LO SPECCHIO Magazine

Libri. Federico Rampini, Oriente e Occidente, massa e individuo

di Raimondo Giustozzi

Il libro di Federico Rampini, Oriente e Occidente, massa e individuo, quinto volume della collana Geopolitica, capire gli equilibri del mondo, edita dal Corriere della Sera, non è un saggio di geopolitica in senso stretto. L’autore compie un viaggio a ritroso nel tempo e racconta dello scontro tra Occidente e Oriente, come ci siamo amati e odiati, combattuti o copiati. Il punto di partenza è la conoscenza che la Grecia ci ha tramandato dell’Oriente attraverso la tragedia di Eschilo, I Persiani  e l’esito dello scontro tra le città greche e l’Impero Persiano. Una vulgata, che ha attraversato in Occidente la narrazione di questo epico scontro di civiltà agli antipodi, pone l’accento su una peculiarità della Grecia classica. Il punto di forza delle città stato dell’Ellade era rappresentato dall’importanza che loro attribuivano all’individuo, mentre la civiltà persiana poneva l’accento sulle masse. Partecipazione alla vita democratica della propria città stato, potere assoluto rappresentato dall’imperatore persiano, che manovrava a suo piacimento le masse, provenienti da territori lontani tra loro ma vicini, se pensiamo alle grandi strade persiane che collegavano il centro con la periferia, questa è la narrazione che è pervenuta fino a noi di questo scontro di civiltà.

Dopo Eschilo c’è la narrazione del primo grande storico, Erodoto, suddito greco, nato nel 484 a. C. ad Alicarnasso (oggi la città di Bodrum in Turchia), uno dei tanti greci che vivono immersi nella propria cultura greca ma finiti sotto il sovrano asiatico. Erodoto è il primo storico che cerca di ricostruire la storia vera, non mescola indistintamente leggende e miti con le testimonianze dei contemporanei. Non sempre l’operazione gli riesce, ma il suo resoconto delle guerre persiane è considerato una fonte ricchissima di notizie, benché incompleta e qualche volta tendenziosa. Erodoto non è un teorico ma uno straordinario narratore. Fu Cicerone a definirlo il padre della storia. I Persiani dovrebbero vincere perché hanno un esercito immenso ma sono guidati da un sovrano dispotico. I Greci vincono attraverso una libera alleanza di città, ciascuna delle quali è gelosa della propria autonomia. Non basta la massa a determinare la superiorità. I barbari, così venivano definiti tutti i popoli che non parlavano la lingua greca, sono tantissimi, noi siamo pochi, ma abbiamo una marcia in più. Erodoto formula appena questa idea, altri saranno più categorici. Questa convinzione entra a far parte dell’idea di Occidente (Federico Rampini, Oriente e Occidente, massa e individuo, pp. 24- 25, Milano, 2022).

Un altro motivo per leggere il libro, Rampini lo dichiara nella prefazione al volume, di 183 pagine, diviso in 10 capitoli, con una prefazione, l’introduzione, la bibliografia. Scrive il giornalista già inviato del Corriere della Sera: “Le figure di Vladimir Putin e di Xi Jinping hanno riportato di attualità il tema antico del dispotismo orientale. L’opposizione tra sistemi politici, che ci appare come scontro fra civiltà e modelli etici, si declina lungo un asse geografico Est – Ovest. L’aggressione russa in Crimea e in Ucraina, e altre gravi tensioni geopolitiche, hanno rilanciato modelli di pensiero strategico del primo Novecento. Halford Mackinder scriveva nel 1904: Chi domina l’Europa Orientale domina la Heartland, chi controlla la Heartland comanda sull’isola mondo, il continente euro asiatico. Chi conquista il potere sull’Isola – Mondo sarà il padrone del pianeta. Stalin ieri, Putin oggi sono stati attratti da questa teoria. Anche gli USA dai tempi di Franklin Delano Roosevelt a J. Baden hanno sempre mostrato interesse ai destini dell’Europa. La Repubblica Popolare Cinese di Xi Jinping si è inserita di prepotenza in questo scenario. Il nuovo continente Euro – Asiatico spazierà da Lisbona fino a Vladivostok. E’ l’asse Est – Ovest che attraversa anche l’Europa.

