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La neolingua dei furbi che dà la colpa alla vittima

fonte Internet

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di Paolo Mieli

Sia a destra sia a sinistra, uscito di scena Draghi riemergerà chi vuole ridurre le armi a Kiev e le sanzioni a Mosca

Antica scuola comunista, quel furbone del governatore campano Vincenzo De Luca ha preso tutti in contropiede. Appena ha sentito che Giuseppe Conte (reduce da un successo elettorale proprio nella sua regione) annunciava una manifestazione nel segno della colomba, ha preso per il braccio il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi e ha convocato una parata tutta sua. Il 28 ottobre, per giunta, nel centenario della marcia su Roma. Meno lesti di De Luca, tutti o quasi i dirigenti del Partito democratico, piccoli e grandi, si sono messi in sintonia con i tempi nuovi. Così, per gettarsi tra le braccia del Movimento Cinque Stelle, stanno cercando un modo non disdicevole di invertire la rotta e abbracciare la causa pacifista. I deputati Pd al Parlamento europeo, in otto, assieme a leghisti e pentastellati, hanno fatto proprio un emendamento di due deputati della sinistra irlandese anti Nato, Mick Wallace e Clare Daly. Altri europarlamentari Pd, compresa l’antifona, si sono trattenuti. Del loro capodelegazione, Brando Benifei, si è capito soltanto che nel caos ha votato prima sì e poi no (o viceversa). Chiaro che non si stavano dividendo tra chi era più o meno favorevole al negoziato. Bensì sul riavvicinamento al M5S.

Nelle settimane iniziali della guerra d’Ucraina, Enrico Letta era stato il più esplicito sostenitore delle ragioni degli aggrediti. Mentre altri leader politici italiani si perdevano in uno specioso dibattito sulle responsabilità remote del conflitto nonché sull’opportunità o meno di armare l’Ucraina e sanzionare la Russia, l’Italia ha avuto — anche grazie a Letta — una posizione coerentemente filoatlantica. Per merito soprattutto di Sergio Mattarella e di Mario Draghi. Così come dei terzopolisti. E persino, le va riconosciuto, di Giorgia Meloni, la quale, pur stando all’opposizione, in politica internazionale si è sempre schierata con il governo.

Uscito di scena Draghi, le cose saranno meno semplici. Giorgia Meloni avrà il suo daffare nel tenere a bada la voglia matta di Salvini e Berlusconi di riallacciare il dialogo con Putin. E a sinistra, pur restando Letta segretario pro forma per i prossimi sei mesi, già si annunciano festeggiamenti arcobaleno sulla scia di Conte e De Luca. In un labirinto di formule nelle quali sarà arduo individuare dov’è che si è imboccata la via che conduce ad un’unica meta: togliere (o ridurre) le armi a Kiev e togliere altresì (o ridurre) le sanzioni a Mosca.

Per quel che riguarda il tragitto sarà sufficiente dare un’aggiustatina alle parole. Basterà presentare come tappa dell’«escalation» ogni atto di guerra ucraino. Mai invece quelli russi siano anche missili su un campo giochi di Kiev. Quelle saranno sempre «reazioni». Il capo del governo di Kiev andrà poi definito «guitto», «fantoccio», un «irresponsabile», al quale lo stesso Blinken è costretto a inviare «pizzini perché si dia una calmata». La primavera scorsa le parti erano invertite. Biden e il segretario della Nato Stoltenberg avrebbero — secondo le stesse fonti — «bloccato tra marzo e aprile una bozza d’accordo Mosca-Kiev». Adesso invece il presidente statunitense, evidentemente, starebbe cercando un’intesa con Putin ed ecco che Zelensky, capo del «partito della guerra a tutti costi», prende iniziative inconsulte per far naufragare quelle trattative.

Il che legittimerebbe una lunga serie di stravaganti domande: fino a dove vuoi spingerti Zelensky? Vuoi destabilizzare Putin portandolo a compiere gesti inconsulti? Intendi forse trascinarci in una guerra mondiale? Dicci una buona volta a quali parti del tuo Paese sei disposto a rinunciare e lascia a noi il compito di trattare al posto tuo dal momento che tu non hai la serenità necessaria per dialoghi di questo genere. E fallo in fretta perché siamo stufi di pagare aumenti in bolletta per comprarti armi sempre più sofisticate. Nel frattempo, limitati a difendere le posizioni che hai già e non azzardarti a compiere azioni di guerra su terre che furono sì Ucraina ma che ora sono state incamerate dai tuoi aggressori.

Forse un giorno qualcuno di noi si stupirà di aver potuto far propri ragionamenti di questo genere. Capirà quel giorno l’implicito danno che — come ha scritto ieri su queste pagine Angelo Panebianco — si sta facendo all’idea stessa di Europa. C’è tuttavia un modo per salvare almeno in parte l’onore e la faccia. Facciamo sì che quelle «grandi manifestazioni per la pace senza bandiere di partito» partano ogni volta dai cancelli romani dell’ambasciata russa. E portiamo lì cartelli in cui sia ben identificabile il volto dell’uomo al quale è riconducibile l’attuale carneficina. Un luogo, villa Abamelek, tradizionalmente disertato dai cortei antimilitaristi dei decenni passati (eccezion fatta per quelli radicali di Marco Pannella). E anche dalle manifestazioni (non tutte, per fortuna) di questi giorni. Per i tristi motivi che ben si capivano allora. E che ben si capiscono anche oggi.

dal Corriere della Sera

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