(1960), Carlo Cassola
La ragazza di Bube è un romanzo scritto da Carlo Cassola tra il 1958 e il 1959 in cui sono illustrati, attraverso la storia di due ragazzi innamorati, anche i problemi politici e sociali del dopoguerra. Il romanzo vince il Premio Strega nel 1960, anno in cui è pubblicato da Einaudi. Tre anni più tardi viene realizzato anche un adattamento cinematografico per la regia di Luigi Comencini e ha come interpreti Claudia Cardinale e George Chakiris.
Trama del romanzo
La vicenda è ambientata in Toscana, in Val d’Elsa, poco dopo la Liberazione ed ha come protagonisti due giovani, Mara e Bube. Mara Castellucci è una ragazza di sedici anni, vive a Monteguidi insieme al padre, comunista militante, alla madre e a un fratello, Vinicio. Qui conosce Arturo Cappellini, detto Bube. Il giovane, diciannove anni, amico e compagno di Sante, il fratellastro di Mara morto durante la resistenza, si reca nel paese dell’amico per conoscere la famiglia e qui avviene l’incontro con Mara. Tra i due giovani nasce subito una simpatia e Mara, lusingata dall’interesse del ragazzo, inizia a scambiarsi lettere con lui.
Un giorno, Bube comunica a Mara di voler cercare riparo presso la propria famiglia a Volterra perché accusato di un delitto. Era accaduto che, mentre si trovava a San Donato con i compagni Ivan e Umberto, un prete, di nome Ciolfi aveva impedito loro di entrare in chiesa perché portavano i calzoni corti. Secondo i ragazzi, la ragione per cui erano stati cacciati era il fatto di essere comunisti. I giovani avevano allora iniziato a protestare e un maresciallo dei carabinieri, era intervenuto insieme al figlio a sostegno del prete. Bube e gli amici avevano inutilmente cercato di far valere le loro ragioni e, spinti dall’ira, avevano messo il prete contro il muro. Così, il maresciallo aveva reagito sparando a Umberto, uccidendolo. Per vendicare l’amico, Ivan, l’altro compagno di Bube, aveva ucciso il maresciallo. A sua volta, Bube aveva rincorso e ucciso il figlio del maresciallo che stava scappando e che si era messo a gridare.
Mara e Bube intraprendono così il viaggio verso Volterra, dove abita la famiglia del ragazzo. Successivamente si trovano in viaggio in corriera dove sale anche una donna che riconosce Bube e lo sprona a dare una lezione ad uno dei viaggiatori: si tratta del prete Ciolfi, il quale durante la guerra aveva collaborato con i nazisti, causando così la morte del nipote della donna, Silvano, figlio di sua sorella. Suo malgrado, dopo essere sceso, Bube è praticamente costretto dai presenti a picchiare il prete per salvare la faccia: il suo ruolo nella zona è infatti quello del Vendicatore, appellativo con il quale viene talvolta ancora chiamato dagli abitanti del posto.
Arrivato a casa dai familiari, Bube viene avvertito dal compagno Lidori che rischia di essere arrestato per il delitto commesso e che stare nascosti presso la famiglia non è sicuro. Lidori accompagna Bube e Mara in un capanno in campagna, dove i due innamorati passano le due notti successive. Il giorno seguente, una macchina passa a prendere Bube per farlo rifugiare in Francia, mentre Mara ritorna a casa. Nel frattempo, qualcosa in lei è cambiato: non è più la ragazza spensierata di prima e si dimostra angosciata per la mancanza di notizie da parte di Bube e indifferente a tutto quello che la circonda.
Trascorsa l’estate, Mara decide di andare a lavorare come domestica in una famiglia a Poggibonsi. Qui la ragazza stringe amicizia con una compaesana, Ines, con cui esce spesso e che le presenta Stefano, un ragazzo serio e un po’ timido. Mara resta inizialmente fredda, ma lentamente comincia ad apprezzare la sua compagnia, in particolare perché da mesi non ha più notizie di Bube. La ragazza scivola così gradualmente in un dilemma: da un lato sente di aver dato la sua parola a Bube, ma dall’altro è incerta sul quando lui potrà tornare al paese.
