di Raimondo Giustozzi
La festa di San Giuliano.
“San Bartommè lu nostru, San Julià lu vostru”. Antichi campanilismi di tanto tempo fa. Ci tenevano gli abitanti di Morrovalle a sottolineare che anche loro avevano la festa del santo patrono, San Bartolomeo che cadeva al ventiquattro di Agosto, mentre quelli di Macerata festeggiavano San Giuliano al trentuno dello stesso mese. Le due feste ci sono tuttora e non hanno perso nulla dell’antico fascino, soprattutto la festa di “San Julià l’ospitaliero”. Certo, in questo tempo dominato dalla pandemia ancora in atto con la variante Delta, tutto è ridimensionato. Ci saranno le solite bancarelle ma ci si dovrà muovere con tutte le precauzioni: distanziamento, mascherine e Green Pass da esibire. Si spera che si possa ritornare in qualche modo a come eravamo.
Fino a pochi anni fa, non c’era persona, nata a Macerata e che per un qualsiasi motivo risiedeva fuori, in Italia ed anche all’estero, che non ritornasse il trentuno di Agosto per festeggiare il proprio patrono. Non c’è più il mercato dei piatti, meglio delle “coccette”, davanti alla chiesa di San Giovanni con “lu piazzista”, l’ambulante con la sua bancarella, che gridava: “O vendo tutti li piatti o li roppo”. Era un modo per attirare gli avventori. I piatti, alla fine della festa, venivano venduti tutti. Le bancarelle non sono più lungo il corso, ma sono state spostate attorno alle mura, lungo la “piaggia” della Torre o sul Corso Garibaldi. Si mangiano sempre le tagliatelle o li “vincisgrassi”con il sugo della papera. Una volta, a finire sulle tavole erano i piccioni che venivano catturati con le reti dai tetti delle case. Da qui l’appellativo affibbiato ai Maceratesi: “Li pistacoppi”.
Altro termine coniato per i cugini di Macerata era: “li vrugnolò”. Si sa che la campagna maceratese un tempo era ricchissima di alberi da frutta e tra questi spiccavano le prugne. Facevano un frutto talmente grande che, con il nocciolo, qualcuno era riuscito a costruire un confessionale e gli avanzava tanto legno per farci ancora tre panche di chiesa. Sbruffonate d’altri tempi che passavano di bocca in bocca tanto per raccontarsi qualcosa.
La festa era frequentata anche da chi stava vivendo gli ultimi scampoli dell’estate, prima di ritornare al Nord. Si racconta di una coppia milanese che, davanti al banco della gelateria, era rimasta affascinata dalla estrema varietà dei gelati, soprattutto al gusto di frutta. Il marito, con un fare tutto compito, chiede un gelato all’albicocca. Il gestore della gelateria fa finta di non aver capito e gli risponde che non aveva il gelato all’albicocca ma di biricocolo, termine dialettale dell’albicocca. L’avventore ha il suo gelato al gusto di albicocca e paga. Aveva senz’altro imparato un altro termine dialettale da portare nel bagaglio delle proprie conoscenze agostane, girando la provincia di Macerata, dal mare ai monti azzurri, territorio ribattezzato in un dépliant con il termine Appenninia, molti anni fa, quelli del mio ritorno nella Marche, per fare il paio con la Padania.
Giorgia, la magnifica cavalla grigia di nonno Pacifico, era pronta per salire lungo la costa di Corneto per portare i tre ragazzini con il nonno alla festa di San Giuliano. Gianni, Francesca e Stefano non c’erano mai andati. Abitavano in campagna. Avevano sempre sentito parlare della festa dalla mamma e dalla zia. “A li Maceratì jie piace la ciccia”, diceva spesso la nonna paterna. Il terreno di Santa Lucia di Morrovalle, coltivato a mezzadria dal papà dei ragazzi era povero, quello di nonno Pacifico, in contrada Acquevive, di proprietà del marchese Ciccolini, era quasi tutto in collina, solo una piccola parte in pianura, accanto al fiume Chienti. C’erano ortaggi e frutta di ogni genere e in tutte le stagioni; d’inverno, cavolfiori, rape, finocchi; d’estate, insalata, pomodori, zucchine, fagiolini, piselli, e frutta che andava dai cocomeri, ai meloni, pesche, ciliegie, albicocche. Nonno Pacifico, tutti i mercoledì della settimana si recava al mercato a Macerata a vendere i prodotti alle “vennericole”.
