LO SPECCHIO Magazine

Cultura. Poesia dotta, poesia popolare … o poesia tout court?

 

Lino Palanca

La letteratura popolare nasconde sovente autentici capolavori, ai quali manca nient’altro che un nome noto in calce. Il che pone, per servirsi di un termine nato con gli studi omerici, la questione delle origini: a capo di un testo, musicato o no,  c’è un persona che l’ha pensato e creato oppure qualcuno (uno o più) che ha raccolto qua e là del materiale già circolante per poi metterlo insieme con un certo ordine? O ancora, si tratta di poesie e canzoni che si sono fatte da sole come avanzava la critica romantica?

Esclusa da gran tempo la terza ipotesi, l’indagine moderna tende a dare il suo a ciascuna delle altre due. Lo lascio dire al poeta-giornalista-saggista Claude Roy, principe della tradizione popolare francese, che l’ha fatto certamente meglio di me. Roy sosteneva che c’è sempre un autore che crea la canzone popolare, la quale si sviluppa poi in un va-et-vient dallo chansonnier al contadino, al soldato, alla lavandaia fino a tornare arricchita, levigata, fortificata, ad essere rifinita dallo chansonnier (non lo stesso, ma chi lo sa, magari sì) in un testo che conserverà nel tempo la sua struttura essenziale pur restando soggetto a varianti dettate da circostanze e diversità dei luoghi.

 

La poesia e la musica popolari sono una grande scuola di vita, che ci fa crescere nella comprensione del mondo, dell’ambiente nel quale viviamo, delle persone che ci sono accanto:

Aimer la poésie populaire – è sempre Claude Roy – n’est pas tomber en enfance, c’est remonter en humanité.

E se vogliamo fidarci di più della gente di casa nostra, diamo almeno retta a Giacomo Leopardi quando nello Zibaldone di pensieri (31 marzo 1829) ci suggerisce che

non è raro che le genti del volgo e i fanciulli abbiano di molte cose opinioni migliori e più ragionevole che i sapienti.

Non è perché lo ha detto Leopardi, ma è verità riscontrata in tanti e tanti studi e ricerche che la poesia firmata abbia spesso attinto a quella anonima popolare traendone beneficio ai propri fini.

Giosue Carducci privilegiò le note malinconiche di uno stornello a chiusura della sua raccolta Rime e ritmi (1895):

Fior tricolore, / tramontano le stelle in mezzo al mare, / e si spengono i canti entro il mio cuore.

Gabriele D’Annunzio in un passaggio del romanzo Il trionfo della morte (1894) mette una canzone in bocca a un gruppo di ragazze e ne rivendica l’origine abruzzese:

Tutte le funtanelle se so sseccate, / pover’amore mi’! more de sete (confrontare nel maceratese: Fiore de pepe, / tutte le fontanelle sad’è seccate, / tutte le fontanelle sad’è seccate, / poro amore mia more de sete).

Ci sono poi dei temi dove le testimonianze abbondano vedi quello del balcone (o della finestra) sotto il quale la bella è sovente invocata dall’innamorato.

Leopardi nello Zibaldone di pensieri (1, 43 – 1818) riporta: Facciate alla finestra, Luciola, decco che passa lo ragazzo tua, / e porta un canestrello pieno d’ova / mantato co le pampane de l’uva. Messi da parte, con pensiero riverente, i balconi di Shakespeare (Romeo and Juliet) e di Rostand (Cyrano de Bergerac), va rilevato che al fascino della finestra non si sottrassero in molti, persino il caustico Giuseppe Gioacchino Belli (Vièttene a la finestra, o ffaccia bbella, / petto de latte, faccia inzuccherata …n. 1676 dei Sonetti Romaneschi, ispirato a un noto stornello amatriciano) né lo poté Pascoli (M’affaccio alla finestra e vedo il mare, incipit di numerosi stornelli marinari: Me ‘ffacciu a le fenestra e ‘eggu el maru, / tutte le barche le ‘eggu ‘riare, / quella de l’amor mia nun vol turnare, si canta al Porto). E via esplorando in Italia e in Francia e in Spagna e altrove.

Un altro tema universale: l’amore che vince ogni tabù, che supera ogni ostacolo: Se moneca te fai, prete me fagu, / in che cunventu vai te jengu dietru. È quanto a Porto Recanati si ricorda di uno strambotto di origine toscana, costruito sul botta e risposta fra il corteggiatore e la ragazza sul tema delle trasformazioni, dove a un certo punto si canta: Se tu ti fai pescatore e vien’ a me a pescà, / io mi faccio suora, ‘n convento me ne vado – Se tu ti fai suora e ‘n convento te ne vai, / io mi faccio prete e ti vengo a confessà; nello jesino: Se monica ti fai, frate mi faccio, / se piji lo marito te l’ammazzo; nell’alto maceratese: Lo mio amore è gitu a Roma a mète / e m’ha mannatu a di’ che se fa prete, / monica me farò io dopo lo mète (va bene farsi monaca, ma prima finiamo il lavoro); nel veneto istriano: Vojo farme muneghela e in convento vojo andar – Mi sarò el bon fratarelo per vegnirve a confessar:

Volendo, possiamo anche espatriare, in Francia per esempio: Si tu te rends grand’ dame dans un couvent / je me rendrai prêtre, prêtre prêchant / je confesserai les dames dans ce couvent – Si tu te rendais prêtre, prêtre prêchant / moi je me rendrais rose sur un rosier / jamais galant n’aura mes amitiés.

Si canta nella Capitale: S’er papa me donasse tutta Roma / e me dicesse lassa ‘ndà chi t’ama, / je direbbe no Sacra Corona, / val più l’amore mio che tutta Roma. Non si creda che lo stornello sia nato all’ombra di San Pietro e il testimone che ce lo certifica è proprio di lusso trattandosi di Molière che nel Misanthrope (1666) fa citare al protagonista, Alceste, una vecchia canzone popolare: Si le roi m’avait donné / Paris, sa grand’ ville, / et qu’il me fallüt quitter / l’amour de ma mie, / je dirai au roi Henri: / “Reprenez votre Paris; / j’aime mieux ma mie, / J’aime mieux ma mie.

Ma il tema del valore incomparabile della propria bella in terreno letterario è assai più antico ancora. Ne La Castellana di Vergi, racconto cortese scritto in Francia alla metà del XIII secolo, ai versi 769-772 si legge: … se il mondo intero, / e cielo e terra e paradiso / Dio mi donasse, non lo prenderei /se in cambio dovessi perdere voi [1].                                                                                                                 

[1] Sul tema: Lino Palanca, Le undici di notte e l’aria oscura, Canti popolari, filastrocche e altro tra Potenza e Musone, Recanati, Bieffe Grafiche,2013.

 

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