“Oggi Xi Jinping o Putin associano l’idea di Occidente a un’impotenza dovuta al nostro declino terminale, irreversibile”. La guerra in Ucraina al momento, anche se è una prova del tutto imprevista, pur se annunciata, basta la sua previsione che ne faceva otto anni fa Henry Kissinger, sta dimostrando al momento una forte coesione tra tutti gli Stati Europei, la rinascita dell’alleanza militare di difesa della NATO contro l’aggressione della Federazione Russa, un’ alleanza che pochi anni fa stava vivendo quasi in uno stato comatoso, ma soprattutto sta facendo conoscere agli Europei l’Ucraina che Putin non considera affatto una nazione ma una propaggine della Federazione Russa. Nostalgia dell’Unione Sovietica che non c’è più, desiderio di rivincita sull’Europa, una guerra fredda persa con la dissoluzione dell’URSS, la narrazione romanzata di un unico popolo russo che nasce dalla monarchia RUS di Kiev verso la metà del IX secolo dopo Cristo, l’odio storico contro gli USA e l’avvicinamento alla Cina Popolare sono gli scenari del momento attuale. Un altro asse che sta nascendo anche se in modo più labile è quello che unisce il Sud – Est asiatico (con nazioni mussulmane come l’Indonesia e la Malesia), l’Oceano Indiano, il Golfo arabico – persico, fino a lambire le coste del Corno d’Africa e del Mediterraneo Meridionale. Entro un raggio di cinque ore di volo dal Golfo vivono tre miliardi di persone con un’età media di ventisei anni, e una natalità ancora dinamica.

“L’Oriente è un luogo dell’anima oltre che della geografia. Da duemila anni ce lo rappresentiamo, ne abbiamo fatto un mito attraverso Omero e Alessandro Magno. Da oriente ogni mattina si alza il sole, e da laggiù sono arrivate a ondate le orde umane che ci hanno invaso, conquistato, civilizzato. E anche contagiato di germi. Certo. Qualche volta abbiamo restituito il colpo, andando a colonizzarli; ma nei tempi lunghi dei tre millenni ha prevalso il flusso contrario. Per ovvie ragioni: l’Europa non esiste, geograficamente è la piccola propaggine periferica di un’enorme massa terrestre che è il continente asiatico. Aprite un atlante, osservate com’è minuscola l’Europa. E’ anche indistinguibile, inseparabile, nulla ci divide davvero dalla nostra madre che è il blocco asiatico. Eurasia, infatti, è l’unica definizione esatta. La concentrazione umana è stata sempre maggiore ad est” (Federico Rampini, Oriente e Occidente, massa e individuo, pag.13, Milano, 2022).

L’emancipazione femminile in Occidente è storia recentissima. Un viaggio nell’antichità ci sprofonda nei dubbi. Le dee dell’induismo vivono la propria sessualità con un piacere che non è concepibile per la Madonna o le sante e i martiri cristiani. I primi missionari che arrivarono in Cina restavano sconcertati di fronte all’assenza di senso del peccato tra uomini e donne. L’Occidente, attraverso Marco Polo, immagina l’Oriente come un luogo dei piaceri più liberi. Il materiale delle Mille e una notte farà il resto. Alimenterà i sogni dell’Occidente per secoli. Apollo, la divinità greca rappresenta la razionalità maschile. Dioniso viene da Oriente, viene associato con la natura femminile, con il caos delle pulsioni sessuali e della procreazione. E’ il capitolo dedicato al tema. L’Asia è femmina o l’impero dei sensi (Ibidem, pp. 47- 60).

L’Occidente ha conosciuto il lontano oriente attraverso il vicino oriente. Quando noi eravamo ellenici o latini, Oriente significava Asia Minore. Spezie, scoperte scientifiche e prodotti ci giunsero dalla remota Cina attraverso la mediazione del Vicino Oriente. I Turchi vennero proprio dalla Cina, gli Ottomani erano in origine uno di quei popoli delle steppe che attraversarono l’Asia intera per spingersi fino a noi. L’Occidente vedrà l’Oriente come il luogo della spiritualità, dell’ascetismo, del distacco dalle cose terrestri. E’ una spinta che attraversa tutti gli anni sessanta del secolo scorso. Regno del silenzio, dello spirito, della trascendenza, l’Oriente lo diventa solo dopo la prima rivoluzione industriale. Il Romanticismo tedesco, nell’Ottocento, impone due convinzioni: l’India è la culla primordiale di tutta la nostra civiltà, il buddismo è l’antidoto ai mali della modernità. Dopo i Romantici tedeschi arrivano Nietzsche e Schopenhauer. Herman Hesse con il romanzo Siddharta forma generazioni di giovani europei e americani. Un filo congiunge il Siddharta ai poeti beat degli anni cinquanta. I Beatles compiono il proprio viaggio in India alle sorgenti del Gange, nel 1968, l’anno dei più grandi cambiamenti nel costume diffuso tra i giovani europei e americani.