Dopo un anno, Bube costretto al rimpatrio, viene arrestato alla frontiera ed è condotto a Firenze. Mara, accompagnata dal padre, si reca a Firenze per un colloquio con Bube. Durante l’incontro la ragazza si accorge che il suo attaccamento a Bube è ancora molto forte e decide che, da quel momento, sarà sempre la sua donna. Bube è condannato a quattordici anni di carcere e Mara, tornata a Poggibonsi, s’incontra con Stefano. La ragazza gli racconta quanto accaduto e gli comunica, dopo un lungo tira e molla, di aver preso una decisione: il suo posto è accanto al fidanzato.
Dopo la condanna Mara va spesso a trovare Bube in carcere. Il romanzo termina con un capitolo in cui Mara, sette anni più tardi, è descritta nella serena attesa della liberazione di Bube per la quale dovrà attendere altri sette anni.
Inquadramento storico del romanzo
Come si può osservare nei romanzi dell’epoca, questo romanzo riprende trame e tematiche tipiche del Neorealismo. Se quest’ultimo si concentrava (almeno in teoria) sulla dimensione storica e sociale della vicenda, queste perdono nel romanzo di Cassola parte della loro importanza.
È vero da una parte che vengono citati nel romanzo eventi importanti come la scissione del partito socialista e la nascita del partito comunista al congresso di Livorno (1921), il referendum istituzionale del 1946 (2 giugno 1946) e le elezioni politiche italiane del1948. Questi avvenimenti sono inquadrati dal punto di vista di comunisti convinti come il padre di Mara o Bube. Pare inoltre che il romanzo sia imperniato su una vicenda realmente accaduta e che Cassola abbia intervistato i diretti interessati, cambiando in parte la storia. Nada Giorgi, amica di Carlo Cassola è nella realtà la Ragazza di Bube o meglio di Renato Ciandri, partigiano comunista, colpevole di aver ucciso nel 1945 un maresciallo dei carabinieri e suo figlio in località Santa Brigida, nei pressi di Pontassieve. Il duplice omicidio era maturato nei giorni torbidi della fine del secondo conflitto mondiale. Nada Giorgi, morta il 24 maggio del 2012, all’età di ottantacinque anni, nell’ospedale fiorentino di Ponte a Niccheri, sposa Renato Ciandri, dopo aver atteso che fosse uscito dal carcere di Alessandria, scontati i quattordici anni di condanna. Anche Renato Ciandri era stato fatto espatriare in Francia dal Partito Comunista. Dal matrimonio di Nada Giorgi con Renato Ciandri è nato Moreno. Nada Giorgi non si è riconosciuta mai con la figura di Mara del romanzo e ha sempre sostenuto l’innocenza del marito. “Le dava fastidio non soltanto che Bube nel romanzo fosse colpevole dell’omicidio, ma anche che si lasciasse immaginare al lettore che lei avesse avuto una storia con un altro uomo, Stefano. Conobbe il marito che aveva 16 anni e da allora visse per lui ogni istante della sua vita” conclude Massimo Biagioni, scrittore toscano che ha raccontato nel libro “Nada, la ragazza di Bube” (Edizioni Polistampa, tutta la storia di Nada Giorgi).
La componente storico-politica serve da sfondo ad una vicenda di carattere prevalentemente individuale e psicologico, dunque si riconoscono chiaramente delle tematiche meno peculiari del Neorealismo: durante tutto lo svolgimento del romanzo la prospettiva dominante è quella di una giovane donna colta nei suoi dubbi e nel suo sviluppo personale. Lavori come questo o Il giardino dei Finzi Contini testimoniano quindi una sorta di superamento del Neorealismo.
Lettura dell’opera
L’uscita del romanzo (1960) provocò aspre critiche da parte degli intellettuali marxisti, i quali interpretarono La ragazza di Bube come la descrizione del fallimento degli sforzi intrapresi da parte della Resistenza, in particolare della sua componente comunista. Italo Calvino invece, all’uscita del romanzo, trovava nel libro di Cassola “Una tensione poetica ed esistenziale, e quindi morale, e quindi storica…in tempi in cui la storia non ha altro metro morale che se stessa, la morale è momento individuale, di scelta interiore”. La prima lettura del romanzo è oramai superata. L’opinione corrente è che non abbia fini politici, né abbia primariamente lo scopo di documentare fatti storici. Ciononostante, è inevitabile che tra le righe si scorga la delusione personale vissuta in prima persona da Cassola nei confronti del comunismo.
