di Raimondo Giustozzi
“Quella di Montefiorino fu la prima fra le repubbliche parigiane sorte nell’estate 1944, e, credo, anche quella che ebbe più lunga durata, se si tiene conto della sua rinascita nell’inverno successivo. Non solo: ma la battaglia di Montefiorino è stata definita da Roberto Battaglia, il più grosso combattimento campale della Resistenza italiana. Si tratta dunque di un fatto di primo piano nel quadro del movimento di liberazione nel suo complesso. La sua importanza è accentuata, dal punto di vista militare, dalla localizzazione e ridosso della Linea Gotica, nelle immediate retrovie del fronte; e, da quello politico, dal suo svilupparsi nel cuore dell’Emilia, sulle montane che gravano sul quadrilatero Bologna – Ferrara – Modena – Reggio Emilia, nel quale il Partito Comunista, affondando le radici nel terreno fertile di un’antica tradizione socialista, ha raggiunto nel dopoguerra i più alti livelli di incidenza elettorale, di vitalità e di organizzazione” (Ermanno Gorrieri, La Repubblica di Montefiorino. Per una storia della Resistenza in Emilia, Premessa, pag. 5, Il Mulino, Bologna 1966).
Il saggio in questione consta di 745 pagine, diviso in due parti. La prima parte, Modena dal Fascismo alla Resistenza, è declinata in 40 capitoli, la seconda parte, La Repubblica di Montefiorino, in 26 capitoli. Chiudono il libro: Note conclusive, indice delle località e dei nomi. La premessa è stata riportata sopra con la citazione presa direttamente dal testo. Come si può vedere chiaramente, la prima parte risulta più consistente rispetto alla seconda. Costituisce quasi l’antefatto di cui si parla nella seconda: La prima Repubblica di Montefiorino (giugno- luglio 1944) cessa di esistere, perché parte del territorio viene messo a soqquadro dai nazi – fascisti nell’ autunno- inverno 1944 / 1945. La seconda Repubblica si ricostituisce come territorio libero (febbraio- marzo 1945) nei mesi precedenti allo sfondamento della Linea Gotica ad opera degli eserciti anglo – americani, secondo Corpo d’armata polacco, unità partigiane di ogni colore politico, Corpo Italiano di Liberazione (CIL), Partigiani della Majella, paracadutisti del Battaglione F (1° Squadrone da ricognizione “Folgore”.
“Il territorio partigiano della seconda Repubblica di Montefiorino era meno esteso di quello dei quarantacinque giorni (giugno – luglio 1944); ma su di esso si esercitò, piena e incontrastata, l’autorità del CLNM (Comitato Liberazione Nazionale Militare) e del Comando di Divisione per un periodo più lungo; praticamente per i cinque mesi che vanno da dicembre ad aprile (1945), salvo i quindici giorni del rastrellamento di gennaio” (Ibidem, pag. 553). Nel periodo della prima repubblica in realtà si trattava di alcuni comuni, che si erano dati una libera forma democratica di governo, dopo aver cacciato fascisti e nazisti, ma non si erano raggiunti contatti precisi tra le diverse unità militari partigiane, per diversità di vedute su come operare militarmente contro l’esercito tedesco e le forze fasciste, e per le innegabili difficoltà di comunicazione tra i partigiani che si distribuivano su un territorio impervio e difficile da raggiugere. Nella vita della prima Repubblica non esisteva una Giunta di Governo civile. Nella seconda Repubblica di Montefiorino “Accanto al Comando militare funzionò un organo di governo civile, le cui attribuzioni coprirono tutta la gamma dei problemi che interessavano i 25.000 abitanti della zona” (Ibidem, pag. 553).
