Intervista al Prof. Alberto Niccoli, presidente della Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano
L’annunciata riforma del sistema di credito cooperativo, discussa e concertata (non senza attriti) dal Governo Renzi con Federcasse, associazione delle BCC italiane, e Banca d’Italia, è stata finalmente approvata dal Parlamento. LO SPECCHIO Magazine ne parla col Prof. Alberto Niccoli, Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano, cercando di prestare particolare attenzione alla realtà marchigiana, caratterizzata da un tessuto di piccole e medie imprese che, con difficoltà, cerca di far fronte alla crisi.
La critica che viene attualmente rivolta al modello mutualistico e locale delle banche di credito cooperativo è che la confusione di ruoli tra amministratori, soci e clienti provochi fenomeni di clientelismo, minando la solidità finanziaria degli istituti.
Che cosa ne pensa?
Mutualismo e localismo presentano aspetti positivi e aspetti negativi nello stesso tempo.
Gli aspetti positivi sono legati al fatto che coloro che lavorano all’interno della banca e coloro che dirigono la banca (amministratori, collegio sindacale, ecc.) conoscono la realtà del territorio nel quale la banca opera.
Ciò dovrebbe aiutare a fare scelte oculate per il territorio, per le imprese e le famiglie che vi vivono.
Nello stesso tempo, però, il fatto di operare in un territorio piccolo, dove i rapporti tra i soggetti sono spesso molto stretti, crea il rischio che l’attività sia svolta a vantaggio di alcune persone, gruppi, centri d’interessi, e non a vantaggio di tutto il territorio e della banca.
Purtroppo, all’interno della banca che presiedo, alcuni anni fa si è verificata questa situazione che ha spinto la Banca d’Italia e la Federazione regionale delle BCC a nominare come presidente della banca una persona totalmente estranea all’ambiente.
Io sono stato nominato alla fine di ottobre del 2011; quando sono entrato per la prima volta all’interno della sede della banca vi sono entrato come socio e presidente, perché non vi ero mai entrato prima.
Ciò è avvenuto perché la Banca d’Italia e la Federazione avevano ritenuto che queste commistioni di condizionamenti locali avessero reso non più indipendente il comportamento di quanti avevano svolto attività all’interno di questa banca, sia come amministratori che come dipendenti.
Quindi, mutualismo e localismo presentano da una parte grandi potenzialità, ma dall’altra contemporaneamente un grande rischio.
Quello che la riforma vuole realizzare è avere delle banche che siano di dimensioni più grandi rispetto a quelle attuali: in Italia vi sono circa 370 BCC, nelle Marche in questo momento ve ne sono 19, su una popolazione complessiva di circa 1.600.000 abitanti.
Questo significa che, nelle Marche, la quantità di abitanti per ogni BCC è dell’ordine di 80.000-90.000 persone in media, perciò le dimensioni sono molto ridotte e i rischi di cui parlavo prima relativamente alti.
Inoltre, le modalità con cui vengono scelti gli amministratori, cioè le elezioni in cui i soci votano, qualche volta corrono il rischio di generare risultati tali che le persone elette hanno grande notorietà all’interno della base sociale ma non sempre competenze adeguate per impegni che stanno diventando progressivamente più rilevanti e più difficili da soddisfare.
Forse, in qualche misura, essi dovrebbero essere accompagnati nella loro formazione, non soltanto attraverso attività di tipo occasionale, ma anche attraverso formazione precedente che li conduca a capire cosa significano alcune norme emanate dalle autorità di vigilanza e a valutare adeguatamente il rischio dell’attività della banca, in particolar modo per quello che concerne i prestiti che la banca eroga.
La riforma presentata a febbraio dal Governo differisce dal modello francese del Crédit Agricole, fortemente centralistico, a cui inizialmente Renzi stesso aveva dichiarato di ispirarsi.
Il mantenimento della licenza bancaria in mano alle singole BCC anche in caso di adesione alla capogruppo nazionale garantisce sufficiente autonomia agli istituti locali?
Bisognerà vedere come si svilupperà in concreto l’esperienza delle BCC nel prossimo futuro.
Il modello francese prevede, sostanzialmente, che la struttura centrale sia l’unica banca, le altre banche di credito cooperativo sono, di fatto, sportelli di Crédit Agricole con autonomia molto limitata.
La soluzione che si sta realizzando per l’Italia è una via di mezzo, nel senso che prevede che esistano una o più banche organizzate come capogruppo, con tante BCC che potranno aderire all’una o all’altra capogruppo, e contemporaneamente un’autonomia decisionale per ciascuna di queste strutture periferiche del sistema tanto più ampia quanto migliore è stata nel passato la gestione di ciascuna di queste banche di credito cooperativo.
Vi saranno delle BCC in cui i soci eleggeranno tutti quanti gli esponenti del consiglio d’amministrazione e per le quali la capogruppo darà indicazioni molto generali sui limiti operativi: si tratta delle banche gestite bene, con livelli di rischiosità più bassi.