E’ la dimensione individuale e psicologica del romanzo ad occupare il primo piano. Lo sviluppo individuale di Mara è il nucleo del romanzo, rappresentato su una scenografia dell’immediato dopoguerra. Se, da tipica sedicenne, nei primi capitoli Mara si concentrava soprattutto sui vestiti e sul suo prestigio sociale, la Mara degli ultimi capitoli è diventata una persona matura che decide in base alle sue responsabilità personali. “ E’ cattiva la gente che non ha provato dolore. Perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno”. È proprio il cammino del dolore e della conoscenza ad aprire gli orizzonti della protagonista e a favorire lo sviluppo della sua personalità.
Personaggi del romanzo
Mara
E’ la protagonista del romanzo. All’inizio della storia ha sedici anni e vive in un piccolo paese di campagna in Toscana, a Monteguidi. E’ una giovinetta piuttosto superficiale, ha un rapporto assillante con lo specchio per “spiare ansiosa” lo sviluppo del suo corpo. Si ritiene “carina”, nonostante abbia “i capelli ritti sulla testa a mazzetti”. “Era sicura di sé, delle proprie risorse: aveva un’illimitata fiducia nella sua bellezza e nella sua furberia”. Quando conosce Bube, inizia per lei un cambiamento e, durante le vicende della vita che inizia ad affrontare, avviene la sua maturazione. Mara dimostra di aver raggiunto la sua maturità quando compie la scelta della sua vita: rinuncia all’amore di Stefano che le assicura un futuro senza problemi e ritorna da Bube, fedele alla promessa fattagli e perdonandogli gli errori commessi. Ora è diventata una donna capace di abbandonare il mondo dei sogni e di affrontare coraggiosamente la vita.
Bube (Arturo Cappellini)
E’ un ragazzo di diciannove anni, dal fisico “magrolino, bruno, con i capelli lisci ed i baffetti”. Alla presenza di Mara è impacciato sia nel gestire sia nel parlare, ma è istintivo e ardito quando si tratta di combattere contro i fascisti. Cresciuto in un’umile famiglia, orfano di padre, si lascia conquistare dall’ideologia che combatte il fascismo e diventa partigiano. Ha la mamma e una sorella, Elvira che rappresentano ben poco nella sua vita. Vivono a Volterra in una casa rabberciata e senza servizi. Fa delle scelte perché guidato dall’impulso. Nella lotta è battagliero e risoluto e questo gli vale la qualifica di “Vendicatore”. La fedeltà a tali ideali lo porta ad essere aggressivo anche a guerra finita e viene coinvolto in due gravi episodi. Bube viene abbandonato al suo destino e si sente tradito dal suo partito che non lo difende. Viene aiutato ad espatriare in Francia, ma raggiunto dai carabinieri nel paese transalpino, viene arrestato appena varca la frontiera. È condannato a quattordici anni di carcere per aver ucciso il maresciallo dei carabinieri e suo figlio, durante la sua breve permanenza a San Donato. Nella “sconfitta” è confortato dall’amore fedele di Mara.
Padre di Mara. E’ un piccolo e indaffarato funzionario del Partito, ma anche incallito ubriacone, impoverito da una serie di tic mentali, fiero com’è di aver saputo educare bene i propri figli, da comunisti, certo come si proclama della vittoria della rivoluzione rossa, pronto a giurare che non potrà mai mancare il riscatto finale dei contadini e degli operai. In casa si comporta da maschilista. Si fa servire dalla moglie e dalla figlia Mara. Maturerà alla fine del romanzo quando capirà anche lui l’inganno dell’ideologia alla quale ha sacrificato affetti e famiglia.
La mamma di Mara. E’ l’unica che lavora in famiglia. Va a spigolare e a raccogliere le olive, quando è il tempo. Fa servizi alle famiglie vicine. E’ la mamma di Sante, avuto con un altro uomo. Non perdona mai al nuovo marito la morte di suo figlio, spinto da lui ad abbracciare la causa partigiana. Si è sposata con l’uomo con il quale vive ora, dal quale ha avuto un figlio: Vinicio. E’ ferocemente contraria al fidanzamento di Mara con Bube, ma se questo va bene a suo padre di cui Mara è figlia, lei non dirà niente: “Quella è figlia tua, può fidanzarsi anche col diavolo. Ma qui in casa non ce lo deve portare. Hai capito? – gridò alla figlia. Portalo nei campi, portalo nei fossi, portalo dove ti pare! Ma qui in casa no, non ce lo voglio. Non voglio più vederlo, quella brutta faccia di delinquente” (pag. 48). Ha con il marito scontri continui, ma questo, di tanto in tanto si ravvede, soprattutto quando il discorso va a finire su Sante. I due sono capaci di piangere insieme. Con Mara ha rapporti burrascosi ma quando si accorge che la ragazza ha ormai fatto la propria scelta, diventa seppure timidamente la sua confidente e sa darle dei buoni consigli.