Parte Prima: Modena dal Fascismo alla Resistenza
Il lettore non deve spaventarsi per la corposità di un volume composto da 754 pagine. Si leggono con fluidità e interesse, tanto è avvincente il racconto, sempre ponderato e misurato. Anche l’impaginazione è gradevole. La storia è la ricostruzione storica attraverso l’uso di documenti. Nel testo sono riportati con caratteri tipografici diversi da quello usato per la narrazione storica. Quando servono, per argomentare meglio ciò che viene scritto dall’autore, occupano, nella pagina, più spazio di quello dedicato alla ricostruzione storica, che si articola normalmente nella parte alta della pagina. Diffuso è l’utilizzo delle mappe geografiche del territorio dove collocare gli avvenimenti raccontati e descritti con dovizia di particolari. Le fonti storiche sono notevoli. Vanno dai bandi antipartigiani emessi dalle forze di occupazione tedesche a quelli emanati dalle autorità fasciste che sopravvivono all’ombra dell’occupante. Frequenti sono i rimandi alla stampa fascista, tra tutte “La Gazzetta dell’Emilia”, quotidiano fascista repubblicano, direttore il bolognese Enrico Cacciari, che scrive articoli infuocati contro tutti i traditori. Il tono si attenua un po’ ma non di tanto quando assume la direzione del giornale Vittorio Querel, giornalista, reduce dalla campagna di Russia. Altro quotidiano fascista è “Valanga Repubblicana”, la cui direzione, dopo l’uccisione di Corrado Rampini, passa nelle mani di Luciano Lodi, giovane ufficiale, che lancia una mano tesa al Partito Comunista perché si unisca al fascismo della Repubblica di Salò. La proposta viene rispedita al mittente
La resistenza non viene celebrata ma messa in discussione, quando approfittando del caos diffuso, soprattutto nell’estate del 1944, entravano a far parte di alcune formazioni partigiane individui poco raccomandabili, che non avevano nulla a che fare con la resistenza. Vennero tolti di mezzo, anche se tardivamente, dagli stessi partigiani. Tra questi i più organizzati e i più intransigenti erano quelli che appartenevano al Partito Comunista. I primi nuclei partigiani sono di Sassuolo e di Magreta. Sono formati da giovani poco più che ragazzi, il cui problema principale è quello di decidere se presentarsi ai bandi di arruolamento nell’esercito della Repubblica Sociale o scegliere di nascondersi in montagna. Il generale Rodolfo Graziani capisce che la nuova Repubblica, messa su per volere di Mussolini, succube e ostaggio di Hitler, deve avere un proprio esercito. Non lo avrà mai così come era nelle speranze del fascismo “repubblichino”. Il nuovo fascismo vive ed opera all’ombra dell’esercito tedesco. Tutte le azioni di rappresaglia verso la popolazione civile, accusata di difendere, proteggere e nascondere i partigiani, sono compiute dai tedeschi, che non hanno nessun riguardo di mettere a ferro e a fuoco interi villaggi: Castrignano, Monchio, Susano (17 marzo 1944), Cervarolo, Civago (20 marzo 1944).
L’arco temporale del saggio va dal 25 luglio 1943 al 25 aprile 1945. Nessun fascista della provincia di Modena scende in piazza per protestare contro la destituzione e l’arresto di Mussolini dopo il 25 luglio 1943. Tutti si nascondono. Dopo l’8 settembre 1943, che sancisce la fine delle ostilità dell’Italia contro gli Anglo Americani, i fascisti locali rialzano la testa. Lo fanno perché si appoggiano ai nuovi padroni, i nazisti. Si macchiano di nefandezze di ogni genere perché agiscono all’ombra dell’esercito tedesco. Scrive tuttavia Ermanno Gorrieri: “Se diverso non può essere il giudizio sui massimi responsabili del fascismo repubblicano modenese, non corrisponde alla realtà il voler presentare questo regime come un’accozzaglia indifferenziata di avventurieri, ladri e assassini. Senza che ciò modifichi minimamente il giudizio storico di definitiva, radicale e irrevocabile condanna del fascismo, si deve affermare, perché è la verità, che in esso militarono anche uomini onesti, spinti a schierarsi nel campo sbagliato solo dalla fedeltà alle proprie idee o dalla preoccupazione di non negare la propria opera a vantaggio delle popolazioni di cui avevano la responsabilità e la tutela” (Ibidem, pag. 195).