Attaccava “Giorgia” al biroccino e guadagnava la strada per Corneto, da qui nel capoluogo. Affabile, arguto, abituato a parlare e a contrattare il prezzo con i clienti del mercato, aveva sviluppato la battuta pronta, scaltrezza, senso degli affari, doti unite a onestà e bontà impareggiabili. Con il ricavato della vendita comprava la carne che riportava a casa. I ragazzi si meravigliavano che tutti a Macerata conoscevano nonno Pacifico. Rincasavano tardi alla sera, dopo che il nonno aveva fatto vedere loro “li fochi” e comprato girandole per i due maschietti e l’immancabile bambola per Francesca. Rimanevano a dormire per una notte dalla nonna materna.
La festa di San Bartolomeo.
Gianni ricorda la festa di San Bartolomeo a Morrovalle quando c’era la “sagra de li cocomeri”. Era una lunga sfilata di carri allegorici, addobbati di tutto punto con fiori e ghirlande, birocci trainati da mucche o carri gommati rimorchiati da trattori. Si faceva a gara tra chi costruiva il carro allegorico più bello. Il viale del Pincio traboccava di gente. Fette di cocomeri venivano distribuite a volontà.
Non mancava neppure la corsa “de li carritti”, veri bolidi costruiti tutti in legno, comprese le ruote e gli assali. Il mezzo partiva a spinta, il guidatore saltava nella parte anteriore, l’altro in quella posteriore. La partenza veniva fissata all’inizio del viale. Il percorso comprendeva tutta la discesa fino al curvone, all’altezza del bivio per il Borgo Pintura. I due piloti avevano in mano due contenitori dotati di beccuccio pieni d’olio, dovevano buttarlo ininterrottamente tra le ruote e gli assali perché il legno sfregandosi non bruciasse. Il compito del secondo era quello di guidare il primo nelle curve perché il mezzo non si ribaltasse. I carretti costruiti erano davvero belli da vedere. Qualcuno dipingeva l’immancabile cavallino rampante sulle fiancate del mezzo.
Uno spettacolo che animava la festa era il lancio dei globi aerostatici, ne era il creatore geniale, Ettore Peretti, chiamato “Capirai” perché amava intercalare in ogni suo discorso questa sua caratteristica espressione verbale. “Ne allestiva di dimensioni diverse e anche di forme stravaganti, tali da suscitare ammirazione e stupore. In occasione di una festa padronale confezionò un globo che misurava oltre quattordici metri di altezza e trenta metri di circonferenza. Dopo di lui, la creazione dei grandi globi areostatici venne continuata da Ernesto Cecchi e dai suoi figli, Tespezio, Silvano e Paolo, ammaliati dagli aerostati di Ettore Peretti” (Mario Latini, Nebbia di ricordi profumi di cose perdute, pag. 94- 95, aprile 1995, Bieffe di Recanati (MC).
Anticamente, nel giorno della festa di San Bartolomeo, si teneva la corsa dei cavalli barberi, cioè selvaggi e senza fantino. “Nella prima gara, il 24 agosto del 1744, parteciparono cinque cavalli e al vincitore, in premio, furono dati cinque scudi d’oro. Festoni con l’immagine del Santo sventolavano lungo il percorso che, dalle “Crocette”, si snodava lungo il viale del Pincio, terminando nella prima piazza del centro urbano dove era posto il traguardo e dei teloni che servivano a rallentare l’arrivo sfrenato dei cavalli aizzati dalle grida festanti di due fitte ali di folla”( Mario Latini, Miscellanea, in Attorno al castello di Morro un giorno lontano, la Nuova Foglio Editrice, Pollenza (MC), seconda edizione, settembre 1979). Ieri, come oggi, la festa di San Bartolomeo termina con i fuochi d’artificio, fatti brillare nei campi adiacenti alla strada per Montecosaro, al termine del Pincio.
Negli ultimi tempi è andata un po’ in disuso, così mi raccontano, in favore di altre feste: Calici sotto le stelle, iniziativa tenuta il sette e l’otto agosto, Colori e Incanto d’Autunno, alla metà di ottobre. Sono comunque momenti di festa vissuti nel rispetto delle norme Anticovid. Sono animate dalla Pro Loco e da altre associazioni cittadine. Il terremoto ad Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto, il 24 agosto 2016, proprio nel giorno della festa, con danni registrati anche a Morrovalle, consigliò di rimandare l’appuntamento all’anno successivo. Altre scosse di terremoto a Ussita, Visso, Castel Sant’Angelo sul Nera, Norcia, quelle del 26 e del 30 ottobre dello stesso anno, con le chiese di Morrovalle tutte inagibili, alcuni palazzi del centro storico puntellati per precauzione, hanno fatto il resto. La pandemia da Coronavirus degli ultimi due anni ha messo in ginocchio quasi tutto. Forse dovremo pensare ad uno stile di vita completamente diverso.
