanzie rispetto alla salute, all’istruzione, alla vecchiaia, al lavoro e alla casa, assicurate in via di principio (generale e pubblico) attraverso l’erogazione di risorse e servizi verso tutti, pagate da tutti con le tasse e le imposte. Nel successivo lungo perdurante periodo della crisi economico e finanziaria vi è stato un progressivo slittamento di attenzione dai “criminali” alle loro “vittime”, la sicurezza come diritto individuale e privato, contro le nuove ansie e incertezze del precario atomizzato vivere urbano. Ecco i progetti di urban safety nel Regno Unito, in Francia, negli Stati Uniti, in Italia e in tutta l’Unione, differenti fra loro ma accomunati dalla paura della criminalità metropolitana e dall’idea pervasiva di una sicurezza privata come fine (non mezzo) di vita umana associata, un tessuto di atomi da ripulire sterilizzare sorvegliare, mettendo in ombra la questione del legame sociale fra diversi, in parte tali anche per tante diffuse ingiustizie e crescenti diseguaglianze (compresi molti poveri e immigrati).
L’illustre giurista, filosofa e sociologa Tamar Pitch (Siena, 1947) da quasi un cinquantennio si occupa di criminalità nelle università di tutto il mondo, con occhio sempre attento ai diritti fondamentali e alle discriminanti di genere. Riassume e aggiorna qui (con ricche citazioni, note e spunti blbliografici) i “malintesi” attorno ai termini legalità e giustizia, per cui ci si divide solo fra colpevoli e vittime (da cui il titolo). Probabilmente la definizione di legalità (almeno da Hobbes in poi) è chiara e assodata ma oggi rischia di essere fuorviata da due fenomeni: la feticizzazione dei suoi aspetti penali da una parte, l’iperproduzione di regole diverse dalle norme generali e astratte, invece amministrative, quantitative e tecniche, dall’altra, con la conseguenza che ciascuno e ciascuna siamo percepiti come individui assoluti e isolati. Anche la giustizia non dovrebbe divenire sinonimo di giustizia solo penale concependo la pena come retribuzione (“hai fatto del male, devi essere punito”). Altre forme di giustizia vengono prodotte e praticate da tanti e tante che, incuranti della repressione, si prodigano per salvare i migranti in mare e sui nostri confini, si oppongono a opere che distruggono l’ambiente, manifestano per la sicurezza del lavoro. L’agile lucido testo è strutturato in sei parti: lo scenario (gli ultimi trent’anni in Occidente); siamo tutti vittime (e quindi dobbiamo fare comunità solo per prevenire attentati alla nostra identità o, comunque, reprimere i rei, potenziali e reali)?; la criminalizzazione della marginalità sociale (fenomeno antico); l’uso politico del potenziale simbolico del penale; la criminalizzazione del dissenso sociale e politico (fenomeno almeno altrettanto antico, praticato anche con l’esilio); legalità e giustizia (appunto complessive). Lungo tutto lo scritto ricorrono opportunamente nessi e spunti relativi al movimento femminista, un centrato (indispensabile) punto di vista (da cui il sottotiolo).

v.c.

Recensione Atleti

Atleti
Franco Arminio
Poesia
HarperCollins Milano
2022
Pag. 83 euro 14
Valerio Calzolaio

Aree interne. Primi anni Novanta. Il grande cantore Franco Arminio (Bisaccia, 1960) scrisse queste poesie una trentina d’anni fa, furono pubblicate su varie riviste e in un volumetto di poche copie, edite ora in una versione riveduta e corretta, insieme ad altre più recenti sempre di tema sportivo, da cui pure il titolo complessivo: “Atleti”. In esergo la passione sportiva in versi: “Le Olimpiadi/ per me erano un lavoro./ Vedevo tutto, dai tuffi/ all’equitazione, amavo i pugili cubani/ le ginnaste rumene/ le nuotatrici della Germania Est./ Vedere certe gare per me era/ anche un modi di viaggiare:/ la maratona dei keniani mi portava sugli altipiani,/ il salto con l’asta/ era meglio che andare al circo./ Amavo i campioni e pensavo/ alle loro terre, sentivo la forza/ dei muscoli e dei luoghi.” Tempo dopo: “Volevo fare il giornalista sportivo,/ viaggiare, raccontare grandi imprese/ e ripartire./ Questi sono i miseri resti,/ le prove/ di come una vocazione/ può fallire.” Mirabile.

v.c.