Tra questi onesti amministratori c’erano molti podestà che avevano accettato l’incarico di mettersi a disposizione della collettività, dal momento che, dopo l’8 settembre 1943 erano saltate tutte le istituzioni civili e militari. Molti militari, nobili e borghesi avevano scelto di stare dalla parte sbagliata perché per loro era un disonore non rispettare il patto di alleanza con la Germania, passando sopra al fatto che il paese tedesco era guidato da una delle più folli e sanguinarie ideologie che la storia avesse mai conosciuto fino ad allora.
La resistenza contro le forze tedesche e quelle fasciste che collaboravano con loro non era di parte, nel senso che fosse costituita solo da operai imbevuti di comunismo. Nelle forze partigiane combattevano anche molti sacerdoti modenesi che pagarono con la vita e con le persecuzioni la loro attività. “Morirono per mano tedesca o fascista don Elio Monari. Don Natale Monticelli, don Giuseppe Domini. Furono deportati in Germania don Sante Bartolai e don Mario Crovetti. Furono imprigionati e seviziati don Arrigo Beccai, don Ivo Silingardi e don Ennio Tardini. Subirono periodi di detenzione più o meno lunga mons. Carlo Dondi, il gesuita padre Forcellini, don Giuseppe Manicardi, don Ferdinando Orsini, don Valentino Corradini, don Giovanni Boccaleoni, don Elio Vescovini, don Giovanni Ricci, don Euro Melegari. Fu arrestato e processato per aver assistito gli ebrei don Dante Sala. Altri sacerdoti subirono arresti e brevi detenzioni in occasione di rastrellamenti. Don Marcello Venturelli, accusato di aver accolto dei partigiani nella sua canonica, fu percosso a sangue” (pag. 229).
La maggior parte delle formazioni partigiane erano inquadrate sotto la bandiera del partito comunista ma questo non vuol dire che non c’erano partigiani del Partito D’Azione, Socialista, e della Democrazia Cristiana. Ermanno Gorrieri, di Magreta, frazione del comune di Formigine, provincia di Modena, autore del libro, comandante partigiano della Brigata Italia assieme a Luigi Paganelli (Lino) e Giovanni Manfredi, che si ispiravano alla Democrazia Cristiana, Claudio era il suo nome di battaglia, così scrive del proprio partito, che non lo scagiona dai suoi errori nella conduzione della guerra partigiana, soprattutto dopo le rappresaglie nazifasciste del marzo 1944: “Gli errori del gruppo dirigente democristiano furono assai gravi, perché impedirono alla Democrazia Cristiana di esercitare una qualsiasi influenza in un momento estremamente delicato e importante per i futuri sviluppi del movimento partigiano dell’Appennino modenese: quello di riorganizzazione delle forze dopo il rastrellamento di marzo. L’assenza della Democrazia Cristiana e il peso piuttosto ridotto del Partito d’Azione in quel periodo non furono pregiudizievoli solo per l’influenza dei due partiti. Ne fu compromesso quell’equilibrio politico che avrebbe potuto rendere evidente agli occhi di tutti il carattere di lotta nazionale della Resistenza. Il monopolio, lasciato ai comunisti nella riorganizzazione primaverile in montagna, li pose nella tentazione di abusare di questa loro posizione, strumentalizzando il movimento ai loro fini di partito” (Ibidem, pp. 253- 254).
La lotta partigiana contro i presidi nazi – fascisti riprende vigorosa nell’aprile del 1944; diventa offensiva vera e propria contro le unità dell’esercito tedesco nel maggio dello stesso anno. Questa felice congiuntura si verifica pur con tutti i contrasti all’interno delle formazioni partigiane di ispirazione comunista. Alcuni comandanti vengono messi da parte dagli stessi comunisti per eccesso di ferocia verso i prigionieri nazi fascisti. Le formazioni partigiane, che si ispirano alla Democrazia Cristiana, non accettano l’egemonia comunista. Nonostante questa situazione, il 17 giugno 1944 Montefiorino viene liberata: “Nel giro di dieci giorni le forze fasciste erano state sloggiate dai comuni di Montefiorino, Frassinoro, Prignano, Polinago, Toano, Villa Minozzo e Ligonchio, e i partigiani vi si erano insediati da padroni” (pag. 304).
