Vittorio Macioce
Quello della Russia è sempre più un viaggio a ritroso, fuori dal tempo, come un’ossessione, con l’idea di rifiutare qualsiasi traccia di Occidente. Non c’è solo l’Ucraina in gioco in questa folle storia. Kiev semmai è il simbolo di un tradimento, di un’eresia, di un varco che apre le porte alle contaminazioni della liberal democrazia. È per questo che tutto rischia di diventare ancora più complicato, al di là della propaganda del Cremlino, dei referendum farsa, degli alibi di un’aggressione che Putin non ha il coraggio neppure di chiamare con il suo vero nome.
C’è un solco che ormai divide senza futuro l’Europa dalla Russia, l’Ovest dall’Est, la stessa idea del cristianesimo. Nulla, davvero, sarà mai più come prima. Le parole di Kirill, primo del suo nome, patriarca di tutte le Russie e presunto faro della Chiesa ortodossa, sono di fatto un appello alla guerra santa. «Andate coraggiosamente ad adempiere al vostro dovere militare. Ricordate che, se morirete per il vostro paese, sarete con Dio nel suo regno, nella gloria e la vita eterna». È la promessa del paradiso conquistato con le armi e con il sangue.
È il segno che il regime autoritario di Mosca sta abbracciando il totalitarismo, in una metamorfosi che assomiglia a una fuga verso il nulla. Non è il ritorno al sacro, ma uno spettacolo che sotto il nome di Dio nasconde una sfacciata e grottesca professione di fede verso il nichilismo. È una tragedia che si presenta in televisione con il volto della farsa. I più assennati se ne stanno andando, fuggono dall’assurdo, altri non ne hanno la forza o le possibilità, molti si preparano a resistere e combattere contro la maledizione di uno zar riemerso dalle pieghe del tempo, ma c’è anche una Russia profonda che ascolta e ci crede. È lì che Putin affonda le radici del suo potere. È quel continente oscuro che rende ancora reali il suo potere e le sue menzogne.
Non c’è purtroppo neppure da stupirsi. Vladimir Michajlovič Gundjaev, nome secolare del patriarca, si è mosso quasi sempre in simbiosi con l’altro Vladimir. Si conoscono dai tempi del Kgb e le loro carriere sono il frutto di una rete di relazioni che all’inizio lì a messi lì come teste di legno per accorgersi poi, troppo tardi, che stavano seduti su troni difficili da scalfire. Kirill, come Putin, ha dialogato a lungo con l’Occidente, con la Chiesa di Roma, ricordando a tutti che suo nonno, sacerdote, fu prigioniero del gulag delle isole di Solovki.
La famiglia Gundjaev conosce il terrore, ma non è bastato. Il sedicesimo patriarca di Mosca ha benedetto la guerra e ha definito «forze del male» chiunque provasse a opporsi a Putin. Non è più in grado di evitare lo scisma, con gli ortodossi ucraini che non possono certo riconoscersi nella fede di Kirill. Epifanio, metropolita di Kiev, chiede da tempo sanzioni per il patriarca di Mosca. «Kirill è la voce del Cremlino, uno degli oligarchi. L’Occidente impone sanzioni a tutte queste categorie di persone per influenzare e contrastare la politica aggressiva del Cremlino. Kirill è identico a tutti i propagandisti, oligarchi e funzionari già sanzionati, l’unica differenza è il vestito: lui indossa abiti religiosi». Non certo poveri. Kirill, proprio come gli oligarchi, conosce il sapore della ricchezza.
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