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Da Lampedusa al muro di Orban: il sito sui migranti (finanziato anche da Soros) approda in Italia

di Simona De Santis Corriere.it

Tratto da Internet

Tratto da Internet

L’anno che sta per concludersi segna uno snodo storico per il fenomeno delle migrazioni: quasi un milione di profughi, solo negli ultimi dodici mesi, sono arrivati in Europa spinti da guerre e fame. Un flusso che non si ferma, nemmeno in questi giorni. Dall’ecatombe di Lampedusa del 18 aprile scorso al muro ungherese «anti-migranti», fatti, volti e storie raccontano di un 2015 che segnerà la storia delle migrazioni e della stessa Unione Europea. C’è chi ha deciso di raccontare il complesso fenomeno delle migrazioni, delle politiche di frontiera, del diritto d’asilo, dell’integrazione, partendo da una sistematizzazione e da una analisi, il più possibile accurate, dei dati disponibili sul tema: si tratta del progetto «Open migration», della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD, sostenuta da Open Society, la fondazione dell’economista e filantropo George Soros), un sito – in lingua italiana, con una cospicua quantità di contenuti tradotta anche in inglese – che presenta grafici e approfondimenti divisi in tre grandi aree tutte legate da un filo rosso: ovvero la ricostruzione dei flussi migratori, del percorso, dei lunghi viaggi intrapresi dai migranti, dalla partenza dai paesi di origine fino all’attraversamento delle frontiere. Con un obiettivo: scardinare, partendo dai dati, gli stereotipi che ostacolano una effettiva comprensione del fenomeno migranti.

Le 5 giornate storiche (e tragiche)

Elemento caratterizzante le singole sezioni del sito sono le infografiche. Come quella, curata da Alessandro Lanni, che presenta i 5 giorni (e i 4 grafici) che hanno maggiormente interessato il dibattito politico sui migranti e innescato l’attenzione dell’opinione pubblica. Nel 2015 si sono registrati 956.683 mila arrivi attraverso il Mediterraneo, erano stati 216.054 nel 2014. Si comincia, però, ad occuparsi del tema solo dopo il tragico naufragio del 18 aprile: nel Canale di Sicilia cola a picco un barcone carico di migranti che cercano di raggiungere l’Italia. I morti accertati sono 58, i superstiti recuperati 28 e il numero dei dispersi è compreso tra i 700 e i 900. È da questo momento in poi che si pone, concretamente, il tema dell’emergenza migranti nell’agenda mediale. Ma gli eventi del 2015 segnano, anche, un altro spartiacque storico: i flussi migratori non arrivano più solo dal mare, ma nasce la cosiddetta «rotta balcanica». Il 20 agosto la Macedonia dichiara lo stato d’emergenza perché la pressione delle migliaia di rifugiati che attraversano il confine greco è divenuta insostenibile. La rotta balcanica è ormai aperta e a fine anno ci saranno passate, secondo l’Unhcr, circa 800mila persone. Ma è (solo) il 15 ottobre quando i capi di stato e di governo dell’Unione Europea approvano la lista di priorità indicate dalla Commissione Europea sull’emergenza migranti. Si fissano una serie di azioni comuni per far fronte al flusso crescente di profughi verso l’Ue e alle difficoltà generate dal Regolamento di Dublino, il documento principale adottato dall’Unione in tema di diritto d’asilo, secondo il quale il paese in cui fare domanda d’asilo dev’essere per ogni richiedente quello di primo ingresso. Che, tradotto, significa soprattutto Italia e Grecia. Ma, probabilmente, il 2015 dei rifugiati sarà ricordato soprattutto per la storia del piccolo Aylan Kurdi, il bimbo curdo-siriano annegato e spinto dal mare il 2 settembre sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, la cui foto ha fatto il giro del mondo. Sembra che quella foto possa imprimere una svolta nell’atteggiamento, finora poco inciso, dell’Ue sull’emergenza migranti. E dalla Germania arrivano le prime risposte. Ma il 17 ottobre l’Ungheria di Orban chiude le porte e alza i muri. Prima con la Serbia e poi con la Croazia. E – come dimostra il grafico riportato su «Open migration» – si interrompe il flusso verso Budapest e s’impennano gli ingressi in Slovenia. Sul territorio italiano, su 150 mila persone arrivate nel 2015, circa il 10% sarebbero bambini. Complessivamente i minori richiedenti asilo sono soprattutto di nazionalità siriana, e poi afghani, kosovari, meno numerosi gli eritrei e i somali.

Cosa sappiamo, veramente, dei flussi migratori?

Approfondimenti, grafici, report: così «Open migration» tenta di fare ordine attraverso le maglie complesse dell’analisi dei flussi migratori. E per mettersi alla prova, c’è la sezione dedicata al «fact checking»: cosa sappiamo veramente sui migranti e sui rifugiati? C’è davvero una «invasione musulmana» in Europa e in Italia? La risposta a quest’ultima domanda è: no, dati alla mano. Quanti sono, dati alla mano, i rifugiati arrivati nel nostro Paese? Eppoi «sondaggi e quiz» o l’area denominata «cartoteca» con, ad esempio le «5 cose da sapere sugli eritrei»: nel 2015 il record di arrivi in Italia di migranti e rifugiati è detenuto da cittadini eritrei. Un numero che l’Unhcr stima attorno ai 40mila, cifra pressoché analoga agli arrivi nel 2014. Ma quanti, ad esempio, sanno che in pochissimi (1 su 100) vogliono poi rimanere nel nostro Paese?

I media e gli stereotipi

Il dibattito pubblico, e soprattutto mediale, sull’immigrazione inciampa spesso su impianti concettuali carichi di cliché e pregiudizi quando si tratta di migranti. «Open migration» è uno strumento per chi vuole saperne di più, per gli addetti ai lavori, certo, ma anche per gli operatori della comunicazione e gli studiosi. Andare a confutare, ove presenti, così tanto stereotipi va oltre gli obiettivi resi possibili da un così ricco contenitore di contenuti e approfondimenti: «Attraverso i dati – commenta Alessandro Lanni, autore anche di una interessante intervista a Bauman – si possono battere i luoghi comuni intorno ai rifugiati e ai migranti in senso più ampio. L’intento è dunque guardare a questi temi da un punto di vista non emozionale o compassionevole, ma che ci permetta di capire qualcosa che ci riguarda direttamente». E andare a scardinare gli stereotipi degli uni verso gli altri dimostra che vi è sempre la strada del dialogo e dell’accoglienza come antidoto al razzismo e all’intolleranza. Mutuando quanto affermato dallo scrittore Edward Said nel suo «Orientalismo» (edito da Feltrinelli), in merito agli stereotipi che avvolgono la cultura e la religione musulmana, «Open migration» dimostra che è possibile «sfidare l’idea che le differenze comportino necessariamente ostilità, un assieme congelato e reificato di essenze in opposizione, e l’intera conoscenza polemica costruita su questa base».

@sidesantis

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