Lo sbandamento fascista all’inizio è totale, ma i nazi – fascisti, fra la metà di luglio e quella di agosto 1944, compiono una serie di feroci rappresaglie verso la popolazione civile. Muoiono 167 persone. Lo stillicidio continuerà fino all’aprile del 1945. La rabbia dei nazi fascisti si abbatte su tutti. Il tentativo di contenere la Resistenza è vano. La lotta partigiana e gappista continua senza sosta, alimentata anche dalla prospettiva di una liberazione vicina. Questa speranza si rivelerà fallace e sarà la causa di non pochi problemi. Tutte le formazioni partigiane della pianura si riversano nei territori dei comuni liberati. Nei mesi dell’estate 1944 si concentrano nelle zone liberate circa 8.000 partigiani che provengono dalla pianura e da tutta la provincia di Modena e in parte anche da quella di Reggio Emilia. Un conto era comandare poche centinaia di partigiani, altro era disciplinare un numero imprecisato di partigiani tra i quali c’era veramente di tutto. I rapporti con la popolazione locale, avvezza alla dura vita della montagna, diventano tesi. I montanari non apprezzano la prepotenza di chi sottrae loro quel poco che basta per vivere. Eppure avevano bene accolto i primi gruppi partigiani, nascondendoli, rifocillandoli come potevano. Molti di loro erano del posto e ben conoscevano le difficoltà economiche della zona e ben si guardavano di compiere azione di rapina a danno della popolazione montanara.
Parte seconda: La Repubblica di Montefiorino
Al caos delle unità partigiane si reagisce, creando il “Corpo d’Armata Centro – Emilia”. Rimangono ai vertici delle forze partigiane, raggruppate in quattro divisioni, i comandanti storici delle prime formazioni: Armando, Davide, Barbolini, ai quali si aggiungono Marcello e Nello, quest’ultimo prepotente, crudele e sanguinario. Quando verrà messo da parte, sarà troppo tardi. Aveva fatto troppi danni. Claudio, che comandava la Divisione Italia, veniva messo ai margini. Le quattro divisioni del “Corpo D’Armata Centro – Emilia” raggruppavano circa 4.000 uomini. Altri partigiani, circa 1.000, componevano i Battaglioni di riserva, a disposizione del Comando, altri ancora erano stati messi a difesa dell’ospedale di Fontanaluccia. “Ai circa 5.000 modenesi si affiancavano 2.000 reggiani, con il comando a Villa Minozzo, schierati dalla zona di Ligonchio a quella di Carpineti, a difesa del fianco Ovest della zona libera” (pag. 353). “Tutta la zona libera era situata fra due arterie statali: la 12 dell’Abetone e del Brennero (la via Giardini), che collega Modena con Pistoia- Firenze e con Luca- Pisa- Livorno; e la 63 del Cerreto, che collega Reggio Emilia con la Spezia: due strade di vitale importanza per le comunicazioni tedesche dalla Valle Padana al fronte” (pag. 343).
