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Dialoghi in corso. Acol e cocaina: la quintessenza della società dei consumi, il consumatore consumato dai consumi.

Fonte internet

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Il consumo di cocaina si accompagna con sempre maggiore frequenza a quello dell’alcol, massimizzando rischi e pericolosità. Perché questo binomio?

Anna Paola Lacatena by Micromega

È innegabile come il consumo di cocaina in tutte le sue possibili tonalità diagnostiche sino alla dipendenza patologica vera e propria rappresenti ormai un grave problema socio-sanitario, educativo e di sicurezza.

Fuori dallo stereotipo della sostanza elitaria e costosa e dall’assunzione esclusivamente per via inalatoria, la sua diffusione è massiccia e trasversale per età e contesti sociali.

L’esperienza diretta dei Servizi (Ser.D. Servizi per le Dipendenze) che in prima linea si occupano della questione, supportata da studi internazionali e dall’evidenza dettata dalla sempre più invasiva penetrazione delle holding criminali in chiave economico-finanziaria, fanno pensare a un imporsi difficilmente contenibile, almeno con gli strumenti oggi a disposizione dell’intera area del contrasto e del trattamento.

«L’anno 2020 segna un record assoluto nei sequestri di cocaina, che hanno toccato quota 13,4 tonnellate, un quantitativo mai raggiunto in precedenza» dice la relazione firmata dal direttore dell’Antidroga, generale Antonino Maggiore. L’incremento percentuale rispetto all’anno precedente del 62% (già + 127,8% nel 2018) sembra confermare il vertiginoso aumento dei volumi sottratti al mercato illecito e contestualmente la capillare e massiccia diffusione in tutti gli strati della società.

L’ultima relazione del Dipartimento delle politiche antidroga in Parlamento conferma la tendenza anche sul piano delle ripercussioni sul sistema sanitario nazionale. Nella relazione viene evidenziato un trend in crescita per l’anno 2019 di ricoveri e decessi per overdose di droghe: 373 decessi, in media pari, dunque, a più di uno al giorno, con la cocaina al primo posto come causa degli stessi ma con un calo per il 2020 del 18% (308 casi, di cui 267 uomini e 41 donne).

Nella relazione si legge, però: «La rilevazione sui decessi droga-correlati ha avuto inizio in Italia nel 1973 con l’unico caso segnalato in quell’anno; nei successivi 47 anni, complessivamente, i decessi sono stati 26.154: il crescente andamento iniziale, soprattutto negli anni settanta e ottanta, può trovare spiegazione nell’espansione dell’uso di eroina, sostanza che ancora oggi figura come causa principale di eventi letali connessi al consumo di sostanze stupefacenti». Nel 2020, infatti, il 56% dei decessi è dovuto al consumo di oppiacei: 136 sono i casi eroina-correlati e 35 quelli per overdose di metadone che dal 2,4% del 2010 sono passati all’11% del 2020. Nel corso degli ultimi dieci anni, è invece progressivo l’aumento dei decessi correlati all’uso di cocaina/crack (69 nel 2020).

Fonte internet

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«Gli eventi acuti da cocaina restano il più delle volte non riconosciuti perché si presentano a tutti gli effetti come “normali” infarti o ictus (per questo, sappiamo che i relativi numeri su GeOverdose non rispecchiano la realtà dei decessi e dei ricoveri da cocaina, e sono sicuramente sottostimati; non ci stupiremmo se i numeri veri sopravanzassero di molto quelli di sostanze che generano maggiore allarme sociale come l’eroina).» (fonte Società Italiana delle Tossicodipendenze – SITD)

Secondo le ultime stime, il 31% (circa 5 miliardi di euro) dei quasi 16 miliardi di euro spesi ogni anno per l’acquisto di sostanze stupefacenti, riguarda proprio la cocaina con una oscillazione, a seconda dei territori, di prezzi, qualità servizio, modalità di reperimento e consegna.

In estrema sintesi: ormai sostanza primaria per i nuovi accessi ai Servizi, diffusione trasversale per età ed estrazione sociale, riduzione negli anni del costo e della qualità (spesso a causa di tagli impropri con altri stimolanti), impossibilità a definire il numero reale degli accessi presso Pronto Soccorso e Ospedali e dei possibili episodi di overdose.

Tanto si è detto e visto a proposito del narcotraffico, dell’epica negativa delle guerre tra cartelli, di personaggi assurti a vere e proprie icone pop su scala mondiale, della fascinazione innescata dallo scontro tra criminalità e forze dell’ordine. Tanto si è scritto a proposito del consumo d’élite nel corso del tempo, qualcosa si conosce a proposito degli effetti, qualcosa di più specifico e circostanziato andrebbe puntualizzato a proposito del consumatore/dipendente da cocaina oggi.