Per molti anni, l’Oriente ci ha studiato, poi ci ha copiato. La Cina, oggi, ci ha superati in molti campi della tecnologia e dell’economia. Il Giappone aveva iniziato il proprio miracolo economico già nella seconda metà dell’ottocento. I suoi riferimenti erano l’industria inglese e l’esercito prussiano. Fu la prima potenza asiatica a sconfiggere la Russia zarista (1905). La Cina ha abbandonato l’agopuntura e la medicina tradizionale, per dotarsi di ospedali con apparecchiature occidentali. Mentre noi inseguivamo un mito dell’Oriente, loro si sono costruiti un Occidente modello (Federico Rampini, Introduzione, in “Oriente Occidente, massa e individuo”, pp. 14- 19).

 

Indice del libro

Prefazione

Introduzione

  1. L’antefatto: noi Greci, loro Persiani
  2. Duemila anni per scoprirsi a vicenda
  3. L’Asia è femmina o l’impero dei sensi
  4. Orientalismo culturale
  5. Occidentalismo: copiare i barbari
  6. Il buddhismo fra noi: alle radici del mistero
  7. Cindia alla resa dei conti con l’islam
  8. Giappone, il tao e il tè
  9. Irresistibile, incompreso: lo yoga
  10. Germi e scontro di civiltà

Note dell’autore

Bibliografia

 

Spigolature

Di questo Oriente la civiltà più grande è la Cina. L’abbiamo scoperta ai tempi di Marco Polo, del missionario Giovanni da Pian del Carpine, del monaco fiammingo Guillaume de Rubrouk, fino ad arrivare al gesuita, padre Matteo Ricci, “Un gigante per il ruolo che ebbe nei rapporti tra Occidente e Oriente, mai abbastanza presente nella memoria storica degli italiani. Perfino Macerata non è generosa nello studiare e celebrare la sua eredità” (Note1 e 2).

Padre Matteo Ricci sbarca in Cina nel 1583, prima a Zhaoquing nella regione di Canton, poi a Shaozhu, Nanchang. Il gesuita non la lascerà più, la Cina è destinata a diventare una seconda patria, per quasi trent’anni. Muore nel 1610 a Pechino, dove la sua tomba è tuttora venerata. Con il nome cinese di Li Madou, che vuol dire “Il saggio venuto da ovest”, padre Matteo Ricci è il continuatore dell’opera di Marco Polo a un altro livello. Il gesuita fin dal suo arrivo in Cina è sbalordito dal livello culturale di quella civiltà; incomincia a impararne la lingua, poi a studiare Confucio e a tradurlo in latino; guarda soprattutto al proselitismo fra mandarini, le élite, i sovrani. Non otterrà quasi nulla in questo intento. Il bilancio finale del proprio lavoro di missionario, che vuole conquistare alla religione cristiana nuovi fedeli, è assai modesto. Nonostante l’eclettismo, quasi un ecumenismo ante litteram, c’è chi lo percepisce come un attentatore all’identità culturale e al sistema dei valori della civiltà cinese. Trova delle resistenze anche tra i superiori della Compagnia di Gesù.

Nell’insegnamento di Confucio non c’è posto per Dio né per l’immortalità dell’anima; tantomeno per l’Inferno e il Paradiso. Un vero confuciano pratica la virtù senza attendersi ricompense in una vita ultraterrena. La casa di Matteo Ricci è aperta a tutti, dialoga con tutti e stringe amicizia con le élite del paese. Si conquista il rispetto dei mandarini, la classe che detiene il potere culturale, soprattutto per la sua grande mentalità scientifica, nella quale vedono un’alternativa alla superstizione in cui le masse cinesi erano precipitate, rispetto alla dottrina originaria predicata da Confucio. Con l’aiuto di altri gesuiti – scienziati giunti in Cina, tra i quali, i padri Rho e Schall, corregge alcune imperfezioni del calendario lunare cinese, con grande vantaggio per l’organizzazione dei lavori agricoli. Il suo apporto diventa prezioso nei concorsi pubblici attraverso i quali si reclutavano i funzionari dell’amministrazione pubblica. La sua memoria prodigiosa era il risultato di un metodo mnemonico imparato da sempre durante gli studi nella Compagnia di Gesù. Il Palazzo della memoria è uno dei tanti metodi trasmessi da padre Matteo Ricci alla civiltà cinese; è una tecnica che consiste nel memorizzare cifre, vocaboli, segni di una lingua straniera, concetti, persone, eventi storici, associandoli a stanze di un immaginario palazzo con ripostigli, armadi, cassetti, tutti custoditi mentalmente. La tecnica era una strategia vincente per passare i concorsi di ammissione nell’alta burocrazia imperiale, esami difficilissimi e iper selettivi che imponevano grossi sforzi mnemonici (Ibidem, pp.40- 42).