Recensione Il lamento del Tigri

Il lamento del Tigri
Emilienne Malfatto
Traduzione di Vincenzo Barca
Romanzo
Sellerio Palermo
2022 (orig. Que sur toi se lamente le Tigre, 2020)
Pag. 89 euro 12
Valerio Calzolaio

Iraq. Poco tempo fa. Nella casa sul fiume Tigri nel sud del paese, la ragazzina in una camera verde aspetta di essere uccisa. Si erano trasferiti lì dopo la scomparsa del padre, tutti segnati dalla guerra e dagli attentati. Lei ha avuto un unico voluto rapporto (di paura e dolore) con Mohammed, l’amico del fratello maggiore: “mi ha posseduto come un soldato ubriaco parte all’assalto, cieco, maldestro, ostinato”. Il ragazzo muore combattendo, lei s’accorge di essere incinta, una colpa grave prima del matrimonio, punibile solo con la morte, si sa. A descriverlo attoniti (tutti in prima persona) sono anche la madre, fratelli e sorelle e, soprattutto, il fiume stesso (in corsivo): “Sono il testimone silenzioso dei giuramenti e dei drammi inscenati sulle mie rive. Anche questa storia finirà male.” Questo è “Il lamento del Tigri”, breve drammatico toccante romanzo d’esordio della giornalista e fotoreporter francese Emilienne Malfatto (1989), Premio Goncourt per l’opera prima nel 2021.

v.c.

Recensione Shooting in Sarajevo

Shooting in Sarajevo
Luigi Ottani
A cura di Roberta Biagiarelli
Racconto fotografico
Bottega Errante Edizioni Udine
2020
Pag. 127 euro 20
Valerio Calzolaio

Sarajevo. aprile 1992 – febbraio 1996. L’assedio di Sarajevo è fu tra i più lunghi e terribili della storia, circa 12.000 vittime, oltre 50.000 feriti. A causa pure di migrazioni forzate, alla fine la popolazione si ridusse a 334 664 unità (il 64% della precedente). Durante i quattro anni fu interrotto solamente per una giornata a fine 1992 (trent’anni fa) da un gruppo di 500 pacifisti partiti con don Tonino Bello, coordinati dall’associazione Beati costruttori di pace. Tre d’anni fa il fotografo e la drammaturga (che molto aveva già frequentato la città) Luigi Ottani e Roberta Biagiarelli sono tornati là per raccontare i cecchini di quell’assedio: foto dall’alto, un anno fa la mostra itinerante, presto la rappresentazione teatrale. Sparare e fotografare si dicono allo stesso modo: “Shooting in Sarajevo” è lo splendido risultato, uno di quei grandi libri che uniscono arte, storia, informazione e cultura. Testi ottimi anche di Divjak, Azra Nuhefendić, Riva, Boccia, Saletti.

v.c.

Recensione Stranieri su un molo

Stranieri su un molo. Ritratto di famiglia
Tash Aw
Traduzione di Martina Renata Prosperi
Storia di migrazione
Add Torino
2022 (orig. Stranger on a Pier, 2015 e 2021)
Pag.119 euro 16
Valerio Calzolaio

Bangkok, Pokhara (Nepal), Shanghai, Hong Kong, luoghi in cui al malese Tash Aw
(Taipei, 1971) si rivolsero come se fosse del posto: thailandese, gurung, mandarino, cantonese, forse a causa della carnagione neutra e cangiante, un poco anche per il desiderio comune che tutti ci somiglino, che lo straniero sia uno di noi, qualcuno che possiamo capire, certo pure per millenni di migrazioni meticce altrui e decenni di movimenti suoi. Nato a Taiwan, cresciuto a Kuala Lampur, universitario e ora residente a Londra, il bravissimo scrittore racconta in “Stranieri su un molo” la complicata storia della sua famiglia, dai nonni maschi (un bottegaio e un maestro) fuggiti dalla Cina (da cui il titolo) e stabilitisi sull’estrema costa nordorientale della Malesia, alle nonne, ai genitori (i cui dialetti hainanese e hokkien non ha mai ben appreso), ai cugini: una vita di emigrazioni e immigrazioni, amori e separazioni, esclusioni e inclusioni, evoluzioni culturali e adattamenti generazionali.

v.c.

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