Dal fascino del “posso tutto” – in psichiatria espressione tipica della psicosi – il consumatore di cocaina è pienamente integrato nella società dei consumi. In qualche maniera ne incarna liturgia e sacerdozio.

Privo di rappresentazioni di ciò che può conferire un senso generalizzabile, il consumatore/dipendente si immola nel tempo al vuoto che dà manifestazione di sé attraverso anomia, anedonia, noia.

Anomico nell’accezione durkhemiana di privazione di regole in un quadro istituzionale e di riferimento difficilmente riconoscibile, è l’anedonia come incapacità di provare, di sentire, di definire la realtà circostante, tra i suoi tratti più ricorrenti.

La cocaina che già da sola può enfatizzare condizioni psicopatologiche preesistenti, facilitando l’esordio psicopatologico, soprattutto in chiave psicotica, per molti consumatori potrebbe non bastare. E allora l’uso – più o meno problematico – si accompagna spesso a quello di altre sostanze, su tutte l’alcol massimizzando rischi e pericolosità.

Perché questo binomio – cui si aggiunge in alcuni casi anche il gioco d’azzardo patologico – è sempre più presente nelle domande di aiuto dei pazienti che afferiscono ai Servizi? Perché in molti riferiscono appetizione incontrollabile di cocaina quando bevono? E perché se non bevano riescono più facilmente a governare il bisogno dello stimolante?

All’inizio di questo secolo l’European Monitoring Centre for Drugs Addiction (EMCDDA) ha attestato all’83% la poliassunzione – poliabuso tra i consumatori in Europa. L’accoppiata cocaina-alcol in Italia arrivava a quasi il 50% a fronte di un 16,5% di abusatori di alcol che consumavano cocaina.

Prima di provare ad approfondire l’abbinamento, va precisata una caratteristica propria dell’alcol ossia l’andamento bifasico dei suoi effetti sul sistema nervoso centrale (SNC). Da una prima fase – non definita per tutti a causa di una serie di fattori tra cui la sensibilità personale, il contesto, la quantità, ecc.  ma orientativamente situabile tra 0,2 e 2,5 gr/l – in cui sono più evidenti effetti eccitatori, stimolanti, disinibenti, l’assuntore proseguendo nell’assunzione sperimenta, poi, gli effetti depressogeni dell’alcol sul SNC in termini sedativi-ansiolitici-rilassanti.

Questo passaggio ha un senso per il consumatore di cocaina.

La chiave dell’uso combinato con l’alcol è nella conseguente formazione di un metabolita, prodotto dal fegato: il cocaetilene. Questo, agendo in maniera del tutto simile alla cocaina bloccherebbe con successo la ricaptazione della dopamina, aumentandone le concentrazioni sinaptiche nel cervello, con un meccanismo simile ma meno marcato rispetto a un altro importante neurotrasmettitore, ossia alla serotonina. In estrema sintesi: l’accoppiata alcol-cocaina – attraverso il cocaetilene – determina un’azione euforizzante più forte rispetto alla sola cocaina, attenuando la serotonina, che a questo punto poco può sul controllo della dopamina, finendo per lasciare ampio campo all’azione dopaminergica (della dopamina).

Questa condizione può scatenare irritabilità, aggressività, paure, idee persecutorie, calo di empatia nei confronti degli altri, inducendo il consumatore a introdurre altro alcol per regolare, più spesso disregolare, emozioni e stati mentali.

Il consumatore di cocaina, poi, ricorre all’alcol anche per rientrare dalla stimolazione operata dalla cocaina in maniera più comoda e tranquilla, evitando il cosiddetto down psicofisico post assunzione.

Va ricordato che il cocaetilene è tossico per il fegato e, anche più della cocaina, presenta cardiotossicità, aumentando notevolmente il rischio di morte improvvisa rispetto alla sola assunzione di cocaina. Non è sofismo ipotizzare che una parte consistente delle morti causate dalle droghe, siano dovute a una combinazione di cocaina e alcool.

Se la cocaina raffredda, dunque, con una sorta di eccesso di lucida razionalità e vigilanza, l’alcol riscalda, favorendo la vicinanza, la disinibizione, la facilità di contatto profondo con l’altro, modulando quella condizione iniziale che non solo non si arresta ma si amplifica in un continuo: «bevo e sento il desiderio di cocaina, assumo cocaina e sento il bisogno di bere».

Testa e cuore che, nelle prime fasi di questo genere di esperienza sembrano possano dialogare con più facilità, successivamente conducono il consumatore ad assumere atteggiamenti aggressivi, prevaricatori e violenti che presentano conti salati in termini di diminuita capacità lavorativa, incidenti stradali, rottura di relazioni sociali e affettive, ecc.