Stefano
E’ l’antagonista del romanzo. E’ un giovane originario di Castelfiorentino, vive a Poggibonsi, dove lavora come operaio in una vetreria. La sua sensibilità, il suo spirito poetico conquistano Mara che si innamora di lui, colmando così un breve periodo di solitudine. Stefano va al concreto e parla di matrimonio e di figli e sbaglia perché questo argomento fa comprendere a Mara che il suo destino è con Bube. Lo “spirito borghese” di lui emerge quando Mara, dopo pochi mesi che lo ha lasciato e dopo giuramenti di eterno amore, lo ritrova sposato con un’altra.
Altri personaggi secondari – che gravitano attorno a Mara.
Mauro. E’ un coetaneo di Mara. Appare all’inizio del romanzo, assieme a Mara. Come tutti i ragazzi della sua età, ha un’attrazione fisica verso le ragazze e trova in Mara la persona con la quale giocare, scherzare, tenta di toccarla, ma questa lo respinge, facendogli sberleffi e di tenere sempre le mani a posto.
Annita. E’ una coetanea di Mara e di Mauro. Da Mara viene definita una “svergognata” perché andava con tutti i ragazzi, mentre lei solo con Mauro. Erano cresciuti insieme in quella specie di cortile, lei, Annita e Mauro; c’erano anche gli altri ragazzi, ma loro tre erano inseparabili. E’ una ragazza che ama cantare spesso una canzone che andava di moda nei primi mesi della primavera del ’45: “Solo me ne vo’ per la città/ passo tra la folla che non sa/ e non vede il mio dolore/ cercando te/ sognando te/ che più non ho”. La canzone, scriveva Gianfranco Venè, durava quanto un giro fatto sulle catene, chiamate calcinculo, armate di sediolini. L’abilità dei partecipanti era di afferrare un pezzo di stoffa legato ad una fune issata in alto su un sostegno posto trasversalmente. Chi riusciva ad afferrarlo aveva un giro gratis. Si vinceva di solito in due, perché chi riusciva nell’intento, era spinto con i piedi da chi era seduto sul sellino che gli era subito dietro. Chi era seduto dietro doveva calcolare bene la spinta che avrebbe dato al suo compagno e l’altezza raggiunta dalla giostra. Nei malandati parchi di divertimento dell’immediato dopoguerra ci si divertiva anche così (Gianfranco Vené, Vola Colomba, Mondadori). Inutile dire che la canzone faceva venire un nodo alla gola a Mara perché ripensava al suo Bube, lontano da lei, costretto a nascondersi per non essere arrestato. Mara frequenterà spesso in compagnia di Ines, Mario e Stefano il Luna Park, quando è a servizio presso la famiglia di Poggibonsi.
Liliana. E’ la cugina di Mara. Le due mamme sono sorelle. “Era stupida, sempre attaccata alle sottane della mamma”. E’ la prima a sapere della visita di Bube in casa dei genitori di Mara. E’ curiosa, vuole sapere tutto di Bube, la sua curiosità sconfina sempre nel pettegolezzo. Si vanta di avere il padre capomastro, mentre, quello tuo, dice a Mara, non fa niente; lavora al partito, risponde Mara. Mara va sempre a casa di Liliana che “aveva uno specchio grande, dove ci si poteva vedere per intero; stava lì delle mezz’ore a spiare ansiosa se il petto le s’era fatto più pieno, se le erano venuti un po’ più di fianchi” (pag. 40).
Carlino. Abita a Volterra. Capita spesso a Monteguidi. “Era un bell’uomo, alto, robusto, coi capelli castani ondulati, i baffi arricciati, e gli occhi chiari. Estate e inverno, indossava un vestito di fustagno, e in testa portava un cappello verde peloso, con una piuma di fagiano infilata nel nastro”. E’ il primo a sapere tutto di tutti. E’ ficcanaso e pettegolo anche per il lavoro che fa. Consegna a domicilio la merce ordinata dalla gente di Monteguidi, disimpegna anche il lavoro di postino, consegnando a Mara le lettere che Bube le scrive. Ha rapporti non chiari con i fascisti o comunque con quanti si erano compromessi con il passato regime. E’ amico del prete Ciolfi. Durante i mesi della lotta partigiana era riuscito ad avere un foglio nel quale si attestava che faceva parte del Comitato di Liberazione. E’ in sostanza un intrallazzatore. Sta con i vincitori ma non rinnega nulla del suo passato di fiancheggiatore fascista.
