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A Kyjiv si fa l’Europa o si muore La lucida follia degli italiani nella piazza del destino europeo dell’Ucraina

23201976-large-1200x800da Raimondo Giustozzi

L’iniziativa lungimirante e coraggiosa di Europa radicale si è tenuta ieri a Euromaidan. I promotori raccontano come è andata, e spiegano che i resistenti ucraini e i paesi democratici dell’Ue potranno salvarsi soltanto insieme

 

Piazza Indipendenza a Kyjiv è una distesa di migliaia di bandiere ucraine piccole e grandi, di lumini ordinatamente disposti sulle ampie scalinate e di fotografie di soldati; ciascuna bandiera, ciascun lumino, ciascuna fotografia è lì in ricordo di uno dei caduti di tre anni di guerra terribile e ancor più oscena proprio perché troppo spesso equivocata, come conseguenza di un’imprudente provocazione all’orgoglio della Russia o declassata a conflitto regionale riaccesosi sulle macerie del mondo post-sovietico.

Piazza Indipendenza a Kyjiv è la rappresentazione concreta del debito di gratitudine degli europei al solo popolo europeo che combatta per l’Europa contro il peggiore nemico dell’Europa. Un debito non riconosciuto e addirittura presentato come un credito per gli scarsi e condizionatissimi aiuti finanziari e militari prestati alla resistenza ucraina.

Piazza Indipendenza a Kyjiv è il luogo dove, nel 2013 e 2014, una marea di cittadini ha dato la spinta decisiva per costruire la storia europea dell’Ucraina, liberandola dal giogo di Mosca. Il Maidan inondato di bandiere europee, in quelle interminabili e indimenticabili giornate di lotta nonviolenta, è divenuto il simbolo concreto di una speranza che tuttora esiste, resiste e combatte.

Piazza Indipendenza è il luogo dove il 9 maggio, nella Giornata dell’Europa, un centinaio di folli, ragionevoli e lungimiranti attivisti della libertà e della democrazia europea hanno deciso di prendere parte all’iniziativa organizzata da Europa Radicale.

È in assoluto la prima manifestazione di cittadini europei che si spostano in un teatro di guerra per dare il loro sostegno pieno e visibile agli aggrediti, sfidando gli allarmi e i rischi, perché, come recita il titolo di quest’iniziativa: «L’EUROPA RINASCE A KYJIV!». Insieme agli italiani, moltissimi ucraini hanno accettato di scendere in piazza, come altri cittadini che hanno raggiunto la capitale ucraina dal Belgio, dalla Gran Bretagna, dalla Germania.

Gli oratori si sono alternati al microfono davanti a una bandiera europea enorme, sulla quale abbiamo scritto i nomi della giornalista ucraina Victoria Roshchyna, trucidata dai russi, della giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa dal regime criminale di Mosca per le sue parole di verità sui crimini di Putin, e del giornalista italiano Antonio Russo di Radio Radicale, ucciso dai servizi segreti russi per le prove che aveva raccolto sull’utilizzo di armi non convenzionali nella seconda guerra cecena.

All’inizio della manifestazione, i militanti di Europa Radicale hanno illustrato con precisione gli obiettivi dell’iniziativa. Innanzitutto, occorre che l’Ucraina possa raggiungere la famiglia europea al più presto. Sarebbe un risultato politico importantissimo da mettere sul tavolo del confronto con i criminali di Mosca. E poi, come diciamo dal 24 febbraio 2022, non è ammissibile che i cieli ucraini siano percorsi da bombe, droni, missili, aerei, elicotteri che hanno come obiettivo l’uccisione di civili, la distruzione di condomini e supermercati, scuole e case di riposo, ristoranti e mercati.

Una no-fly-zone è necessaria e sono i Paesi europei che devono e possono metterla in atto. Se fosse stato fatto dal 2022, si sarebbero risparmiate molte migliaia di morti e si sarebbe dato a Mosca un segnale inequivoco di cosa è e cosa vuol fare l’Europa per proteggere l’Ucraina e sé stessa.

L’emozione corre sul filo delle parole degli oratori che, in italiano, in inglese o in ucraino, intervengono. Chi per raccontare vicende personali, chi per indicare una via, chi per denunciare quanto ha visto con i propri occhi.

Gli occhi di chi ci ha accompagnato a vedere con i nostri occhi Irpin, dove gli abitanti di questa cittadina alle porte della capitale stanno facendo ogni sforzo per ricostruire e non dimenticare. I segni dei crimini compiuti dal Cremlino, mentre tentava di conquistare la capitale nei giorni successivi all’invasione su larga scala, sono ancora lì e urlano tutto il dolore e l’orgoglio di un popolo che non si è mai abbandonato allo sconforto e alla resa, neppure quando veniva abbandonato dai suoi presunti alleati o invitato a sacrificare la propria libertà per la pace degli europei più lontani dai confini orientali dell’Europa.

La via d’uscita da questa guerra non è un accordo con chi non ha mai rispettato un accordo, non è dare a Putin quello che ha occupato e magari pure un pezzo di quello che non è riuscito a conquistare, ma ha già dichiarato formalmente annesso alla Federazione russa.

La via d’uscita da questa guerra non è dare alla Russia quel che vuole, sperando che si accontenti, come se ogni guerra di aggressione che giunga all’obiettivo sperato – poco importa se ottenuto sul campo di battaglia o con un accordo estorto dai finti alleati del soccombente – non fosse il prodromo inevitabile di nuove guerre di aggressione.

Negli anni Novanta il Tribunale penale internazionale ad hoc per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia prima incriminò il generale Ratko Mladić (fino all’ultimo inquadrato nell’esercito serbo) e poi incriminò Slobodan Milošević, a capo della catena di comando serba. La Corte penale internazionale dell’Aia ha incriminato già quattro ufficiali russi per crimini di guerra. Ora deve incriminare Vladimir Putin, a capo della catena di comando. L’incriminazione del 2023 per la deportazione di migliaia di bambini ucraini in Russia e Bielorussia deve essere la prima di una lunga serie. «Non c’è pace senza giustizia», non è uno slogan ma è il percorso per giungere a una pace duratura.

Vladimir Putin deve essere arrestato e processato. E con lui un intero regime criminale che, dalla Cecenia alla Georgia, alla Siria fino all’Ucraina, ha compiuto assassini, stupri, violenze e distruzioni per oltre un quarto di secolo, trasformando le frustrazioni imperiali di uno Stato nucleare fallito in un’ideologia di grandezza nichilista.

Anche in questo 9 maggio, come ogni mattina, alle nove in punto si è udito risuonare in città l’inno ucraino, in un silenzio dedicato ai tanti caduti per la libertà. L’unico trionfo che resta alla Russia è quello della morte che riesce a mietere e a minacciare dentro e fuori dai propri confini.

L’unica possibilità per l’Europa è di sconfiggere questo programma di morte, che la minaccia molto più da vicino di quanto pensino i pacifisti ingenui e facciano finta di pensare quelli disonesti. L’Europa e l’Ucraina si salveranno insieme o cadranno insieme.

 

Linkiesta, Politica, 10 maggio 2025

di Igor Boni e Silvja Manzi

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