Per altre BCC, invece, la capogruppo potrà determinare un certo numero di componenti del consiglio, potrà dire che alcune persone non sono all’altezza del lavoro da svolgere, fino al potere di revoca, in casi eccezionali, delle nomine effettuate dall’assemblea dei soci.
Quanto migliore è la qualità della gestione della singola BCC, tanto maggiore sarà l’autonomia di cui essa potrà godere.
Credo che questa sia una soluzione equilibrata e spero che sarà valutata non soltanto la situazione in un singolo momento, ma qual è stato il percorso fatto da una singola BCC.
Ho parlato prima dei motivi per i quali sono presidente di questa BCC, delle difficoltà che aveva sofferto; spero che nei confronti della nostra BCC si veda che rispetto ad allora c’è stato un notevole miglioramento e non valga soltanto la fotografia della situazione attuale, spesso condizionata da quel che è successo nel passato, ma anche l’evoluzione che c’è stata nel corso del tempo.
Rispetto al testo firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la nuova versione emendata dalla Camera prevede la possibilità per le BCC di confluire, invece che nella capogruppo nazionale, in una SpA sufficientemente capitalizzata (200 milioni di euro) a cui cedere le singole licenze bancarie.
Tale modifica potrebbe rappresentare un’opportunità per preservare la “marchigianità” del sistema di credito cooperativo della nostra regione?
L’uscita dal movimento cooperativo nazionale va meglio compresa nella sua natura.
Il movimento cooperativo italiano ha due istituzioni che se ne occupano dal punto di vista nazionale: Federcasse e Iccrea Holding.
Federcasse è l’associazione che si occupa principalmente della natura mutualistica e cooperativa del sistema, quindi ciò riguarda gli aspetti politici e di vigilanza.
Da questo punto di vista, se escludiamo le raiffeisenkassen (BCC della provincia autonoma di Bolzano), probabilmente tutte le altre BCC confluiranno nel sistema unitario di Federcasse.
Vi saranno poi una o più capogruppo che sigleranno contratti di coesione con le singole BCC; Iccrea Holding, fornitore nazionale di servizi per le banche di credito cooperativo, si candida a ricoprire tale ruolo per il sistema Federcasse.
Le raiffeisenkassen avranno addirittura la possibilità di aderire a una capogruppo esterna al territorio nazionale, probabilmente confluiranno nel sistema austro-tedesco, anche per ragioni linguistiche.
C’è stato poi il tentativo da parte di alcune BCC marchigiane di aderire a Cassa Centrale, la capogruppo costituita dalle BCC del Trentino, ma il testo approvato dalla Camera prevede che solo BCC con sede legale all’interno della provincia autonoma di Trento potranno aderire a tale sistema, a meno che lo stesso non sia costituito come capogruppo nazionale, e non della singola provincia di Trento. Altrimenti, le banche marchigiane non potranno aderire a meno di non spostare la propria sede legale da un comune delle Marche a un comune del Trentino, il che di fatto significherebbe perdere la natura di BCC marchigiana.
Sandro Palombini e Marco Birindelli, rispettivamente Presidente e Vicepresidente della Banca di Credito Cooperativo di Civitanova Marche e Montecosaro, sostengono che i tempi imposti alle BCC dal Governo (60 giorni dall’entrata in vigore della legge) siano troppo stretti per discuterne.
È d’accordo con loro?
La BCC di Civitanova Marche e Montecosaro ha sposato le posizioni di Cassa Centrale, di cui parlavo prima.
Vi sono alcune BCC, ad esempio quella di Roma, o gruppi di BCC, come in Toscana e Piemonte, che potrebbero costituire capogruppo (autonomamente o tramite fusione di più banche), però i tempi sono talmente stretti da rendere molto difficile un’evoluzione di questo genere.
La soglia di patrimonio di 200 milioni di euro è particolarmente alta, mettere d’accordo le 19 BCC marchigiane, soprattutto in un periodo di condizioni di redditività particolarmente limitate, è molto difficile.
Fino a non molti anni fa il numero di sportelli rappresentava un importante indice dello sviluppo finanziario di un territorio.
Oggi, in uno scenario tecnologico mutato da innovazioni quali online banking e dispositivi “mobile”, è ancora vero che nel settore bancario “più grande è più bello”?
Innanzitutto, va tenuto conto di un elemento che, secondo me, qualifica il mondo delle BCC.
La clientela delle BCC è spesso costituita da famiglie con capofamiglia di età elevata, come si può notare facilmente osservando le persone in fila a uno sportello.
L’età media è relativamente alta, le persone che appartengono a tali classi di età hanno una concezione della banca ancora molto legata al contatto diretto con l’impiegato allo sportello, col cassiere, con una persona che sta in ufficio e parla a tu per tu, e sono meno capaci di gestire i servizi bancari tramite Internet e smartphone.
In qualche misura, per questa parte del mercato italiano il vecchio assetto organizzativo continua ad avere un ruolo non trascurabile.