Ines. E’ la ragazza di Monteguidi che Mara ritrova a Poggibonsi quando va a fare la donna di servizio presso la famiglia composta da cinque persone, per portare a casa qualcosa. Anche Ines è a servizio presso un’altra famiglia del posto: “Ines aveva cinque anni di più ed era grossolana, nell’aspetto e nei modi; ma essendo da molto tempo a servizio, aveva acquistato un’ara cittadina” (pag. 166). E’ fidanzata con Mario, ma non disdegna di conoscere quanti più ragazzi che può. E’ lei che fa conoscere a Mara un amico di Mario, Stefano, verso il quale Mara sembra aprirsi a un nuovo amore. Esce spesso con Mara per andare al Luna Park, e al cinema, ne vede uno in particolare che colpisce Mara. E’ una storia d’amore. Si tratta del film “Il ponte di Waterloo”. L’attore è Robert Taylor. L’attrice una sconosciuta. “Lei e Robert Taylor si amavano, lei era una ballerina, lui un ufficiale; poi lui partiva per la guerra, e lei non ne sapeva più niente, anzi le arrivava la notizia che era morto. Allora, dalla disperazione si dava al vizio. Ma una sera lo ritrovava, perché era stato solo ferito. Lui non si accorgeva che lei era caduta in basso; la conduceva con sé in un castello, per presentarla alla sua famiglia; facevano la festa di fidanzamento, ma lei, rendendosi conto di non potersi più sposare, la notte fuggiva e andava a buttarsi nel fiume” (pag. 166, 167). Il film e la colonna sonora: “Domani tu mi lascerai e più non tornerai;/ domani tutti i sogni miei li porterai con te”, commuovono Mara che pensa al suo Bube lontano, in Francia.
Altri personaggi secondari – che gravitano attorno a Bube.
Memmo. E’ un amico di Bube. Anche lui iscritto al partito, ma senza troppi furori. Quando sa che Bube ha ucciso, in un conflitto a fuoco, il maresciallo dei carabinieri e suo figlio, prende le distanze da quello che chiama suo amico e non sa dargli nessun conforto, anzi si allontana da lui. Mara conosce Memo quando è assieme a Bube in un bar trattoria a Colle Val d’Elsa. I due si chiamano ancora con i nomi di battaglia. “Segretario della sezione è sempre Baba? E Lidori che fa? E Bomboniera? –Mara cominciò a ridere. Perché ridi? Fece Bube brusco. Che cognomi buffi ci avete a Volterra. Non sono mica cognomi. Sono soprannomi, rispose Bube serio” (pag. 76).
Lidori. E’ un funzionario del Partito: “Alto, magro, robusto, con un gran naso aquilino; e un intrico di venuzze a fior di pelle sugli zigomi e sulle narici”. E’ quello che suggerisce a Bube di nascondersi immediatamente perché i carabinieri di Colle Val d’Elsa vogliono arrestarlo.
Arnaldo. E’ un altro iscritto al Partito. Aiuta Bube e Mara a nascondersi, portando loro da mangiare. Preleva Bube con la macchina e lo porta lontano da Volterra. Ha una parte del tutto secondaria nel romanzo, anche se ricompare verso la fine del romanzo. E’ l’unico tra i compagni di partito a riconoscere il movente che ha spinto Bube a fare quello che ha fatto: la mancanza di un padre che lo avrebbe forse consigliato a non andare allo sbaraglio, il fatto poi che tutti lo chiamavano vendicatore, spinge Bube ad uccidere e a vendicare i compagni caduti durante la guerra civile- guerra di liberazione.
Paternò. E’ l’avvocato difensore di Bube al processo. E’ imposto dalla sezione comunista di Firenze. E’ un personaggio scialbo. Imposta la difesa solo da un punto di vista politico. Confida in una prossima amnistia per tutti i reati politici, amnistia che non verrà affatto.