La cocaina si è fatta accessibile e facilmente reperibile ma sembra aver perso la fascinazione della droga dei ricchi. Quel viatico per una rappresentazione di sé più vincente e riuscita incarnata nell’immaginario collettivo dalla sostanza delle élite ha perso il suo fascino facendo il suo ingresso nella lista dei consumi di massa. La cocaina non fa serata, non aiuta a distinguersi – considerata la sua massiccia diffusione –, non fa bel mondo. Al più sembra che la stessa aiuti a sopportare insoddisfazione, vuoto, noia con la sua capacità di attivare soprattutto dopamina e noradrenalina.

Il consumatore attuale è più vicino ai campesinos che masticavano le foglie di coca per non sentire la stanchezza e il peso della giornata che ai rappresentanti dell’high society.

Un gruppo di ricercatori americani, attraverso studi effettuati con la risonanza magnetica funzionale (fMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging), ha evidenziato, poi, l’importante attività della struttura del cervello (striato) coinvolta nei circuiti di ricompensa e piacere durante il gioco d’azzardo, soprattutto in persone dalle relazioni sociali appaganti (Cacioppo et al., 2009), arrivando a dedurre che il giocatore d’azzardo compensi gli squilibri cerebrali scanditi da una vita sociale poco gratificante o del tutto insoddisfacente con le emozioni percepite nel corso del gioco.

Alcol, cocaina – di frequente anche gioco d’azzardo – già prima della pandemia da Covid-19 ma con sempre maggiore frequenza, i (nuovi) pazienti che si affacciano ai Ser.D. presentano questa abbinata.

Sono in larghissima parte uomini, generalmente tra i 40 e 50 anni. Hanno un lavoro – quasi sempre insoddisfacente – una moglie/compagna – con la quale la relazione è fortemente compromessa sul piano della fiducia –, spesso dei figli nei confronti dei quali provano un grande senso di colpa.

Sono abbastanza curati – nulla a che vedere con l’idea del tossicodipendente più conforme al pensiero comune – o vogliono apparire tali. Si chiedono come hanno fatto a finire al Ser.D., essendo convinti che lo stesso sia principalmente dedicato ai soli dipendenti da eroina, vi accedono per tranquillizzare chi li accompagna o li attende a casa.

Non sono «drogati», non sono tossicodipendenti né dipendenti patologici. Si persuadono di avere più semplicemente «un problema», esitano dinanzi alla ricerca di una definizione, di un copione, di un senso per sé e per la propria vita.

Dicono poco, preferendo navigare in superficie. Alla prima immersione, spesso piangono tra il “dove sono?” e il “come ci è arrivata (Sua Maestà) … perché proprio IO!”. Sono in grado, secondo quanto riferiscono, di farne a meno salvo «inspiegabili» e frequenti ricadute nell’uso.

L’indisponibilità di denaro finisce per essere una, se non spesso la principale, delle spinte più motivanti al cambiamento.

«Il cocainomane se ha denaro lo spende perché è sveglio ed eccitato, l’eroinomane spendeva solo per la droga perché dentro di sé ambiva a dormire; l’eroinomane non entra nella catena dei consumi, il cocainomane al contrario eccede nei consumi» (Ravera, 2007).

La quintessenza della società dei consumi: il consumatore consumato dai consumi.

Chiedono aiuto ma non è detto che ritornino. E se ritornano lo fanno lasciando che trascorra altro tempo tra il primo appuntamento (saltato) e il nuovo da fissare.

Sanno che non c’è qualità nella cocaina di strada, forse nessuno lo sa più di loro. Riportano una diffusione massiccia dell’uso tra quanti conoscono e/o frequentano che possa mitigare gli effetti di una indubbia dissonanza cognitiva normalizzando alla maniera della cannabis: “… ormai la fanno tutti”. Vorrebbero smettere con la cocaina ma la scelta più difficile appare loro quella di stare lontani dall’alcol, nonostante o proprio perché accertato viatico all’uso della stessa.

Heaven… I’m in heaven

(…)

When we’re out together dancing cheek to cheek.

 

Bibliografia

– Cacioppo J.T., Norris C.J., Decety J., Monteleone G., Nusbaum H. (2009), In the Eye of the Beholder: Individual Differences in Perceived Social Isolation Predict Regional Brain Activation to Social Stimuli, in Journal of Cognitive Neuroscience, January 2009, Vol. 21, No. 1, pp. 83-92

– Ravera F. (2007), Un fiume di cocaina, Rizzoli, Milano

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