LO SPECCHIO Magazine

Contro la resa | I nuovi deliri del criminale Putin (e di quelli che lo considerano affidabile)

Putin dice che senza aiuti occidentali «l’Ucraina durerebbe solo una settimana», che non ha cominciato la guerra e che Prigozhin si è suicidato. E in Italia c’è chi crede che sia necessario trattare con questo gaglioffo

C’era proprio bisogno di riportare l’ultima sparata di Vladimir Putin? Verbale, si intende, perché quelle criminali non si contano più: l’ultima ha ucciso cinquantuno civili, massacrati da un missile durante una veglia funebre a Hroza, nella regione di Kharkiv. Questa è la condotta di guerra russa e questi sono i sottotitoli al discorso al Valdai forum: «Se le forniture si fermassero domani, (l’Ucraina) resisterebbe solo una settimana».

Eccola qui la ricetta putiniana per la pace: smettete di mandare munizioni, chiede all’Occidente – che dalla Slovacchia agli Stati Uniti, passando per l’inutile summit di Granada, fino ai ricatti elettorali polacchi, ci sta già mettendo del suo. Smettete di aiutare Kyjiv, è il sottotesto, così possiamo finire il lavoro. E cioè completare l’annientamento. Modello Hroza, modello Bucha, modello Yahidne.

È questo il lucido, cinico realista politico con cui qualcuno vorrebbe affrettarsi a trovare un compromesso? Auguri. Anche perché, gliene va dato atto, Putin è stato chiarissimo: la sua condizione per una tregua o un armistizio – formule vuote, per il Cremlino, specializzato nel disattenderle – è la fideiussione dei territori occupati con la forza nel 2022 (perché da lì in poi gli ucraini hanno iniziato a riprenderseli).

Nessun Paese sovrano firmerebbe una resa del genere. Che poi quello – la capitolazione – è l’esito a cui condurrebbe un’interruzione degli aiuti militari, chiesta a vario titolo dai populisti di tutta Europa e foriera di malumori anche nel governo italiano, se Giorgia Meloni non ha “ripostato” i momenti con Volodymyr Zelensky al summit in Andalusia. Intanto il principale beneficiario degli sforzi dei pacifisti diceva la sua sulla fine di Yevgeniy Prigozhin.

Sull’aereo del capo della Wagner, ha sostenuto Putin, sarebbe scoppiata una granata: frammenti sarebbero stati ritrovati nei corpi delle vittime. Questa nuova narrazione, con il riferimento alla cocaina a bordo e l’allusione (ma senza test tossicologici) a un gruppo di «drogati» ubriachi che magari si sono ammazzati da soli, serve a cercare di negare le responsabilità governative nell’abbattimento del volo, lo scorso 23 agosto, a due mesi dalla fallita rivolta dei wagneriti.

L’intelligence americana lo ritiene invece un assassinio ordinato dal Cremlino. Il presidente, pubblicamente, nega la tesi dell’«impatto dall’esterno» e mistifica con i dettagli di colore. Alcol e droga, un assist irresistibile per i titolisti. Comunque una detonazione dall’interno non esclude la regia dei vertici dello Stato. La versione di Putin è un’altro pezzo della demolizione dell’immagine di Prigozhin, come quando erano trapelate le sue foto in parrucca.

Il presidente, invece di fare pronostici sulle «durate» altrui, dovrebbe preoccuparsi soprattutto della propria. Sta perdendo la guerra. I costi iniziano a sentirsi anche in patria: poche valute sono andate peggio del rublo nell’ultimo anno, i ribassi del prezzo del petrolio hanno ridotto il valore delle esportazioni. Dopo gli attacchi ucraini in Crimea, incluso quello sul comando di Sebastopoli, la Russia ha spostato la flotta altrove.

Il ritiro dal capoluogo di tre sottomarini e almeno due fregate trova riscontro nelle immagini satellitari. Sono dirette ad altri porti della Federazione, soprattutto Novorossiysk, o della penisola annessa illegalmente nel 2014. Da lì potranno, purtroppo, continuare a lanciare missili cruise, ma si tratta della «sconfitta operativa della flotta del Mar Nero», nelle parole del sottosegretario alla Difesa britannico, James Heappey.

La mossa è temporanea, per proteggere i mezzi. Segnala, al tempo stesso, l’efficacia delle capacità offensive dei liberatori e un ridimensionato controllo degli invasori sul mare. Gli ucraini, a fatica, sono anche riusciti a riaprire il transito dei carichi di grano. Mentre Putin blaterava la solita propaganda, Kyjiv potrebbe aver compromesso, e forse invertito, il dominio navale russo. La boria di Putin sulla «settimana» che gli serve è, implicitamente, un’ammissione delle difficoltà del suo esercito.

Linkiesta, 07 ottobre 2023 – Esteri