
Stefano Rodotà
di Emilio De Capitani
Sono trascorsi appena otto anni dalla scomparsa di Stefano Rodotà, il 23 giugno 2017, eppure il suo messaggio a difesa della dignità delle persone, di una autentica Unione europea e di una globalizzazione dei diritti rischia di sembrare una eco sempre più lontana.
Pragmatismo, realismo per non dire cinismo e una evidente ipocrisia sembrano ormai prevalere anche nel discorso pubblico tanto in Italia che in Europa quasi che la Carta dei diritti fondamentali alla quale Stefano ha dato un contributo determinante fosse diventata solo un testo da esporre nelle feste comandate ma da dimenticare nella vita quotidiana.
La dignità delle persone protetta dall’art.1 della Carta viene innanzitutto sempre più spesso sacrificata in nome di una politica di sicurezza inutilmente intrusiva e ciò sulla falsariga delle politiche di prevenzione USA (per non citare quelle Cinesi). La resistenza contro questa deriva che era stata organizzata già nel 2003 da Stefano come coordinatore europeo dei Garanti della Privacy è stata spazzata e ciò nonostante la protezione della Privacy e dei dati personali siano ormai esplicitamente previste dalla Carta (artt 7 e 8) e godano di una base giuridica specifica nei Trattati (art.16 TFEU).Lo stesso Parlamento europeo ha ormai cambiato campo adottando norme che la stessa Corte di Giustizia ha considerato sproporzionate (Sentenza Ligue des Droits Humains) o palesemente illegittime (Sentenze Digital Rghts, “Schrems I e II”).
Ma la dignità delle persone viene violata anche dalle politiche in materia di migrazioni, lotta alle discriminazioni e protezione ambientale per le quali la Commissione propone strategie legislative ormai gradite alla destra in Consiglio e in Parlamento e subite dai cosiddetti “progressisti” mentre i principi giuridicamente vincolanti di solidarietà che il Trattato prevede fra Stati (Caso Germania v Commission C848/19 P) e fra Cittadini (Causa Commissione v Malta in materia di cittadinanza UE caso C-181/23) vengono ridotti a semplici simulacri.
Soprattutto il sogno di Stefano di far riconoscere ai governi nazionali ed europei “il diritto (delle persone) di avere diritti” non si è realizzato in particolare a livello europeo. Se si esclude la Corte di Giustizia che può essere attivata solo quando si abbia tempo soldi e conoscenze adeguate, gli altri meccanismi oggi previsti sono più sulla carta che nella realtà.
È questo il caso delle valutazioni di impatto preventivo e successivo della legislazione da parte di una Commissione che è sempre più parte in causa piuttosto che “Guardiana dei trattati”. Anche il ruolo delle Autorità indipendenti o delle Agenzie come la FRA è, a dir poco aleatorio nonostante il precedente che Stefano aveva a suo tempo creato con una indagine per il Parlamento europeo a seguito di disordini a Ponticelli. Le “Strategie a tutela dei diritti fondamentali” previste dai regolamenti di Frontex, dell’Agenzia per Asilo e di Europol sembrano più delle foglie di fico che strumenti attivabili da parte delle persone mentre non esiste una strategia europea che componga tutte queste esigenze.
Resta valido il suo insegnamento di guardare lontano e mantenere la rotta scegliendo come stella polare il rafforzamento dei diritti e la partecipazione delle persone alla costruzione comune.
Il fatto nuovo è la previsione ormai generalizzata dell’utilizzo dei fondi europei nel rispetto dei diritti fondamentali (Regolamento “Condizionalità”, Regolamento “Regole comuni” sull’utilizzo dei fondi europei e Nuovo regolamento Finanziario) ma la loro attivazione richiede l’intervento dei cittadini e delle persone interessate e non una politica proattiva da parte della Commissione. Questa verifica il rispetto dei “valori” dell’Unione, fra i quali la protezione dei diritti fondamentali viene ora condotta dalla Commissione ma in collaborazione con i paesi membri e nella misura in cui questi siano disponibili a rivedere i propri comportamenti.
In questo quadro piuttosto deprimente dove a causa di una classe politica a dir poco miope l’Unione europea rischia di diventare il problema invece di essere la soluzione, resta valido l’insegnamento di Stefano di guardare lontano e mantenere la rotta scegliendo come stella polare il rafforzamento dei diritti e la partecipazione delle persone alla costruzione comune. Stefano che ha mantenuto fino alla fine il suo sguardo innocente sapeva benissimo quanto sia difficile uscire dalla rassegnazione quando non dall’ignavia e credeva che la via maestra sia promuovere e soddisfare il desiderio e bisogno di giustizia della cosiddetta gente comune (anche se partiti e corpi intermedi lo sottovalutano).
Emilio De Capitani
Direttore Esecutivo del Fundamental Rights European Experts Group (FREE Group). Docente a contratto presso la Scuola Superiore S.Anna in Pisa. Già Segretario (1998-2011) della Commissione Libertà Civili (LIBE) del Parlamento Europeo.
Nel corso della sua attività professionale responsabile per le relazioni istituzionali e il coordinamento legislativo presso il Parlamento Europeo (1985-1998) e la Giunta Regionale della Lombardia (1971-1985).
Autore e co-autore di saggi e pubblicazioni in campo istituzionale e sulle politiche legate allo spazio europeo di Libertà sicurezza e giustizia.
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