Luoghi
La storia si svolge nel cuore della Toscana, nella stupenda campagna della Val d’Elsa, in piccoli centri come Monteguidi e Colle e in alcuni più grandi come Volterra e Poggibonsi. Il primo luogo chiuso che Cassola presenta è la casa di Mara, non descritta con particolarità, ma si riesce a capire che si tratta di un’abitazione contadina, povera ma dignitosa, con una grande cucina dotata di un camino e di una finestra priva d’imposte, da questo locale si accede a due camere da letto pulite e ordinate. La casa di Bube viene invece descritta con particolarità: è formata da solo due stanze, cucina e camera, mentre il gabinetto si trova per le scale, “i mattoni sono mezzo rotti, le pareti sporche e macchiate d’umidità, i soffitti scrostati”. Altra casa descritta è quella elegante e ben arredata della famiglia di Poggibonsi dove Mara va a servizio. Per il resto Cassola descrive con ricchezza il paesaggio e lo identifica con ciò che in esso avviene: una natura rigogliosa e ricca di sole fa da sfondo allo sbocciare dell’amore dei due protagonisti, mentre un paesaggio notturno, nebbioso, illuminato solo dalle luci di una fabbrica, è lo scenario dove Mara trova un’alternativa alla sua storia con Bube. “Era ormai il crepuscolo. Giù nella vallata la pioppeta non si distingueva più bene, era solo una macchia chiara tra lo scuro dei campi. Al di là la vista spaziava su successive ondulazioni del terreno, quali nude, quali coperte di bosco; qualche lume brillava fioco. A quell’ora, Mara aveva sempre avuto l’abitudine di trattenersi fuori; solo quando era proprio notte, sentiva l’impulso a rientrare a casa” (pag. 54).
“Il sole era ancora basso sull’orizzonte e un po’ annebbiato. Si vedeva solo la sommità delle colline di fronte, perché la base era cancellata dalla nebbia che indugiava nel fondovalle. Un luccicore sinuoso indicava il corso del fiume” (pag. 65).
“Svegliandosi, Mara stentò a raccapezzarsi: forse perché aveva sognato. Il fogliame alto dei pioppi era percorso da un fremito continuo; e quel fruscio avrebbe potuto anche farle credere di essere nella sua chiusa, vicino al torrente” (pag. 80). Mara è con Bube nel capanno, lo stesso che il partigiano aveva occupato mesi prima con altri compagni, quando era alla macchia. “Un’aria fitta e oscura gravava ormai sulla campagna. Poi, ai pendii coltivati, successe il bosco: arrivava già fino al margine della strada, con le masse oscure dei cespugli isolati. Sempre fiancheggiata dalla boscaglia, la strada cominciò a salire. La corriera andava a passo d’uomo” (pag. 88). Mara sta salendo verso Volterra assieme a Bube per andare a conoscere la mamma e la sorella del fidanzato. Ed è proprio in corriera che avviene l’incontro con il prete Ciolfi.
La sistemazione presso la famiglia di Poggibonsi dove fa la donna di servizio, porta Mara in una nuova dimensione. Dimentica Monteguidi, anche se vi ritorna ogni fine settimana. Sante ormai riposa nel piccolo cimitero di Monteguidi. Nei primi giorni trascorsi a Poggibonsi osserva il paesaggio: “La prima occhiata, come ogni sera, la diede alla sagoma nera della fabbrica, con la luce che fiottava dalle vetrate. Nemmeno la domenica smettevano di lavorare. E con quell’immagine abbagliante negli occhi, e la dolce melodia del film dentro di sé, scivolò nel sonno” (pag. 167). Mara, prima di partire da Poggibonsi e ritornare dalla mamma, aveva promesso a quest’ultima di comprare dei fiori da mettere sulla tomba. Prima di partire “S’era fermata a riposare su un muretto. Il cielo era più bianco che azzurro; il sole traspariva appena. Giù in basso una voce femminile cantava uno stornello: facendo una lunga pausa tra un verso e l’altro. Mara percorse con lo sguardo la vallata. Gli alberi ormai spogli non nascondevano più la vista del terreno: era tutto un uniforme susseguirsi di tronchi nudi e di campi brulli. Anche i colori erano spenti: violaceo dei castagni, bianco sporco dei pioppi, marrone delle siepi e dei filari, bruno della terra arata. Con un sospiro Mara si alzò e si rimise in cammino” (pag.169). Arrivata a casa, dopo aver salutato il padre e la mamma si mette alla finestra per ricordare: “I ricordi del suo breve amore si erano allontanati, ma lei era cambiata: non aveva più nulla in comune con la Mara di un tempo. Le pareva addirittura di non aver più nulla in comune con il suo paese: quelle vecchie case, la gente seduta sugli scalini, gli asini attaccati agli anelli di ferro infissi accanto alle porte, i polli che razzolavano negli spiazzi, tutto le appariva sporco, vecchio, misero” (pag. 171). A Poggibonsi, Mara conosce Stefano e si innamora di lui anche se solo momentaneamente. Ines fa coppia con Mario, Mara con Stefano. I due escono insieme: “ I platani del viale erano sempre senza foglie; e lo stesso, nel campo, i gelsi in testa ai filari. Anche i filari erano nudi: lo sguardo passava oltre il loro fragile schermo scoprendo altri campi, giù giù fino all’albereta. In terra il grano era solo un’erbetta verde e tenera. Ma l’uniforme vacuità della campagna invernale era già rotta da alcune nuvolette bianche e rosate. Mara le mostrò al suo compagno” (pag.192).