Questa seconda parte del saggio è ricco di carte topografiche, indispensabili per capire la dinamica degli avvenimenti che accelerano, quando il fronte tedesco sulla Linea Gotica si accorcia e le zone libere attorno a Montefiorino costituiscono una minaccia per le truppe tedesche. L’unica tattica che i partigiani riescono a praticare è quella di attaccare da posizioni vantaggiose: convogli militari, camions, soldati tedeschi e fascisti, ma sganciarsi immediatamente per non venire accerchiati dalle forze nemiche, che disponevano di più armi e unità militari preparate alla guerra. Nelle quattro divisioni partigiane scarseggiavano le armi. Quelle che erano paracadutate dagli aviolanci degli alleati non bastavano per tutti. Nelle divisioni partigiane mancavano ufficiali che avessero esperienza di comando truppa. Tra molte formazioni partigiane regnava il caos più assoluto. Molti partigiani si erano portati in montagna perché ritenevano che il peggio era passato. Con la liberazione di Firenze (agosto 1944), si pensava che la sconfitta dell’esercito tedesco era segnata. Nulla era più lontano dal vero. Le unità militari tedesche, pur logorate e in ritirata, combattevano con ostinazione e compivano eccidi per terrorizzare la popolazione civile. Brucavano i paesi che attraversavano
Se i tedeschi combattevano ancora con vigore, molte cose non andavano bene nelle formazioni partigiane. Non c’era coordinamento tra le formazioni, il CUMER (Comando Unico Militare Emilia Romagna) e il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che diventerà poi il CLNAI (Comitato di Liberazione Alta Italia), costituito a Milano il 9 luglio 1944. Sul fronte fascista, Luca Pavolini aveva riorganizzato i fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana nella famigerata Divisione Nera che si macchiò di orrendi delitti e partecipò con le forze naziste alle rappresaglie contro la popolazione civile. Intanto nelle formazioni partigiane ad orientamento comunista si arrivò all’arresto del comandante Nello e dei suoi collaboratori per stroncare gli eccessi e le esecuzioni sommarie commesse durante i quarantacinque giorni della Repubblica di Montefiorino.
La situazione militare delle formazioni partigiane rimaneva sempre precaria per scarsità di armi e mancanza di coordinamento. Unità nazifasciste approfittarono del momento sfavorevole per i partigiani e sferrarono attacchi contro tutte le unità partigiane schierate nei diversi fronti, Ovest, Nord, Est e Sud. “I combattimenti durarono tre giorni: la domenica 30 luglio, di lunedì 31 e il martedì 1° agosto, con un’appendice, due giorni dopo furono attaccate a Gombola le forze di Marcello, che fino a quel momento, trovandosi in una zona periferica della Repubblica di Montefiorino, erano state lasciate in pace” (pp. 407- 408). Montefiorino venne incendiato il sei agosto. Furono bruciati inoltre i centri di Piandelagotti, Gombola, Toano, Villa Minozzo e altri.
Le formazioni partigiane resistevano come potevano, ma con rapide sortite riuscivano a sganciarsi per non rimanere accerchiati. Questa tecnica di combattimento salvò molte formazioni partigiane. Alcune sconfinarono nella vicina Liguria, altre nel versante della Toscana. Molti partigiani che erano originari dei paesi attorno a Montefiorino, conoscendo bene il territorio, riuscirono a salvarsi e a nascondersi, protetti dalla popolazione locale. Torneranno utili in futuro, quando con lo sfondamento della linea Gotica ad opera degli Anglo Americani, contribuiranno a creare ogni sorta di difficoltà logistica ai danni dell’esercito invasore. Avranno il merito di tenere in vita le forme di partecipazione alla vita politica con le prime elezioni democratiche, conosciute nei quarantacinque giorni di libertà. Non erano granché ma erano anche le prime elezioni dopo vent’ani di dittatura.
Dopo la sconfitta delle formazioni partigiane e l’attentato a Davide, compiuto da un partigiano comunista contro un comandante di una formazione comunista, tutto il movimento partigiano visse un momento di sbandamento, ma la lezione servì per ridiscutere tutto. Le colpe della disfatta furono addossate al Comando generale di Montefiorino: “Quando le cose vanno male, è naturale che si cerchi qualcuno sul quale riversare le colpe. Il malcontento era dunque un fenomeno spontaneo e largamente diffuso” (pag. 447). Innanzitutto ci si convince che la guerra continua e con l’inverno alle porte, dei più rigidi, con abbondanti nevicate, sarà ancora più duro resistere in montagna, senza indumenti adatti. L’illusione di una rapida liberazione da parte degli anglo americani si rivela quanto mai tragica. Dopo la liberazione di Ravenna, il 5 dicembre 1944, l’offensiva alleata si esaurisce. “Sugli Appennini il fronte si stabilizzò, ai primi di novembre (1944), su una linea che rimarrà fino all’aprile 1945. L’esaurirsi dell’offensiva alleata non poteva non mettere in crisi il movimento partigiano. Tanto più che il Comando di Divisione aveva puntato tutte le sue carte sulla liberazione prima dell’inverno, in conformità con le direttive pervenutegli dagli organi superiori” (pp. 495- 496).
