di Raimondo Giustozzi
“Tuitio fidei ed obsequium pauperum. Afflictis Tu spes unica”. Difesa della fede e aiuto ai poveri. Tu unica speranza per gli afflitti. E’ il motto dell’ordine dei Cavalieri di Malta.
Gerosolimitani o Giovanniti.
La storia dell’ordine ha origine nel lontano 1048 per volere di Gerolamo Sanno, di Scalea una cittadina vicina ad Amalfi. Nel quartiere latino di Gerusalemme, proprio in quell’anno, apre una casa per i pellegrini cristiani, ebrei e mussulmani. Nasce ufficialmente l’ordine religioso dei Cavalieri Ospedalieri di Gerusalemme, Gerosolimitani o Giovanniti come si facevano chiamare per aver scelto come loro protettore San Giovanni Battista. Cambieranno più volte nome nel corso della storia, con il mutare delle vicende storiche che li porterà, da Gerusalemme prima nell’isola di Rodi, poi in quella di Malta, chiamandosi quindi Cavalieri di Rodi e di Malta. Il loro simbolo, la croce ottagonale garriva al vento sulle navi della libera repubblica di Amalfi. E’ un motivo in più per rivendicare la fondazione del sodalizio per opera di un italiano, nonostante le ipotesi fatte di far risalire ad un francese la costituzione dell’ordine. Nel 1113 avviene il riconoscimento ufficiale dell’ordine per opera del Papa Pasquale II che inviava a frate Gerardo, capo della comunità, una Bolla con la quale approvava e rendeva ufficiale l’istituzione dell’ospedale, concedendo ai suoi membri di eleggere propri “Maestri”. La Chiesa di Roma sanciva quindi con questo atto la nascita di un Nuovo Ordine religioso che acquisterà in breve tempo tanta notorietà da essere chiamato “La Sacra Religione”.
Alla morte di frate Gerardo subentra come “Maestro” dell’Ordine frate Raymond de Puy, un francese, il quale capisce il mutato clima politico che si va creando attorno alla Palestina e a Gerusalemme. Nel 1099 i Crociati conquistano Gerusalemme, ma la sua occupazione ha breve durata. I Mussulmani anelano alla riconquista. Frate Raymond trasforma l’ordine. Adottato definitivamente come emblema la Croce bianca ad otto punte, simbolo delle otto Beatitudini del Discorso della Montagna, sancisce tuttavia il cambiamento dell’Ordine; pur rimanendo fedeli ai voti di povertà, castità e obbedienza, gli uomini indosseranno la cotta di ferro e cingeranno la spada. L’Ordine diventa quindi ordine religioso, ospedaliero ma anche militare e cavalleresco. Alcune fortezze lasciate dai crociati vengono affidate ai Cavalieri di San Giovanni che si opporranno tenacemente all’invasione dei Mussulmani guidati da Saladino. L’ultimo scontro con le armate mussulmane, superiori in numero ed armamento, lo affrontano nella primavera del 1291. Il nuovo Maestro Giovanni De Villier tenta disperatamente di difendere l’ultimo baluardo di San Giovanni d’Acri. Quando l’ultima resistenza cade, i pochi superstiti portano in salvo sulle navi i malati e lo stesso maestro gravemente ferito. I Cavalieri fanno vela verso Cipro.
I Cavalieri di Rodi
Il loro avvenire è armai sul mare, per questo si danno da fare per creare in poco tempo anche una loro flotta, propri legni, consapevoli che lo scontro con il nemico di sempre avverrà di lì a poco ed in mare. E’ del 1230 il loro primo vascello “Comptesse”, capace di trasportare fino a 1500 uomini più le merci. A bordo era prevista, oltre a quella dell’equipaggio e della gente per il remo, la presenza di tre cavalieri: il capitano, il commendatore della nave, mentre al terzo erano affidati i rifornimenti. Le nazioni europee sono nel frattempo travagliate da nazionalismi di ogni sorta e sta tramontando per sempre l’ideale cavalleresco e l’idea delle Crociate. Meglio pensare di fare da soli, non confidando sull’appoggio di nessuno. Trovano un appoggio insperato nel 1306 in Vignolo de Vignoli, un avventuriero genovese al servizio dell’imperatore di Bisanzio Antropico II Paleologo che gli concede un contratto d’affitto per le isole di Coo e di Lero. L’avventuriero genovese propone al Gran Maestro Folco de Villaret di conquistare tutto il Dodecaneso e chiede soltanto di poter tenere per sé un terzo del territorio. I Giovanniti comprendono che l’offerta è la soluzione auspicata per i loro problemi. Si insediano nell’isola di Rodi, punto di incontro tra le rotte d’occidente ed oriente. Rodi era meglio di quanto si potesse sperare. Si apprestano allora a fare di Rodi un baluardo contro l’avanzata mussulmana che non demorde. Trovano la disponibilità e la cordialità degli abitanti. Diventano i cavalieri di Rodi. E’ il periodo di maggiore splendore per l’Ordine. Aprono e gestiscono l’Ospedale di Rodi, una delle maggiori strutture sanitarie del tempo.
