LO SPECCHIO Magazine

Musica. “Ne me quitte pas”, Jacques Brel

foto sito Not Now Music

di Lino Palanca

All’inizio degli anni ’70 i testi di Brel cominciano ad apparire nei manuali scolastici in Belgio e in Francia e ciò benché, a differenza del suo amico e collega Georges Brassens, egli abbia sempre dato più importanza all’interpretazione che al testo e alla musica delle sue canzoni. Il percorso di Brel, dallo sconosciuto night club dei suoi inizi a Bruxelles al tempio parigino de l’Olympia, non è stato senza ostacoli: l’educazione borghese e, secondo lui, anche bigotta di quand’era il piccolo Jacky; le incomprensioni in famiglia con la moglie e poi la figlia maggiore Chantal; l’invidia di tanti colleghi chansonniers; le trappole predisposte dai pescecani del business dello spettacolo.

D’altra parte, simili inciampi sono quelli che può attendersi qualunque “grande” in qualunque dominio dell’attività umana. Brel ha superato tutto grazie alla sua forza di volontà e alla sua tenacia di stampo belga, la sua belgitude o brelgitude come amava dire: un’appartenenza spesso maledetta, a volte dimenticata, mai rinnegata. E alla fine ha vinto, è riuscito a vivere il sogno di parlare al mondo intero, senza limitazioni né censure, il crudo e a volte violento linguaggio del révolté e di suggerire a un pubblico immenso la tenerezza e la malinconia dell’uomo-artista prigioniero della pietà per tutti i vagabondi, i sofferenti, i poveri, i marginali. Infine, per i Miserabili: “Se fossi stato poeta avrei voluto essere Rimbaud, se compositore Mozart. Ma non sono né l’uno né l’altro: sono un cantante.

Rimbaud, l’uomo dalle suole di vento, l’angelo della rivolta, ma pure l’adolescente che piange la morte del suo paese delle meraviglie, del suo Far West mille volte sognato, mai conquistato. Mozart: l’ironia amara e la disillusione di fronte alla crudeltà del mondo delle bonnes personnes, e anche la mestizia per la rincorsa vana dell’inafferrabile felicità.

Statua di Brel in Place de la Vieille Halle, Bruxelles – foto sito Brussels

Questo era Jacques Brel, cantante. La canzone era il suo mondo o almeno il solo che riconoscesse come suo.

Definizione della canzone, secondo Brel: Non è né un’arte maggiore né una minore. Solo non è un’arte, ma un terreno poverissimo perché imbrigliato in tutta una serie di discipline. Vi sfido a esprimere anche una piccola idea in tre strofette e tre ritornelli. Sto adesso scrivendo una canzone che forse intitolerò: Un bambino. Se mi date dieci pagine vi potrò spiegare ben bene che cos’è l’infanzia. Le canzoni, però, durano tre minuti, le dieci pagine si riducono a un verso.

Brel sembra non rendere giustizia all’impegno della poesia di entrare nel mondo della canzone. Prévert, Aragon, Queneau, Vian, Mac Orlan e tutti gli altri che ci hanno provato … ma perché se la poesia, secondo Jacques, è ailleurs? E tuttavia, scrive il suo biografo Olivier Todd: Le qualità maggiori di Brel sono l’assenza di ermetismo nei suoi testi, il suo vocabolario limpido, la sua sintassi diretta, quasi parlata.

E allora, che cosa abbiamo qui,se non un poeta malgré lui ?

 

Ne me quitte pas (Resta con me)

Violenza e dolcezza a un tempo in questa canción desesperada, dichiarazione d’amore alla donna che non può dimenticare. Non è mai tardi perché il cuore riprenda ad ardere, mai.

 

Resta con me / dimentichiamo / tutto si può dimenticare / perché svanisce subito

dimenticare il tempo / dei malintesi / e quello perso / vai a sapere come [1]

dimenticare quei momenti / che a volte uccidevano /a colpi di perché / il cuore della felicità

resta con me / resta con me / resta con me / resta con me

 

Ti offrirò / perle di gioia / venute da paesi /dove non piove mai [2]

scaverò la terra / fin dopo la mia morte / per coprire il tuo corpo / d’oro e di luce

costruirò un luogo / dove l’amore sarà re / dove l’amore sarà legge / e tu sarai regina [3]

resta con me / resta con me / resta con me / resta con me

 

Resta con me / per te inventerò / parole prive di senso / che tu sola capirai [4]

ti parlerò / di quegli amanti / che due volte hanno visto / incendiarsi i loro cuori

ti racconterò / la storia del re / morto per non aver potuto / trovarti sulla sua via

resta con me / resta con me / resta con me / resta con me

 

Sovente hanno visto / tornare il fuoco / su da un antico vulcano / creduto troppo vecchio

ci sono così pare / terre bruciate / capaci di dar vita al grano / meglio del miglior aprile

e quando scende la sera / fiammeggia il cielo / dove il rosso e il nero / non si sposano

resta con me / resta con me / resta con me / resta con me

 

Resta con me / non piangerò più / non parlerò più / resterò là

a guardarti / mentre canti e poi ridi/ lascia ch’io diventi /l’ombra della tua ombra

l’ombra della tua mano / l’ombra del tuo cane

resta con me / resta con me / resta con me / non lasciarmi.

[1] Villon, Testament XXII, non sa darsi conto della fuga della giovinezza dalla sua vita: A piedi, certo, non se n’è andata, / né a cavallo: ahimé, e allora, come?

[2] Accenti baudelairiani: “L’invitation au voyage”: Là regnano l’ordine e la bellezza / il lusso, la pace e la voluttà.

[3] Una sorta di vassallaggio d’amore degno dei troubadours provenzali.

[4] L’amore non equivale al buon senso.