Nonostante i legami tra alti generali inglesi e comandanti delle formazioni partigiane, il quadro per i partigiani non è affatto esaltante, tanto che Armando, il comandante storico della prime formazioni partigiane comuniste nell’Appenino modenese, decide di attraversare il fronte alleato con la propria unità militare. Il suo esempio verrà seguito da altri comandanti partigiani. “E’ l’esodo in massa oltre il fronte” (pp. 499- 510). A presidiare il territorio rimangono poco più di 300 partigiani democristiani, pochi comunisti e del Partito D’Azione, che si interrogano sulle “Cause della crisi del movimento partigiano” (pp. 510- 516).
Si arriva così al convegno di Civago (frazione di Villa Minozzo). Inizia il 27 novembre e si protrae per altri due giorni, il 28 e il 29 novembre 1944, Sono presenti le formazioni partigiane di ispirazione cattolica (Democrazia Cristiana), comuniste (Partito Comunista) e del Partito D’Azione. Il gruppo dei partigiani cattolici, messi all’angolo nei mesi precedenti, chiede e ottiene più rispetto e più attenzione da parte degli altri gruppi, soprattutto da quello comunista che si era comportato in modo settario verso tutti gli altri gruppi, soprattutto quello della Democrazia Cristiana, guidato da Claudio. I partigiani della Democrazia Cristiana “non avevano puntato tutte le carte sulla liberazione entro l’autunno; fin dai primi di ottobre avevano cominciato a studiare e a predisporre il piano per l’eventualità di dover passare l’inverno in montagna, Infine potevano contare sul pieno appoggio dell’organizzazione democratico – cristiana della pianura, che aveva condotto un’intensa attività di approvvigionamento a favore del Battaglione, permettendogli di non gravare sulla popolazione di montagna” (pag. 519).
Le formazioni partigiane della Democrazia Cristiana ottengono l’appoggio dei maggiori Johnston e Wilcockson dell’esercito inglese, che garantirono anche diversi aviolanci di armi e munizioni, nonché vestiario e vettovagliamento. I capi delle formazioni partigiane comuniste, anche se con difficoltà, accettarono il cambio di passo e una più efficace collaborazione con tutte le altre formazioni partigiane, consci degli errori fatti nell’agosto 1944. La seconda Repubblica di Montefiorino, quella che sopravvive alla distruzione e agli incendi di tanti paesi, mantiene in vita tutte le attività essenziali nell’interesse delle popolazioni amministrate, prevalentemente, approvvigionamenti di alimentari e assistenza. Gli aspetti militari competono al Comando Militare, quelli civili: approvvigionamento annonario, erogazione di sussidi, pensioni, assegni familiari sono di pertinenza della Giunta di Governo (pag. 549).
Per tutto l’inverno 1944- 1945, Il governo del Comitato di Liberazione Nazionale si sviluppò in pieno nelle zone rimaste libere, garantendo, attraverso l’opera degli amministratori locali: giustizia, scuole, sanità e assistenza sanitaria all’emigrazione in Toscana (pp. 554 – 581). “Inoltre la seconda Repubblica rappresentò un’esperienza più compiutamente democratica: per la costituzione di una autorità di governo con giurisdizione su tutta la zona partigiana, per la partecipazione ad essa di tutte le forze politiche (mentre in giugno – luglio il Commissariato partigiano, controllore delle Amministrazioni comunali, era stato monopolio comunista), per aver incoraggiato al massimo di decentramento dei poteri di autogoverno locale, fino alla creazione di Commissioni frazionali, e per aver realizzato, nello stesso tempo, un soddisfacente equilibrio fra tale decentramento e le esigenze di coordinamento e di direzione unitaria della vita civile nella zona partigiana” (pag. 581).