Man mano che passa il tempo, la situazione cambierà: i giovani richiedono sempre di più modalità di gestione dei servizi bancari più vicine a quelle proprie delle banche elettroniche e home banking.
Da questo punto di vista, credo che ci sarà una progressiva evoluzione che renderà via via sempre meno aggiornato il sistema basato sui vecchi sportelli, che saranno sostituiti da strumenti più flessibili e più mobili, con persone che stiano non dietro lo sportello bensì che vadano in giro a incontrare la clientela, per quanto riguarda sia le famiglie sia le imprese.
Si tratta di un cambiamento molto significativo, il numero dei dipendenti delle banche di credito cooperativo è molto alto, ma è un processo che può essere gestito, non dico con tranquillità, ma organizzandosi in modo corretto nel corso del tempo.
È chiaro che con le nuove tecnologie anche dimensioni relativamente piccole riescono a ottenere costi competitivi, ma nel mondo che ci aspetta i controlli rimarrano difficili da gestire: la vigilanza sta aumentando i propri interventi e richiede informazioni sempre più complesse, che solitamente solo strutture relativamente grandi riescono a monitorare e comunicare con tempestività.
Per esempio, la quasi totalità delle BCC marchigiane ha accentrato l’attività di controllo di secondo e terzo livello presso le strutture della Federazione regionale.
Grazie alla nuova legge, anche tali strutture potranno essere organizzate sotto forma di società per azioni, permettendo la creazione di un sistema più piramidale e complesso rispetto a una struttura composta semplicemente da una singola capogruppo e priva di livelli intermedi.
Insieme ad Andrea Presbitero, Lei è autore di “Microcredito e macrosperanze”, edito con successo da Egea Libri, e recentemente ha partecipato all’inaugurazione dello sportello regionale dell’Ente Nazionale per il Microcredito, presieduto da Mario Baccini, anch’egli presente a Porto Recanati per l’evento.
Social lending e microfinanza possono rappresentare opportunità significative per le BCC, da sempre attente al mondo del no profit e fautrici di un approccio etico alla finanza?
Il microcredito in Italia assume due forme nettamente diverse, che vengono spesso confuse l’una con l’altra.
Un primo tipo di microcredito è quello che permette a persone che hanno difficoltà economiche, se non in condizioni di povertà, di pagare le bollette del telefono, quelle della luce e così via, sono cioè interventi di tipo caritativo.
Questa forma di generosità in genere viene gestita da organismi che possono essere laici o religiosi ma che comunque sono ispirati tutti quanti alla stessa logica: c’è una persona in condizioni di bisogno che va aiutata ad affrontare le difficoltà in cui si trova.
Io sono un cattolico praticante, in tutta la Bibbia sono centinaia gli episodi in cui si dice che ognuno deve cercare di aiutare i poveri e le vedove, perché a quell’epoca spesso i mariti morivano purtroppo a età molto basse e le vedove si ritrovavano sole con tanti bambini.
È un mondo dove il ruolo del microcredito è aiutare chi si trova in difficoltà a superare queste difficoltà, spesso però i soldi dati in queste circostanze si trasformano in catene di Sant’Antonio, senza che la catena si interrompa mai.
Lo sportello inaugurato a Porto Recanati, con il supporto dell’Ente Nazionale per il Microcredito, secondo me rappresenta un buon esempio del secondo tipo di microcredito essendo finalizzato, invece, alla realizzazione di iniziative economiche che permettano attività produttive.
Non credito alle famiglie quanto piuttosto a nuove imprese, con persone che abbiano idee innovative dal punto di vista del contenuto, quindi non aiutare a finanziare con prestiti i consumi ma a realizzare progetti d’investimento.
Parliamo di somme relativamente piccole ma che, però, permettono l’inizio di attività produttive di cui c’è bisogno; queste iniziative possono poi svilupparsi.
In Italia il periodo migliore dello sviluppo economico è rappresentato dagli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, quando tante iniziative nuove sono state finanziate da persone provenienti dal mondo agricolo, da operai di piccole imprese, da piccoli artigiani.
A quell’epoca, tutto sommato, era relativamente facile costituire una nuova impresa, realizzarla e averla redditizia in tempi relativamente brevi; oggi tutto è diventato più complicato, però ci sono anche molti ragazzi con competenze tecniche e livello educativo sufficienti per dar vita a esperienze di microimprenditorialità.
Ciò accade spesso negli Stati Uniti, dove l’impresa nasce piccola, poi cresce molto rapidamente e trova sostegno in istituzioni quali merchant banking e venture capital.
Tali istituzioni in teoria esistono anche in Italia, ma con peso molto ridotto.
Il merchant banking è la “banca del mercante”, cioè una banca finalizzata ad attività di produzione immediata, mentre le società di venture capital finanziano imprese molto rischiose con tassi di sviluppo potenziali molto alti.
In altri Paesi questo è molto più semplice che in Italia perché è più facile trovare le risorse necessarie per collocare in Borsa imprese di questo genere.
Probabilmente c’è soprattutto necessità di cambiare, in misura molto forte, la mentalità.
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