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Referendum Cittadinanza, per scegliere l’Italia del “siamo”

Designdi Daniela Ionita

Si continuerà a definire chi nasce e cresce in Italia straniero oppure finalmente vogliamo creare un paese che ascolta, vede e riconosce il percorso di migliaia di persone che vi sono nate o cresciute?

Ci sono tante voci da ascoltare, tanti visi da vedere, tante storie di vita che sono diverse tra loro, ma che hanno qualcosa in comune. L’attesa. L’attesa di un contratto stabile, da poter usare per richiedere il permesso di soggiorno. L’attesa del permesso di soggiorno, che arriva spesso giusto poco prima di doverlo rinnovare nuovamente.  Una vita sospesa, in funzione degli altri.

 

I diritti non dovrebbero essere una concessione, non dovrebbero essere discrezionali e nessuno dovrebbe dimostrare di meritarseli.

 

La legge n.91 del 1992 sulla cittadinanza italiana è una legge che ha una forte impronta biologica e classista, il metodo che l’Italia predilige per riconoscere i pieni diritti a una persona è la discendenza. Il sangue e il reddito che decidono sull’accesso completo dei tuoi diritti.

 

Per chi nasce e cresce in Italia, avendo un genitore italiano si può acquisire la cittadinanza in automatico se si è minorenni con 3 anni di residenza sul territorio.

 

Per una persona maggiorenne con cittadinanza non europea, uno dei requisiti più difficili da soddisfare è la residenza continuativa per 10 anni. A questo si aggiungono altre condizioni complesse, che possono far sentire chi non riesce a rispettarle inadeguato, escluso, e fuori luogo. Per chi invece ha cittadinanza europea, sono 4 gli anni di residenza richiesti.

 

La legge n.91 del 1992 non solo predilige la discendenza, il cosiddetto ius sanguinis, ma anche una posizione di classe privilegiata: non puoi avere la cittadinanza se hai un reddito inferiore a 8.263,31 euro, ogni anno per 3 anni precedenti alla tua richiesta e per i 36 mesi di attesa dell’esito. Reddito minimo che aumenta con il numero di persone a tuo carico nel nucleo famigliare. Sempre un reddito ti permette un alloggio adeguato, un contratto di un appartamento che puoi segnare come tua residenza, fondamentale per poterti garantire l’inizio della conta lunga relativa alla residenza stessa. Il requisito che più si trascina, il più ostico, perché non dipende sempre da te ma anche dai proprietari di casa, dalla tracciatura e dalla mancanza di errori da parte degli uffici delle anagrafi che devono tracciare ogni singolo cambio, da un precariato reddituale che non puoi permetterti, altrimenti riparte la conta, riparte l’attesa. Anche se sei arrivato in “tenera età”.

 

Non puoi avere la cittadinanza se hai fatto errori di percorso o ti sei ritrovato in situazioni che macchiano la tua fedina penale, anche se stai ancora sotto processo, e non c’è una condanna. Così come la conoscenza della lingua italiana B1 – probabilmente uno dei requisiti più oggettivi e ragionevoli – è considerata indispensabile per l’ottenimento della cittadinanza. In passato ci sono state proposte relative anche a test culturali che non hanno avuto nessun riscontro nella normativa nazionale.

 

La legge 91 del 92 è una legge obsoleta frutta di una macchina di discriminazione istituzionale sistemica. Solo i minorenni in Italia senza cittadinanza raggiungono quasi un milione secondo i dati Istat, mentre i maggiorenni hanno numeri ben più grandi. Non sempre però i dati sono attendibili o rispecchiano la realtà tracciabile. Le storie delle persone senza cittadinanza non sono eccezioni, sono vite all’insegna di leggi a cui si è soggetti ma di cui non puoi controllare il destino. Sono leggi scritte da politici che non puoi votare come tuoi rappresentanti, le stesse leggi che decidono sulle nostre vite sono leggi che non vogliono contemplare il pieno diritto politico, la piena partecipazione culturale, sociale, in quanto persona in Italiana. Si continuerà a definire chi nasce e cresce in Italia straniero di seconda, terza, quarta generazione oppure finalmente vogliamo creare un paese che ascolta, vede, e vuole riconoscere il percorso di migliaia di persone che vi sono nate o cresciute?

