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Dialoghi in corso. Metafora e propaganda: il linguaggio vincente della Destra

Fonte internet

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Luigi Corvaglia by Micromega

L’immagine dell’accerchiamento e la “narrazione di salvazione”. La strategia della destra si è palesata tutta nel discorso del presidente della Camera, Lorenzo Fontana.

Giorgio Gaber diceva in un suo monologo che “gli americani sono portatori sani di democrazia. Nel senso che a loro non fa male, però te l’attaccano”. Comunque la si pensi in merito alla “esportazione della democrazia”, l’ironia sulla formula non è fuori luogo. Infatti, il concetto non passerebbe un serio vaglio logico, perché l’esportabilità prevede una entità fisica e determinata, come un bene di consumo, e presuppone che gli esportatori abbiano titolarità a questa opera in quanto possessori di detto bene in una forma compiuta. Per la fortuna dei designers concettuali, non è per merito del rigore logico che le formule hanno successo. È stato il linguista George Lakoff a mettere in evidenza che modellare termini non ha solo una funzione estetica, ma è cosa terribilmente pratica. Infatti, ogni qual volta ascoltiamo una parola, nel nostro cervello si attiva una preesistente cornice (frame), cioè un inquadramento mentale che orienta la nostra visione del mondo. Inquadriamo le parole e vi diamo senso in base alla cornice che possediamo. Secondo Lakoff la mente si struttura e funziona metaforicamente.

La metafora della “esportazione” attiva un frame afferente all’economia che rende comprensibile il concetto e ne legittima l’azione. Così, quando il nuovo presidente della Camera dice “la famiglia naturale è sotto attacco. Vogliono dominarci e cancellare il nostro popolo”, utilizza metafore di guerra che attivano un frame di autodifesa. Ciò lo pone nel medesimo solco occupato dalla propaganda russa quando questa parla dello scontro metafisico in atto fra le forze del Bene (la Russia, appunto) e quelle del Male (il Satana occidentale). Nell’uno e nell’altro caso, chi parla si presenta come vittima virtuosa sotto attacco.

Si badi che a rendere omologhe le posizioni non è il fatto che sotto attacco sarebbero i medesimi valori, quelli di cui solo la Russia sarebbe oggi custode, ma il fatto che entrambe le retoriche propongono l’immagine dell’accerchiamento e producono la medesima “narrazione di salvazione”. È questa un ancestrale struttura narrativa con ruoli ricorrenti, quali quello dell’Eroe, della Vittima, del Cattivo e degli Aiutanti. L’attivazione di questo copione, fissato nei circuiti cognitivi del cervello, è particolarmente efficace. Oggi l’anima russa si concepisce minacciata dall’Occidente, quindi Vittima del Cattivo atlantista portatore del degrado valoriale; ciò fa di Putin, condottiero e al contempo difensore della società tradizionale, l’Eroe che il copione prevede. Orwell ci aveva visto giusto. Non che l’Occidente sia esente da simili proposte, dato che il paradigma della salvazione si era già visto all’opera quando, sull’onda dello “scontro fra civiltà”, George Bush giustificava l’intervento in Iraq titillando simili frame (e offrendo lo spunto per un monologo di Gaber). Nell’uno e nell’altro caso, questa retorica ha funzionato producendo ampio consenso. Proprio il tema del consenso ci induce a riflessioni ulteriori. Infatti, la lezione della linguistica cognitiva è che è attraverso le metafore che si costruiscono le narrazioni. Sennonché, la persuasione, quindi la propaganda, che è creazione del consenso, si basa proprio sulle narrazioni.

Come si è visto, particolari dispositivi narrativi veicolano messaggi in grado di modificare la percezione e guidare le scelte delle persone. Così riferirsi all’invasione di un territorio sovrano come ad una “operazione militare speciale” significa attivare un frame difensivo e terapeutico, quasi come si trattasse di aggredire una malattia con un intervento chirurgico – si, anche un’operazione chirurgica è una aggressione, ma a fin di bene -, in grado di lasciare fuori dal campo visivo quanto disturberebbe l’osservatore. Persuadere è quindi produrre un nuovo framing, cioè un processo tramite il quale si selezionano e sottolineano alcuni aspetti e temi che fondano nuove metafore, in modo tale da promuovere particolari interpretazioni, scelte o soluzioni. La propaganda non è che marketing applicato alla politica. Immaginare di persuadere un elettorato, o ottenere il consenso di un popolo, facendo appello alla logica e alla analisi puntuale dei dati equivale a illudersi di vendere un’automobile descrivendone, in totale onestà, aerodinamica, materiale di costruzione, accelerazione e consumi in comparazione con tutte le altre presenti sul mercato. Sarebbe la reclame più noiosa e inefficiente che si possa immaginare.

La via della persuasione non passa per quello che lo psicologo Daniel Kahneman definisce “Sistema 2”, cioè il pensiero logico, sottratto alle emozioni, focalizzato ed analitico, ma tramite il ben più economico “Sistema 1”, veloce, automatico, che non prevede sforzi né controllo volontario. Ne consegue che gli abili politici, come pure gli abili venditori e gli scaltri leader di gruppi settari, traggano vantaggio dalla parsimonia cognitiva dell’essere umano facendo leva, ben più che sulla sua razionalità, sulle emozioni e i sugli errori sistematici della sua mente (bias).

In questo processo è fondamentale il linguaggio. Chi ascolta con frequenza un certo linguaggio penserà sempre più nei termini dei frame e delle metafore associate a quel linguaggio. Le narrazioni che ne derivano non sono solo parole ed immagini, ma “possono entrare nel nostro cervello e fornire modelli che non solo seguiamo ma definiscono chi siamo”, dice Lakoff.

Ora, dei frame vincenti delle destre si è già detto. Essi sono basati su metafore afferenti al dominio del “padre autoritario”, severo, capace di proteggere la famiglia da un mondo pericoloso e minaccioso, autorità morale pronta ad insegnare ai figli i valori della forza e dell’autodeterminazione e a distinguere nettamente bene e male. Il linguaggio conservatore è intriso di metafore di guerra (“siamo sotto attacco”, “l’invasione dei migranti”) e di minacce ben rese da analogie con disastri naturali (“onda migratoria”).

I progressisti, invece, sembrano ormai da tempo a corto di frame vincenti. Il loro modello del “genitore premuroso” è aperto al mondo e prevede empatia, equità, senso di comunità ed aiuto per i deboli, tutte cose che non sembrano essere state negli ultimi anni in grado di produrre immagini, frame e narrazioni di eguale efficacia.

Esiste un semplice test che lo dimostra. Per esprimere i concetti base della sua visione un conservatore usa espressioni brevissime. Ad esempio, “sgravio fiscale”. Egli si appella quindi ad un frame consolidato, quello per cui le tasse sono un peso da cui il contribuente deve essere “sgravato”. In un qualsiasi dibattito televisivo, il progressista esprime invece i suoi concetti con elaborate disquisizioni; questo perché i suoi ascoltatori non hanno frame consolidati a cui fare riferimento. Le scienze cognitive hanno un nome per questo fenomeno: ipocognizione, cioè la mancanza di un inquadramento condiviso e relativamente semplice che possa essere evocato con due parole. Mancanza di idee, incapacità di lettura e scarsità di narrazioni praticabili espongono a passi falsi comunicativi fra i cui esempi si possono citare le frasi “le tasse sono bellissime” o “la sicurezza non è né di destra né di sinistra”.  Ciò significa accettare le premesse logiche e aderire inconsapevolmente al frame dell’avversario, rinforzandolo.

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