Le feste dell’estate, quella di San Giuliano, San Bartolomeo, San Lorenzo, San Marone, così come hanno imparato a conoscerle quelli della mia generazione, rimarranno forse col tempo un residuato del passato, come è giusto che sia, perché tutto si trasforma, anche la festa. Era comune a latitudini diverse e sotto qualsiasi cielo d’Italia. Cambiava solo il nome del santo patrono. Il riferimento religioso in molti casi era solo un pretesto. Basta leggere alcune pagine della letteratura italiana per rendersene conto: la ragazza di Bube di Carlo Cassola, La luna e i falò di Cesare Pavese, Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani, nelle pagine finali. I tre romanzi e il saggio di Gianfranco Vené, Vola Colomba, rimandano ai divertimenti tipici delle feste popolari di una volta.
“Solo me ne vo’ per la città/ passo tra la folla che non sa/ e non vede il mio dolore/ cercando te/ sognando te/ che più non ho”. La canzone, scriveva Gianfranco Vené, durava quanto un giro fatto sulle catene, chiamate calcinculo, armate di sediolini. L’abilità dei partecipanti era di afferrare un pezzo di stoffa legato ad una fune issata in alto su un sostegno posto trasversalmente. Chi riusciva ad afferrarlo aveva un giro gratis. Si vinceva di solito in due, perché chi riusciva nell’intento, era spinto con i piedi da chi era seduto sul sellino che gli era subito dietro. Chi era seduto dietro doveva calcolare bene la spinta che avrebbe dato al suo compagno e l’altezza raggiunta dalla giostra (Gianfranco Vené, Vola Colomba, pag. 57, Mondadori, Milano 1990). Oggi il Luna Park si ferma a Civitanova Marche, in zona stadio dal quindici al ventinove agosto. Gli intrattenimenti proposti vanno ben oltre a quelli offerti dai primi parchi del divertimento di una volta: le catene, l’autoscontro, la prova di forza esibita da chi riusciva a spedire un pesantissimo razzo a rotelle lungo le volute di un binario che terminava in verticale. Chi riusciva a farlo salire in cima, quando la corsa terminava con uno scoppio, destava l’ammirazione delle ragazze che si facevano all’intorno e la malcelata gelosia dei propri amici.
La festa di San Lorenzo.
La festa di San Lorenzo, a Montecosaro, cade il 10 Agosto. Gianni l’associava da sempre alla poesia di Giovanni Pascoli: “San Lorenzo, io lo so perché tanto/ di stelle per l’aria tranquilla/ arde e cade, perché sì gran pianto/ nel concavo cielo sfavilla”. E’ la notte delle stelle cadenti, durante la quale qualsiasi persona, guardando il cielo, se vede una stella cadente, può esprimere un desiderio. Sidus sideris è il termine latino per indicare la stella, da qui la parola desiderio (de sideribus, complemento di moto da luogo: dalle stelle).
Gli abitanti di Montecosaro, nel circondario, passano come gente estrosa, esuberante ed un po’ stravagante: “Montecò se non so’ matti non ce li vo’”. Si ricordano anche altri versi, comuni per altro anche a Civitanova Alta: “Montecò sta n’ cima al monte/ va a lavà ‘joppe la fonte/ l’orologio alla francese/ accidenti che paese!”. Con Civitanova Marche, Montecosaro ha condiviso anche il lungo periodo del ducato dei Cesarini, solo che i cittadini di Montecosaro ebbero il coraggio di ribellarsi allo straniero venuto da lontano e uccisero nel 1568 l’uditore generale dei Cesarini, Dario Attendolo da Bagnocavallo ed il figlio Francesco. La repressione si abbatté con inaudita ferocia: quindici cittadini sospettati d’aver fatto parte della congiura vennero impiccati ad altrettanti alberi che costeggiavano la strada principale del paese. Fino a qualche decennio fa, ogni giorno, alle 17.00 dei lunghi e prolungati lugubri rintocchi della campana issata sulla torre civica ricordavano questo episodio di storia lontana.