 

Vogliamo creare una memoria collettiva condivisa di vite sospese ed esistenze invisibilizzate, che però possano guardare a un futuro di maggiore giustizia, riconoscimento e visibilità. Tantissime persone sono parte attiva della società civile, senza esserne però riconosciute parte reale, come pieni cittadini e cittadine.  Omar Neffati, portavoce di Italiani Senza Cittadinanza, che ci ha lasciati nel 2023, diceva sempre nei suoi discorsi: “Libertà è partecipazione. Se partecipare non è possibile perché bisogna essere cittadini, allora migliaia di persone con background migratorio non sono libere”.

 

Chi è corpo a-politico è escluso dai processi decisionali collettivi e privato della possibilità di incidere sul proprio futuro. Rimangono solo i doveri – gli stessi dei cittadini italiani – ma senza il riconoscimento dei diritti corrispettivi. Una condizione che crea cittadinanza di serie A e di serie B, dove si è soggetti alle regole senza avere voce in capitolo.

 

Una situazione profondamente contradditoria, in netto contrasto con l’articolo 3 della Costituzione italiana, il quale stabilisce il principio di uguaglianza come fondamento dello Stato democratico. Continuare a negare piena partecipazione a chi vive stabilmente qui significa mantenere una disuguaglianza strutturale ingiustificabile, che mina la coerenza dei valori repubblicani e il patto democratico su cui si fonda la convivenza civile.

 

Il referendum sulla cittadinanza nasce da un dibattito politico sul tema paralizzato da tempo e affronta una tematica che riguarda migliaia di persone invisibili agli occhi delle agende politiche degli ultimi anni. Con questo referendum l’intenzione è di fare la storia, insieme come collettività e società civile italiana che si mobilita e riconosce i valori che vuole promuovere: una cittadinanza migliore, una partecipazione reale. Questo referendum esprime anche la volontà di de-razzializzare una legge che esplicita la differenza all’accesso della cittadinanza in base a una nazionalità, quella dalla nascita che nessuno sceglie. Questo primo referendum sulla cittadinanza è anche frutto della precisa volontà di voler puntare i riflettori su un sistema istituzionale razzista, che genera doppi standard, discriminazione ed esclusione sociale e politica, perpetuando però lo sfruttamento lavorativo di migliaia di corpi migranti che da anni lavorano in Italia ma che sono vincolati da permessi di soggiorno precari, legati spesso alle decisioni dei propri datori di lavoro.

 

Votando per un’Italia del siamo e della cura, della collettività e della solidarietà, riusciremmo a iniziare a decostruire leggi che mirano al precariato, allo sfruttamento, all’isolamento, all’esclusione e alla disuguaglianza, iniziando a smantellare questo sistema per co-costruire un Italia più giusta, un’Italia reale che rispecchia l’Italia che è già qui.

 

Il lavoro è lungo, non c’è tempo di fermarsi dopo l’8 e il 9 giugno. È un percorso che deve necessariamente essere fatto di alleanze, di reti, di mobilitazioni dal basso per arrivare nei luoghi di potere e dimostrare che il potere siamo noi, la società democratica, anti-fascista, anti-razzista che vuole un’Italia decoloniale, più stabile, meno precaria, con meno italiani senza cittadinanza. Un’Italia plurale che viene realmente rispecchiata da leggi più giuste, ma anche da una riforma culturale e sociale che vede la partecipazione di tutte le pluralità nei luoghi decisionali, di cultura, della politica, dell’arte, e della società.

 

Daniela Ionita

Presidente dal 2023 del Movimento Italiani Senza Cittadinanza.

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