Le formazioni partigiane, rimaste a presidio delle zone libere, subirono il grande rastrellamento invernale da parte delle forze nazi- fasciste, ma resistettero con tenacia con attacchi improvvisi, sganciamenti precipitosi per non soccombere del tutto alle preponderanti forze nemiche. Gli episodi e gli avvenimenti accaduti nel mese di gennaio 1945 sono ampiamenti trattati nel capitolo 61° (Il grande rastrellamento invernale, pp. 599 – 614). L’offensiva partigiana e la crescita delle formazioni in febbraio – marzo, preludio all’ultima tappa, prima dello sfondamento della linea Gotica ad opera degli eserciti anglo americani sono materia del 62° capitolo (Offensiva partigiana e crescita delle formazioni in febbraio – marzo). La lotta partigiana contro l’esercito nazi fascista continua pur in mezzo alla “Crisi del Comando di Divisione” (pp. 627- 640). Gli accordi di Civago e di Gova tra partigiani comunisti e altre formazioni partigiane (Democrazia Cristiana, Partito D’Azione), stentano a decollare e l’aggravarsi della tensione fra comunisti e democratici cristiani (capitolo 64°, pp. 641 – 650) rimane un problema serio. Tutto questo non impedisce ai partigiani di partecipare agli ultimi combattimenti sull’Apennino assieme agli eserciti anglo – americani (pp. 651 – 665) e alla Liberazione (pp. 666- 691). La posta in gioco era la sconfitta del Nazi – Fascismo.
Note conclusive: “La prima impressione che probabilmente si ritrae dalla lettura di questo libro è che la Resistenza ne esca ridimensionata. Chi si aspettava vicende alla western, colpi di mano di commandos intrepidi e invincibili, imprese leggendarie, non poteva non rimanere deluso. Né le battaglie partigiane furono tutte vittoriose; anzi, osservando gli schizzi e le cartine, si noterà come esse si concludessero abitualmente con una ritirata o, come si diceva allora, con uno sganciamento” (Ibidem, pag. 693).
Tutto il libro è un tributo all’onestà intellettuale e al vero più vero. Va letto e più volte per scoprire ogni volta verità nascoste. “Le motivazioni che spinsero all’azione contro il nazi – fascismo si possono ridurre a tre tipi di posizione l’antifascismo, il sentimento patriottico, la solidarietà umana e cristiana. L’antifascismo era abbastanza diffuso in provincia di Modena: nelle fabbriche e nelle campagne, specie della “Bassa”, per il tenace attaccamento alle tradizioni socialiste; in molti ambienti cattolici per il sopravento di alcuni nuclei ex popolari e per la freddezza dei rapporti fra Azione Cattolica e organizzazioni giovanili fasciste; fra i ceti medi urbani e gli intellettuali per la propaganda del Partito D’Azione. Il sentimento patriottico, particolarmente vivo nei giovani educati al nazionalismo dalla scuola, si accentuò di fronte alla presenza di un esercito straniero occupante e fu indirizzato contro i tedeschi anche da una natura e avversione nei confronti di coloro contro cui si erano combattute le guerre di indipendenza. Lo spirito di solidarietà portò ad aiutare i perseguitati: gli ebrei, gli ex prigionieri alleati, i soldati che si sottraevano ai tedeschi e alle chiamate fasciste; anche questa fu una componente della Resistenza che, ovviamente, non fu solo lotta armata; e inoltre aprì la strada ad un’opera più attiva di opposizione al nazifascismo, che sfociò poi nella lotta partigiana” (Ibidem, pag. 697).
Raimondo Giustozzi
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