L’eredità più importante di padre Matteo Ricci verrà celebrata due secoli dopo da una rivoluzione atea, anticlericale e laica: l’Illuminismo. Charles Louis de Montesquieu (1689- 1755), nel libro Lo spirito delle leggi dedica un intero capitolo all’impero della Cina. La Cina, dove non ha mai messo piede, per Montesquieu non può che essere amministrata da un governo dispotico per l’immensità del suo territorio e per una popolazione che già nel suo tempo era la più popolosa del pianeta. Nella visione confuciana della vita, il sovrano cinese è il padre del popolo. E’ la vulgata che vige ancora oggi nell’Occidente. La Cina per le sue dimensioni, per la complessità della sua storia non può che essere governata che da un sistema dittatoriale. François – Marie Arouet, noto con il nome d’arte Voltaire (1694- 1778) apprezza dei cinesi la religione atea o deista, il divino è dappertutto, un principio immanente che è diffuso nella natura. Nel Dizionario filosofico, opera fondamentale dell’Illuminismo, alla voce Cina esalta la religione dei letterati, senza superstizioni, senza leggende assurde, senza dogmi che insultano la ragione e la natura. Nella religiosità cinese c’erano superstizioni e leggende, come oggi, ma Voltaire si riferiva all’interpretazione corretta, purista, di Buddha e Confucio. In un’altra opera fondamentale, Il secolo di Luigi XIV, il filosofo francese esaltava il sistema del reclutamento dei funzionari statali attraverso concorsi pubblici, quando nell’Europa di allora le cariche pubbliche andavano di pari passo con i titoli nobiliari, o venivano vendute al migliore offerente, quando il re aveva bisogno di fare cassa (Ibidem, pp.44 – 45). Certo, Voltaire era un filosofo non uno storico. La storia è molto più complicata, ambigua e contraddittoria rispetto agli schemi astratti che cerchiamo di applicarle. Anche Confucio, tanto esaltato da Voltaire e dall’Illuminismo, in Cina è stato più volte osteggiato e i suoi libri messi all’indice (Ibidem, pp.45).

Cina e India per qualche migliaio di anni e fino all’inizio del XVII secolo sono di gran lunga le due civiltà più ricche del mondo. Sono due colossi demografici, e finché l’economia è essenzialmente agricola, la ricchezza di una nazione è proporzionale alla dimensione della popolazione. L’Asia è il centro anche perché da lì parte tutto: quelle onde sismiche che sono le emigrazioni di massa (spesso legate al cambiamento climatico) in cui le orde delle steppe si rovesciano verso il medio Oriente e l’Europa, annientando barriere e devastando equilibri politici; anche le epidemie capaci di decimare popoli hanno i loro laboratori di incubazione dentro Cindia (Neologismo Cina – India), non foss’altro che per la solita ragione demografica, cioè la probabilità che virus e pestilenze maturino là dove convivono promiscuamente le più dense masse di umani e animali.

Le prime incursioni europee verso le coste della Cindia vengono di volta in volta tollerate o respinte, controllate o contenute, senza un allarme eccessivo. Poi tutto cambia. L’apertura dei mercati del Nuovo Mondo, la trasformazione delle Americhe in una gigantesca succursale dell’agricoltura europea, la scoperta delle miniere d’argento e d’oro (Perù, Messico), che sconvolgono la liquidità monetaria mondiale, danno all’Europa le risorse per sostenere nuove ambizioni. Inizia il colonialismo inglese, portoghese, francese. “Gli inglesi per un misto di cinismo, astuzia e buona sorte riescono a infilarsi nelle contese fra vari stati sovrani indiani, li mettono gli uni contro gli altri, fino a impadronirsi di un sub continente molto più grande della loro isoletta nordica. Improvvisamente, quel lembo di terra, che si affaccia sull’Atlantico, diventa il centro del mondo. E’ una storia recentissima. Le rappresentazioni che ci facciamo dell’Oriente- della sua umanità, della sua storia, della sua cultura – si compongono in modo decisivo nell’epoca in cui andiamo a colonizzarlo. In particolare nel settecento e nell’ottocento, Francia e Inghilterra si annettono vaste aree dell’Asia per amministrarle in modo permanente ed estrarne le ricchezze.

