di Cataldo Intrieri
Opponendosi ai tentativi di aggirare le norme sull’immigrazione tramite decreti che limitano i diritti dei rifugiati, la Cassazione ha riaffermato l’importanza del controllo giurisdizionale come garanzia fondamentale per i diritti umani, nonostante i propagandisti di maggioranza sostengano il contrario
Lo scorso fine settimana, l’agenzia Ansa ha pubblicato una agenzia intitolata «La Cassazione: “La valutazione dei Paesi sicuri spetta ai ministri”», una sintesi opinabile del contenuto di un’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile della Cassazione sulla delicata questione dell’immigrazione. L’ordinanza, in risposta a un ricorso del governo contro un decreto del tribunale di Roma che disapplicava la recente legge sui trattenimenti in Albania, ha portato la Suprema Corte a interpellare la Corte di giustizia europea sulla compatibilità delle normative governative con le direttive europee.
Di fatto, la Cassazione ha confermato le recenti ordinanze dei giudici italiani che hanno rifiutato di convalidare i trattenimenti in Albania in risposta ai decreti legge del governo che designano Paesi “sicuri”, costringendo così al rientro dei migranti in Italia e interpellando a loro volta la Corte di giustizia.
Una sintesi incompleta e un titolo fuorviante hanno alimentato una clamorosa manipolazione della realtà, favorendo la propaganda filo-governativa. I sostenitori dell’attuale maggioranza hanno celebrato una vittoria inesistente. Questa vicenda rivela molto sullo stato dell’informazione italiana, sulla cultura democratica dell’attuale governo (inclusi i sedicenti moderati) e sul preoccupante futuro dello Stato di diritto nel nostro Paese. Il titolo e il sunto dell’Ansa sono quantomeno «grossolanamente esagerati», per usare le parole dello scrittore statunitense Mark Twain di fronte alla notizia della sua presunta morte.
Considerando che il ricorso era stato presentato dal governo contro un provvedimento che respingeva la convalida di un trattenimento in Albania, era evidente che, se la Cassazione avesse voluto dare ragione all’esecutivo, avrebbe accolto il ricorso e annullato la decisione dei giudici. Ma ciò non è accaduto: il rigetto della detenzione in Albania resta valido, rendendo, di fatto, inapplicabile la legge sui trasferimenti dei migranti in territorio albanese. Ora bisognerà attendere la decisione della Corte di giustizia europea, prevista per fine febbraio ma attesa non prima di marzo. Tuttavia, difficilmente questa decisione risolverà il conflitto tra politica e magistratura.
Il presidente della prima sezione civile della Cassazione, Alberto Giusti, giurista di grande spessore, ha colto l’occasione per riflettere ampiamente sull’attuale disciplina dell’immigrazione. In particolare, ha analizzato la controversa iniziativa del governo Meloni che prevede campi di detenzione gestiti da nazioni esterne, trasformati in veri e propri centri di smaltimento umano. Leggendo le complesse quaranta pagine dell’ordinanza, si comprende che la Cassazione ha fatto propri gli argomenti già espressi nella sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia. I giudici italiani hanno rifiutato di applicare passivamente la soluzione “albanese” proposta da Meloni, smascherando l’illusione di una procedura accelerata di rimpatrio.
Il meccanismo si basa sulla creazione di una lista di Paesi sicuri che consentirebbe il rimpatrio automatico impedendo ai migranti, compresi i rifugiati politici, di entrare in Italia. Il governo affida a Paesi di seconda fascia il compito di gestire il problema, dietro compenso economico. Questa è la sostanza della nuova politica europea promossa dall’Italia, presentata a una Commissione europea ormai priva di autorevolezza.
La Corte di giustizia difficilmente esprimerà un parere diverso da quello dei tribunali italiani e della Cassazione. Nessun elenco, nazionale o sovranazionale, può impedire a un giudice di ascoltare le richieste di protezione di chi si sente perseguitato o discriminato. Di fronte a un migrante che richiede protezione, il giudice ha il dovere di approfondire il caso. In tal modo, la procedura accelerata viene sospesa per il tempo necessario. Il migrante rimane nel Paese di soccorso per partecipare alla procedura. Resta da capire perché la Cassazione abbia ritenuto di esprimersi in attesa della decisione della Corte di giustizia. Non mancherà chi criticherà questa scelta come un’interferenza della giustizia italiana su quella europea.
Probabilmente, ha influito la campagna di propaganda avviata dalla premier, che ha invitato i giudici europei a sostenere le politiche governative sull’immigrazione. Un intervento grave, ignorato da una stampa minacciata e compiacente. Di fronte a questa situazione, è comprensibile che la magistratura italiana cerchi il sostegno delle corti europee. Anche l’indipendenza dei giudici europei è ora sotto attacco da parte dei sovranisti, come indicano le dichiarazioni di Mateusz Morawiecki contro l’ingerenza della burocrazia giudiziaria europea.
Questa è la battaglia in gioco: la difesa dei trattati e delle carte europee, che sanciscono i principi fondamentali dello Stato di diritto. La magistratura italiana deve comprendere che la difesa del diritto europeo è la grande battaglia per la democrazia, da combattere prima che sia troppo tardi.
Linkiesta, giustizia, 1° gennaio 2025
di Cataldo Intrieri
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