Il finale del romanzo: “Alla prima curva, si scoprì la Valdelsa, C’era un mare di nebbia, laggiù: da cui emergevano come isole le sommità delle collinette. Ma il sole, attraversando coi suoi raggi obliqui la nebbia, accendeva di luccichii il fondovalle. Mara non distoglieva un momento gli occhi dallo spettacolo della vallata che si andava svegliando nel fulgore nebbioso della mattina” ( pag. 282)-
Tempo- cronologia
La storia narrata da Cassola si svolge in un preciso periodo storico, tra il 1944 e il 1948, ossia negli anni della Resistenza contro l’occupazione delle truppe tedesche in Italia e in quelli del primo dopoguerra. Questo si desume dagli avvenimenti politici narrati, perché lo scrittore non menziona date precise, l’unica è quella in cui viene redatto il verbale dal maresciallo Sciacca Vincenzo della tenenza di Colle Val D’Elsa, che raccoglie la deposizione di Mara: 14 giugno 1945, ed anche per le importanti votazioni per la scelta tra Repubblica e Monarchia accenna solo al giorno “ 2 giugno” (Referendum istituzionale tra Monarchia o Repubblica) e al “18 aprile” (18 aprile 1948 le prime elezioni politiche del dopoguerra).
Narratore
Fin dalle prime pagine, il narratore esterno narra gli avvenimenti dal punto di vista di Mara, la protagonista, quindi assume la posizione di narratore implicito. Questo avviene con il cambiamento di Mara che va verso la sua completa maturazione, dovuta alle vicende attraversate dalla ragazza. Il romanzo non è solamente sentimentale e povero di contenuto, tutt’altro. Il narratore implicito si manifesta anche attraverso i dialoghi dei personaggi sulle storture della resistenza degenerata in atti di violenza.
Stile
Cassola usa un linguaggio semplice, asciutto, misurato e nello stesso tempo elegante. Nelle descrizioni, spesso molto curate, di eventi, azioni, paesaggi e personaggi predomina il senso visivo. Il romanzo è ricco di dialoghi lunghi e serrati e i protagonisti usano un linguaggio consono al loro stato sociale, trattandosi di una storia raccolta attorno a umili protagonisti. Nello stendere l’ultima parte del romanzo, quella inerente agli esiti del processo a Bube, lo scrittore tiene in sospeso il lettore con la tecnica dello “stacco temporale”, usando brevi narrazioni che evidenziano Mara nella sua orgogliosa solitudine. La mamma fa di tutto perché Mara dimentichi Bube anche per non sciupare la sua giovinezza. Anche il padre ormai non crede più all’amnistia per reati politici. “Appunto perché è un disgraziato, non lo posso lasciare. Lo dovresti capire, mamma: se lui trova la forza di sopportare la prigione, è perché sa che ci sono io ad aspettarlo, Impazzirebbe, se lo lasciassi” (pag.249). Mara va spesso a trovare Bube in carcere ed ogni volta che va a trovarlo, si ferma da alcuni suoi amici: Vilma e Tonino che hanno un bimbo di nome Danilo: “Mara era stata messa a dormire sul divano del salottino; ci stava comoda, ma non le riusciva prendere sonno. Il fatto di essere in un letto nuovo, e il tic tac della sveglia, e il rumore della pioggia, e il vento che s’ingolfava nel vicolo e scuoteva l’intelaiatura della finestra, tutto contribuiva a tenerla desta. Udì dieci rintocchi: venivano dal penitenziario. E l’angoscia la prese, al pensare che Bube era là tra quelle mura, e ci sarebbe rimasto altri sette anni. Ma non fu che un momento perché ancora una volta quella forza che l’aveva assistita in tutte le circostanze della vita, la sorresse e le ridiede animo. Mara rimase a lungo sveglia, con gli occhi aperti, e pensava che aveva fatto la metà del cammino, e che alla fine della lunga strada ci sdarebbe stata la luce” (pag.281). “Sono passati questi sette anni, passeranno anche questi altri sette”( pag. 280).