Negli anni settanta del secolo scorso, la festa era il palcoscenico ambito per i primi complessi musicali delle nostre zone, si chiamavano così le band di allora, che amavano farsi conoscere al grande pubblico. La festa del Santo Patrono giungeva propizia. Un anno, proprio a Montecosaro, alla festa di San Lorenzo, si esibì un complesso musicale di Santa Lucia, frazione di Morrovalle, “Gli alunni del sole”, composto da ragazzi giovanissimi.
La festa di San Marone
Sulla festa di San Marone sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Il santo, primo martire piceno, era ed è tuttora patrono di Civitanova Marche. Non c’è persona di una certa età che non ricordi la grande processione che si snodava per le vie della città, in occasione della sua festa che cade tuttora al 18 di Agosto. Un carro addobbato di tutto punto, trainato da buoi, portava sul cassone l’urna con le reliquie del Santo. Folla di fedeli, autorità civili, militari e religiose si recavano in processione sul molo, di qui, l’urna veniva caricata su uno dei tanti pescherecci e prendeva il largo. Altre imbarcazioni si univano alla prima ed il mare davanti alla spiaggia di Civitanova Marche pullulava di barche. Era una grande testimonianza di fede a cui partecipava tutto un popolo. Con il tempo la processione a mare è stata soppressa anche per evidenti motivi di sicurezza, per incidenti avvenuti, in manifestazioni analoghe, in altre parti d’Italia.
Per molti anni la festa era sentita di più solo tra la gente che abita nella città alta e si capisce che il 18 d’agosto è giorno festivo solo perché gli uffici pubblici sono chiusi, mentre quasi tutti i negozi rimangono aperti. Solo nella città alta c’è il tradizionale appuntamento con la tombola e con i fuochi d’artificio. Alcuni anni fa, l’Associazione “Quattro Porte” di Civitanova Marche Alta, anche per attirare turisti, lavorò alacremente e con discreto successo, alla rievocazione storica de “Lo Vattajò” un palio la cui origine storica si perde nella notte dei tempi. La gara si svolse in contrada Tiro a segno, fuori porta. Negli anni successivi, con la costituzione di un comitato civico, si ripropose l’uscita in mare con il peschereccio, seguito in processione dai fedeli che si imbarcavano su altre imbarcazioni. C’era sempre un grande concorso di pubblico assiepato sulle banchine del porto
In questo anno, il programma di eventi, organizzati dall’Azienda Teatri e dal Comune di Civitanova Marche, si apre lunedì 16 agosto con le Sante Messe e l’Ostensione delle Reliquie del Santo nel Santuario di San Marone (ore 7-10) e la Santa Messa alla Chiesa del Cristo Re (ore 17). Alle ore 18.00 è prevista l’uscita sul Braveheart delle Reliquie del Santo in assenza di pubblico; ciò in rispetto delle misure legate all’emergenza Covid-19 che non permettono la storica processione delle barche in mare.
Riguardo il programma religioso, è prevista per martedì 17 agosto ore 21.15 la solenne Santa Messa Ostensione del Santo Braccio del Patrono alla Chiesa di San Paolo Apostolo, mentre per mercoledì 18 sono fissate le Sante Messe dalle ore 8 alle ore 19 alla Chiesa di San Paolo Apostolo ed alle ore 7.00/8.30/19.00 quelle al Santuario di San Marone. Per lunedì 16 a Civitanova Porto e martedì 17 a Civitanova Alta sono programmati due appuntamenti relativi all’iniziativa “Borghi Aperti” che prevede visite gratuite con aperitivi, degustazioni e cene. Da mercoledì 18 a sabato 21 sono previsti alle ore 21.15 gli eventi musicali serali a Piazza della Libertà. Mercoledì 18 Pupo in concerto, giovedì 19 Sugarfriends Tribute Band di Zucchero, venerdì 20 New Fashion Giaman Dance e sabato 21 XXVII Festival del Folklore. Tutti gli spettacoli sono ad ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, nel rispetto delle normative anti-Covid 19. La prenotazione è obbligatoria al numero telefonico 0733.812936. Da martedì 17 a sabato 21 la Pinacoteca e le Mostre presenti a Civitanova Alta saranno aperte anche nell’orario 20-24 (Dal sito del comune di Civitanova Marche).
Una precisazione: Gianni, Francesca e Stefano sono nomi del tutto inventati
Raimondo Giustozzi
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