Navi turche attaccano Chio nel 1319 e Rodi nel 1320. Le forze dei cavalieri di Rodi sono inferiori, ma il nemico è respinto e gran parte dei suoi legni vengono catturati. I Grandi Maestri Filiberto de Naillac e Antonio Fluvian dedicano mezzi ed energie per accrescere le capacità difensive della loro roccaforte. Sono opere gigantesche che richiedono la disponibilità di denaro che i Cavalieri di Rodi prelevano dalle loro numerose Commende, grandi proprietà agricole che hanno un po’ in tutta Europa. Anche Civitanova aveva una Commenda dell’Ordine. Ma il pericolo viene ancora una volta dal mare. Conquistata Costantinopoli nel 1453, rimangono solo i Cavalieri di Rodi a sbarrare la strada a Maometto II. All’alba del 23 maggio del 1480 una flotta mussulmana poderosa cinge d’assedio l’isola. Il Gran Maestro frate Pietro d’Aubusson ha previsto da tempo le mosse del nemico ed ordina la mobilitazione di tutte le forze a sua disposizione. I Mussulmani attaccano in forze. E’ il 27 luglio del 1480. Più di 3500 proiettili cadono sulla città nel corso del cannoneggiamento che riduce ad un cumulo di rovine la cinta muraria. Attraverso quei varchi si gettano d’assalto 2500 giannizzeri guidati dal rinnegato Nisha Paleologo, ma vanno ad infrangersi contro la forza d’urto dei Cavalieri di Rodi che respingono l’assalto. Maometto II deve ammettere amaramente che un pugno di uomini non gli avevano permesso di “Conquistare Rodi e l’Italia” come farà scrivere nella sua tomba.
L’impari lotta riprende più cruenta nel 1520 quando sale sul trono degli Onsmalli Solimano II, un giovane ambizioso e geniale. La resa dei conti con la piccola isola avviene all’alba del 17 dicembre 1522 dopo mesi d’assedio. I Cavalieri sono costretti a cedere ma solo dopo aver resistito accanitamente alla difesa dell’isola tanto da meritarsi l’onore delle armi da parte dei vincitori. I turchi entrano a Rodi all’alba del 10 gennaio 1523. L’Ordine lascia la terra che per più di due secoli era stata la propria patria. Sulle navi che prendono lentamente il largo, non sventola il rosso vessillo dell’Ordine, ma un drappo bianco sul quale spiccano, ricamate in oro, l’immagine della Vergine del Fileremo ed una scritta: “Afflictis Tu spes unica”. Ancora una volta, i Giovanniti sono stati lasciati soli, mentre le potenze europee e Venezia erano intente a non urtare l’amicizia dell’impero ottomano con il quale avevano in corso scambi di natura economica e commerciale.
I Cavalieri di Malta
Dopo un breve periodo trascorso nel porto di Civitavecchia e a Viterbo, un aiuto insperato per i Giovanniti viene dall’imperatore Carlo V il quale è disposto a concedere a loro l’isola di Malta, avanzando anche una pesante contropartita. Il Gran Maestro avrebbe dovuto giurare fedeltà al sovrano. La proposta non viene nemmeno presa in considerazione. Dopo estenuanti trattative, l’Ordine è disposto a prendere in esame le altre due richieste avanzate dall’imperatore: l’ordine di celebrare una Messa ogni anno quale ringraziamento per il beneficio ricevuto o il dono di un falcone da consegnare, nel giorno di Ognissanti, al viceré di Sicilia. Il 23 marzo del 1530, Carlo V firma la bolla con la quale assegna l’isola alla Sacra Milizia. L’imperatore stesso accetta le condizioni e tra una Messa e il falcone, sceglie quest’ultimo.