Breve valutazione del romanzo
Il romanzo non ha destinatari precisi, può essere letto da gente di ogni età, perché è un intreccio di amore e politica. L’autore sottolinea con questa storia il significato della vita che è una catena di dolori, delusioni, disperazioni, ma anche di piccole gioie, speranze, coraggio e fedeltà. Bube condannato, si scaglia contro tutti i propri compagni di partito soprattutto contro Lidori, colpevoli di averlo ingannato. Mara cerca di calmarlo. Alla vista di Mara, il suo sguardo si addolcisce: “ No, tu sei la sola persona che sono contento di vedere. Tu no, Mara… gli altri li odio, non voglio più saperne. Perché sono più colpevoli di me, e se ne stanno liberi, a godersi la vita. Solo di fronte a te mi sento colpevole. La sola cosa che mi affligge è il dolore che ho dato a te. Non dire così, Bube caro, lo aveva interrotto lei, cominciando a piangere. E’ vero, Mara, è vero aveva insistito lui, furente, con tutti gli altri sono in credito; soltanto con te sono in debito. Perché quel poco di felicità che ho avuto nella vita, sei stata tu a darmela; e io, come t’ho ripagato?… Mara, mi perdoni? Mi perdoni del male che ti ho fatto?” (pag. 268).
In casa di Vilma, la sua amica, Mara alla domanda come stia il padre, Mara risponde: “Oh, lui sta bene. Sembra proprio un giovanotto, se lo vedessi! Di spirito, però non è più lo stesso. – Cosa intendi dire? – Da che non lavora più al partito. Non credeva proprio che gli avrebbero fatto una parte simile. E cosa vuoi, di rimettersi a fare il boscaiolo o il manovale non se la sente mica, a parte che a lavorare di braccia non è mai stato il suo forte e di nuovo scoppiò in una delle sue risate da monella. Povero babbo aggiunse, tornando seria, anche lui ha avuto la sua parte di delusioni nella vita” (pag.278).
E’ un piacere leggerlo, anche se a volte può dare una sensazione di malinconia e di tristezza infinite. Si è conquistati dal fascino del personaggio di Mara che non abbandona al destino il suo Bube in difficoltà; ciò può far capire quanto sia importante la “legge” della fedeltà. Altro fattore che coinvolge il lettore è che si parla del movimento della Resistenza, con le sue luci e le sue ombre, del coraggio dei Partigiani e della lotta contro il Fascismo.
Mara al processo, Mara si erge a difensore di Bube: “Considerate un momento, signori giudici: Bube era un ragazzo di diciannove anni. Orfano di padre, non ha mai avuto nessuno che lo consigliasse, che lo guidasse. Va a fare il partigiano; così giovane, si ritrova a maneggiare una rivoltella, un fucile; e quando torna a casa, la gente si mette intorno, e lo incita a continuare, gli dice che bisogna vendicare i caduti, che bisogna picchiare, che bisogna uccidere…Che ne sa lui che ora non è più tempo di sparare e di uccidere? Gli dicono: tu devi tener fede al nome che hai preso: non ti sei forse chiamato Vendicatore? Oh, io me ne ricordo bene come andarono le cose su quella maledetta corriera. Lui non avrebbe voluto fargli niente al prete… anzi avrebbe voluto evitargli le busse. Ma che figura ci avrebbe fatto, di fronte a tutta la gente? Forse che uno fa quello che veramente si sente di fare? No, uno fa quello che gli altri si aspettano che faccia” (pag. 255).
A processo concluso, il prete Ciolfi muore. “I Fascisti dicevano che era stato in conseguenza delle botte che gli aveva dato Bube, ma era una calunnia; perché era morto di cancro, invece” (pag. 280). Anche di questo Bube viene accusato dagli avversari, ma non è così.
Raimondo Giustozzi
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