Il presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi ha partecipato alla seconda giornata del Festival de Linkiesta, discutendo con il giornalista Francesco Lepore di pace, del ruolo della religione nella politica, dei diritti degli omosessuali e dei casi di abusi nella Chiesa
«Non c’è pace senza giustizia, e quindi libertà. Dire che si vuole la pace non significa confondere aggressore e aggredito». Il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, durante l’evento “Vatikana” al Festival de Linkiesta, si espone in maniera decisa su un tema fondamentale, il pacifismo. Argomento che lo tocca in prima persona, in quanto personalità fondamentale nella conclusione del conflitto in Mozambico dopo decenni di violenza. La pace continua a dividere il mondo sociale, ma anche quello giornalistico e politico, rispetto alla guerra di aggressione messa in atto da Putin il 24 febbraio, di cui ieri è ricorso il nono mese. La parola “pace”, fa notare il moderatore dell’evento Francesco Lepore, giornalista di Linkiesta, viene spesso ripetuta, ma si riduce quasi sempre a slogan.
«Questo è un mondo complesso che chiede delle scelte. Il rischio è che ci si invischi nella complessità. Qual è il rapporto tra pace, giustizia e libertà?» si chiede Zuppi. «Per l’Ucraina, se penso al primum vivere, ovvio che voglio la pace. Dall’altra parte, però, occorre domandarsi: la voglio a qualunque prezzo? Non c’è pace senza giustizia, e quindi libertà. Dire che si vuole la pace non significa confondere aggressore e aggredito. La legittima difesa è fondamentale, perché c’è un aggressore, che distrugge, che ha una tattica di guerra uguale a quella attuata Siria. Quando il Papa chiede al presidente della Russia, proprio per il bene del suo Paese, di dichiarare il cessate il fuoco, e al presidente ucraino di accettare delle giuste condizioni di dialogo, e la parola giuste è importante, io credo sia fondamentale».
Altro tema di grande attualità affrontato dal cardinale Zuppi è quello dei diritti afferenti alle persone Lgbt. Soprattutto a causa della recente esternazione del senatore di Fratelli d’Italia Lucio Malan, che, citando il levitico – uno dei testi biblici più difficili da interpretare – si è riferito ai rapporti tra due uomini come un abominio. «È molto pericoloso far derivare una proposta politica da una lettura di testi religiosi che finisce per essere priva della necessaria interpretazione, portando a una sorta di teocrazia, un neocristianesimo con dei tratti di fondamentalismo» afferma Zuppi, secondo cui le religioni «devono diventare sempre più la garanzia di dialogo, incontro, e quindi anche superare l’utilizzo per altri fini o per giustificare i nazionalismi, evitando di giustificare pregiudizi, odii usando la religione».
Il discorso si sposta inevitabilmente sul riconfermato ministro Matteo Salvini e sul suo massiccio utilizzo di simboli religiosi, che contrasta con tragedie come quelle avvenute nel Mediterraneo a causa delle politiche del nostro Paese. «Per un cristiano fare politica significa cercare il bene comune, termine abusato che spesso coincide con interessi personali. Bisogna mettere al centro la persona, dall’inizio alla fine della vita. C’è bisogno oggi di tanto amore politico, per citare l’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco, nella prospettiva di pensarsi insieme e di saper dialogare e discutere nella ricerca di qualcosa che ci deve unire».
La discussione verte poi su un argomento particolarmente delicato per la Chiesa, ovvero l’abuso di membri del clero su soggetti minori. Su questo, nel corso della sua attività, il cardinale Zuppi è intervenuto pubblicando un report che è stato oggetto di attacchi di alcune associazioni, che vedono in esso una mancanza di considerazione verso la vittima. «Siamo effettivamente arrivati tardi. La consapevolezza, la fermezza nella comprensione dei problemi, nell’individuazione delle responsabilità, è qualcosa che è maturato negli ultimi anni. Non è stata facile questa autocoscienza, ma ora c’è» dice il cardinale. «Dobbiamo crescere, ma mi sembra che la chiesa italiana abbia scelto con chiarezza dei regolamenti molto fermi, pubblicando i dati e rendendosi disponibile a delle analisi su di essi, qualcosa che per la Chiesa era impensabile. Prendere in esame i casi è il primo interesse della Chiesa. Il dolore è quello delle vittime, ed è quello che a maggior ragione spinge la Chiesa a una grande chiarezza e a un grande rigore. Ci vuole tempo, con l’intenzione di non nascondere niente e non scappare».
Cultura – Linkiesta, 26 novembre 2022
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