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Educazione siberiana Il colonialismo russo in Alaska spiega molte cose sull’aggressione in Ucraina

Per secoli l’impero zarista prima e l’Unione sovietica poi hanno avviato campagne coloniali lungo i confini esterni, abbattendo governi, sterminando le popolazioni locali, e reprimendo con la violenza i tentativi di ribellioni

Nell’estate del 2020, l’amministrazione di Sitka, città-distretto dell’Alaska, ha deciso di rimuovere la statua di Aleksandr Baranov. Russo, mercante e conquistatore, «coinvolto in episodi di razzismo, violenza e ingiustizia», secondo la valutazione del consiglio cittadino. Baranov è stato il primo governatore dell’Alaska russa e capo della Compagnia russo-americana, società simile alla più nota Compagnia inglese delle indie orientali. Eppure, a differenza di quanto avvenuto per il colonialismo inglese – ma anche francese, spagnolo e portoghese – «i crimini dell’espansionismo russo in America sono stati in gran parte ignorati», scrive Casey Michel in un articolo uscito su Politico.

Nella narrazione russa, il colonialismo riguarda solo gli altri imperi, mai quello degli zar. L’attuale ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato che la Russia non si è mai «macchiata dei sanguinosi crimini del colonialismo». Tuttavia, l’eredità coloniale della Russia è più presente che mai: secondo analisti e studiosi, è uno dei motivi che contribuiscono a spiegare l’invasione russa in Ucraina del 2022.

Stando alle versioni ufficiali sull’espansione, la Russia si limitava a raggruppare popolazioni vicine per due scopi: difesa territoriale e accumulazione della ricchezza, che poteva e doveva essere rubata a chiunque.

La presenza della Russia in Nord America risale al 1741, quando l’esploratore Vitus Bering avvistò per la prima volta le isole Aleutine dell’Alaska. All’epoca, Bering stava cercando le prove dell’esistenza di una «grande terra», che si diceva essere a est della Siberia: un avamposto semi-mitico di ricchezza inesplorata che avrebbe potuto arricchire i benefattori a San Pietroburgo. Mentre Bering non avrebbe vissuto abbastanza per esplorare questa «grande terra» – morì poco dopo, vittima dello scorbuto – i suoi compagni si resero rapidamente conto che le voci su una ricchezza quasi inesauribile erano vere.

L’Alaska si rivelò una miniera di pellicce: volpe, foca, lontra. Centinaia di migliaia di pelli iniziarono ad arrivare in occidente, contribuendo ad arricchire San Pietroburgo. Non erano però i russi a sparare agli animali. Le isole delle Aleutine e gran parte della fascia meridionale dell’Alaska erano già abitate da decine di migliaia di popoli indigeni: Aleuti, Tlingit, Inuit e Yupik. Erano loro a cacciare per i coloni.

Quando arrivarono i russi, proprio come avevano fatto con i popoli della Siberia, e come avevano fatto gli esploratori britannici, francesi, spagnoli e portoghesi nelle zone più calde delle Americhe, trattarono le popolazioni locali come poco più di un ostacolo subumano o, al più, come un mezzo. Non ci volle molto tempo dopo l’approdo russo affinché si verificasse il noto schema dei crimini coloniali, che causò il declino delle popolazioni native.

Quasi immediatamente, i colonizzatori russi iniziarono a mettere in atto lo stesso manuale che avevano perfezionato in Siberia. Il primo passo era noto come iasak, i russi richiedevano agli indigeni dei tributi, solitamente pellicce. Per garantirne il rispetto, i commercianti russi attuavano il secondo elemento del manuale: l’amanaty, in cui sequestravano ostaggi e li tenevano prigionieri fino al completamento dei requisiti di iasak.

Non ci fu solo l’Alaska, però. Per centinaia di anni, le forze zariste hanno avviato campagne coloniali lungo i confini esterni: hanno abbattuto i governi, sterminato le popolazioni locali, scatenato violenze su molti di coloro che si ribellavano. Sulle coste del mar Nero, del mar Caspio, dell’Artico e del Pacifico orientale. Come ha sostenuto lo storico Timothy Snyder, Mosca ha da tempo guardato all’Ucraina con uno sguardo coloniale e ora, guidata da Vladimir Putin, cerca non solo di conquistare le province ucraine, ma anche di causare l’estinzione nazionale dell’intero Paese.

Lo zar insiste ripetutamente sul fatto che la Russia deve essere riconosciuta come una «grande potenza». Ma questa formulazione implica il dominio di altri popoli e di altri Paesi. Secondo la logica di Putin, la Russia non può essere una grande potenza senza nazioni «soggette» che ne dimostrino il dominio. L’Ucraina, la sua colonia più antica, oltre che geograficamente e culturalmente più vicina, non poteva sfuggire alla presa coloniale di Mosca.

 

Linkiesta, 02 novembre 2023, Esteri