Compito dell’Occidente, secondo una nostra narrazione, sarà quello di educare masse di popolazioni per condurle verso una civiltà superiore. Rudyard Kipling nei suoi romanzi e nelle sue poesie fa riferimento agli amministratori coloniali, i figli dell’Ottocento che vengono costretti all’esilio (naturalmente è un esilio volontario e dorato da cui molti torneranno ricchi; molti altri però vi moriranno di malattie tropicali) hanno bisogno di una dottrina sistematica su come si governano territori immensi e popoli così diversi da noi; gli studiosi lavorano per dargliela. Sul fronte artistico, l’immensa mole di nuove conoscenze sull’Asia fornisce un materiale straordinario a scrittori, pittori e musicisti. Due secoli di produzione scientifica, letteraria, artistica sull’Asia hanno generato dei veri capolavori, e una caterva di opere mediocri, oggi dimenticate. Anche i capolavori sono pieni di equivoci, incomprensioni, oppure semplici falsità. Separare gli uni dagli altri è quasi impossibile. La storia è una costruzione ideologica, una narrazione che viene tramandata e poi modificata da una generazione all’altra, via via che cambia ciò che noi vogliamo far dire al nostro passato (Ibidem, pag. 64).

 

Nota 1.

Quanto scrive Federico Rampini non corrisponde del tutto a verità. Non è vero che “Macerata non è generosa nello studiare e celebrare la sua eredità” (Ibidem, pag. 39). Il 18 giugno 2009, in preparazione al quarto centenario (1610- 2010) della morte di padre Matteo Ricci, è stato presentato in anteprima mondiale, in Vaticano, il docufiction e libro “Matteo Ricci, un gesuita nel regno del Drago”, realizzato da Gjon Kolndrekaj, regista italiano di origine kossovara. Per l’occasione, erano presenti, oltre all’arcivescovo Claudio Maria Celi, presidente del Pontificio delle Comunicazioni Sociali, Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata e Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede. Durante la serata è intervenuto e ha preso la parola per la prima volta e in zona extraterritoriale vaticana, l’ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia Sun Yuxi.

“La duplice opera di Gjon Kolndrekaj punta a raggiungere un pubblico ampio, ad iniziare dai giovani, sia attraverso la parola scritta che attraverso l’immagine. Un lavoro unico e riconosciuto a livello internazionale, con il patrocinio del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, Curia Generalizia della Compagnia di Gesù, Diocesi di Macerata, ministro degli Affari esteri italiano e con il benestare della Repubblica Popolare Cinese” (Gjon Kolndrekaj, Matteo Ricci, un gesuita nel regno del Drago, quarta pagina del libro, Roma, 2010).

 

Nota 2.

Filippo Mignini, professore emerito di storia della Filosofia nell’Università di Macerata, socio dell’Accademia dei Lincei, studioso del pensiero medievale e del pensiero moderno con particolare riferimento a Spinoza, da oltre vent’anni studia e promuove la figura e l’opera di Matteo Ricci, di cui dirige la pubblicazione delle Opere presso Quodlibet. Direttore dell’istituto Ricci (2001- 2011) ha curato diverse grandi mostre sul gesuita maceratese, con relativi cataloghi, tra cui Macerata 2003, Roma e Berlino 2005, Pechino, Shanghai, Nanchino e Macao 2010. L’esposizione di Macao è stata visitata ufficialmente dal Presidente della Repubblica  Giorgio Napolitano. Nel 2011 ha curato un’esposizione ricciana al Parlamento europeo di Strasburgo.

Quanto ho scritto è solo una precisazione che mi sono sentito in dovere di fare. Ora si può anche dire che Macerata e la sua università non hanno fatto abbastanza per far conoscere il pensiero, l’opera e l’attività di padre Matteo Ricci. Qualcosa è stato fatto e si va facendo. Certo, una piccola città delle Marche, quale è Macerata e la sua prestigiosa università non sono conosciute dal grande pubblico né dagli studiosi. Il libro di Gjon Kolndrekaj e il CD-ROM allegato al testo sono molto interessanti. Integrano quanto scrive Federico Rampini nel suo libro Oriente e Occidente, massa e individuo, pubblicato la prima volta nel 2020, quindi diversi anni dopo la pubblicazione del docufiction e libro di Gjon Kolndrekaj (2009).

 

Raimondo Giustozzi