Arida, sassosa, quasi priva di vegetazione, Malta mette subito a dura prova la tenacia e lo spirito di sacrificio dei suoi nuovi proprietari. Ma i cavalieri dell’Ordine non si scoraggiano. Sono guidati dal Gran Maestro Jean Parisot de La Vallette il quale inizia nell’isola attorno alla città opere di fortificazioni imponenti, temendo che di lì a poco si sarebbe scatenata la furia mussulmana, cosa che accade puntualmente una prima volta il 18 maggio del 1565, un’altra volta il 23 giugno dello stesso anno. La partita decisiva è rimandata all’8 settembre, quando i Cavalieri dell’Ordine ricacciano definitivamente in mare le navi mussulmane. Anzi, non contento di ciò, qualche giorno dopo, Jean de La Vallette mette a segno un altro colpo contro Solimano. Gli agenti segreti, gli stessi che lo avevano tenuto costantemente informato sulle mosse dell’avversario, incendiano l’arsenale di Costantinopoli. D’ora in poi i mussulmani non faranno più paura ai Cavalieri di Malta, anche perché arriverà di lì a poco il 17 ottobre del 1571, data che sancisce la vittoria delle armi cristiane nella battaglia di Lepanto, nella quale parteciparono anche le navi dell’Ordine che furono anzi determinanti per l’esito del conflitto. Cessato il pericolo mussulmano, Jean de La Vallette fa della capitale una splendida città fortificata da una nuova cinta di mura alla costruzione della quale verrà chiamato Pietro Paolo Floriani, un ingegnere militare originario di Macerata. Oggi, il territorio compreso tra la prima cinta muraria costruita dal toscano Laparelli e questa seconda cinta muraria costruita dal maceratese, è chiamata “La Valeriana”. La capitale dell’isola si chiama La Valletta, in onore di Frà Jean Parisot de La Vallette. Da Malta i Cavalieri dell’Ordine se ne andranno solo nel 1798 quando l’isola sarà conquistata da Napoleone Bonaparte.
Dopo tanto girovagare, l’Ordine si insedia definitivamente a Roma e ritorna all’origine, non più un Ordine militare cavalleresco, ma religioso ospedaliero che si farà onore nei campi di battaglia di tutte le guerre, portando con i propri mezzi (ospedali da campo, treni ammalati, strutture sanitarie) le cure ai soldati, ai “signori malati” come vengono chiamati nel loro statuto. A Roma hanno due edifici: la sede in via Condotti 68 e la Villa Magistrale sull’Aventino, strutture sul suolo italiano ma che godono del privilegio di extraterritorialità. Oggi, il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta è insignito del titolo di Altezza Eminentissima ed è universalmente riconosciuto come capo di stato al quale spettano onori sovrani, con propri ambasciatori presso novantaquattro stati, diversi dei quali non cattolici. Tanta è l’importanza dell’Ordine che ha osservatori permanenti e rappresentanze ufficiali presso le Nazioni Unite, l’Unione Europea e presso altre numerose organizzazioni internazionali. Il Covid Hospital di Civitanova Marche è stato allestito in tre settimane con il supporto logistico del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, dopo quello di Milano Fiera.
Ezra Pound e Annibal Caro
Divertente quanto raccontato da Massi Gentiloni Silveri, delegato dell’Ordine dei Cavalieri di Malta per la provincia di Macerata, al termine della conferenza tenuta dal dott. Lodovico Valentini, sabato pomeriggio 10 marzo 2007, presso la sala “Ciacco” dell’hotel Miramare di Civitanova Marche, promossa dall’Archeoclub locale per ricordare Annibal Caro nel quinto centenario della nascita. Lo studioso delineò tutta la storia dell’ordine come riportato sopra. Annibal Caro (Civitanova Marche 1507- Roma 1566) era un affiliato dell’Ordine di Malta. Nei suoi ritratti c’è sempre la stella dell’Ordine Cavalleresco.
Si sa che il poeta americano Ezra Pound fosse contrario alla guerra degli Stati Uniti contro l’Italia. Secondo il codice militare in tempo di guerra sarebbe dovuto finire davanti ad una corte marziale statunitense e condannato per alto tradimento. Franklin Delano Roosevelt commutò questa possibile condanna nell’internamento in manicomio.
Scontata la pena, il poeta americano, compì negli anni cinquanta un viaggio in Italia e si recò in visita prima a Recanati perché innamorato di Leopardi e della sua poesia, poi a Civitanova Alta perché voleva vedere la casa di Annibal Caro. In una calda giornata estiva venne accompagnato nella cittadina ma sia lui che la sua guida non sapevano dove fosse la casa del letterato civitanovese. Chiesero dunque ad una donnetta che era poco lontana dall’abitazione di Annibal Caro. Questa con un fare tutto nostrano, rispose: “Scì, scì è quéssa la casa de Annibal Caro, ma issu è ijto a fasse li vagni e dovete spettallo prima che ‘rtorni”. Ovviamente voleva parlare del custode della casa o del proprietario che allora vi abitava. Dopo tanti mesi di internamento, Ezra Pound, che capiva anche il nostro dialetto, scoppiò in una fragorosa risata, quale non faceva più da anni come ebbe a dire lui stesso.
Raimondo Giustozzi
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