di Raimondo Giustozzi
“Nel legame chi mi unisce a te risento l’ispirazione più profonda della mia vita, quella di essere un ribelle in cerca di libertà. Ho respinto sempre e sempre pensato che non avrei dovuto capitolare mai davanti alle bugie convenzionali, all’avidità che spegne lo slancio della vita. Persino la mia famiglia, che pure era di poveri, ho respinto da me per andare in cerca di me stesso” (Luciano Canfora, Un ribelle in cerca di libertà, profilo di Palmiro Togliatti, pag. 53, Sellerio editore Palermo, 1998). Il grazioso libriccino, numero 135 della prestigiosa collana Il divano dell’editore palermitano, stampato su Carta Vergata delle Cartiere Miliani di Fabriano, ha in copertina un’opera di Kuzmá Petrov Vodkin (olio su tela), museo Russo di Stato, San Pietroburgo.
Il titolo del libro “Un ribelle in cerca di libertà” è preso proprio dallo stralcio di questa lettera che Palmiro Togliatti scriveva a Nilde Jotti, pubblicata su “L’Unità” il 25 marzo 1993. Il libro consta di poche pagine, appena cinquantatré, ma ognuna ricca di contenuti, presentati con un linguaggio tagliente, come è nella prosa dell’autore. Il profilo politico di Palmiro Togliatti (Genova, 26 marzo 1893 – Jalta, 21 agosto 1964), si snoda attraverso otto piccoli capitoli: Proemio, che comprende un elogio della “doppiezza” (cap. I), la borghesia europea si converte al fascismo (cap. II), i comunisti riscoprono la democrazia nella guerra di Spagna, (cap. III), Togliatti e Stalin (cap. IV), la rivoluzione diventa per noi un processo, (cap. V), virtù del Riformismo (cap. VI), Illuminismo di Palmiro Togliatti (cap. VII), Epilogo (cap. VIII).
“Tutte le forze politiche, che fanno capo ad un orizzonte ideale, praticano la doppiezza: la doppiezza tra il quadro politico – istituzionale, entro cui accettano di muoversi e le proprie aspirazioni di fondo. Se così non fosse, le società rimarrebbero immobili per secoli. Questo non vale solo per i comunisti italiani, nella storia del nostro paese in epoca repubblicana. Vale per i socialisti (finché ci furono). La Democrazia cristiana, con la sua impegnativa denominazione, antitetica rispetto all’ethos, oltre che all’assetto liberal – capitalistico, è forse il caso di più scandalosa doppiezza nel senso positivo del termine. Doppiezza fu anche – ma su un pano deteriore con continui scivolamenti nel tatticismo di pura sopravvivenza – quella della estrema destra italiana che drenava un consenso ideologico tra gli avanzi della RSI nonché nel plebeismo ribellistico – meridionale. Solo i movimenti politici per i quali l’ordinamento economico – sociale vigente è l’unico possibile, oltre che auspicato come eterno, sono gli unici esempi esenti da doppiezza” (Ibidem, pp.11- 14).
Con la fine della prima guerra mondiale cade definitivamente la possibilità di realizzare una democrazia politica attraverso le istituzioni liberali esistenti. Il Parlamento diventa una scatola vuota. La borghesia sceglie di appoggiare quelle forze politiche che garantiscano ordine e si propongono di annullare le conquiste democratiche, che pure erano state in parte raggiunte faticosamente verso la fine dell’Ottocento attraverso le lotte operaie. La democrazia borghese viene smascherata definitivamente. Scegliendo il fascismo, distrugge l’illusione del socialismo riformista. La classe operaia non può trasformare l’ordine sociale capitalistico in un ordine socialista. La preoccupazione e il disorientamento serpeggiano in tutte le forze democratiche.
La Rivoluzione Russa accende la speranza e l’Unione Sovietica diventa il punto di riferimento per quei partiti che lottano per la giustizia e per la libertà dei popoli. Rappresenta nell’immaginario collettivo il Sol dell’Avvenire. Qualcuno sentenziava anche che “Il futuro fosse già iniziato”. Bastava solo allinearsi con il verbo del nuovo ordine, pur con tutte le tragedie della Rivoluzione Russa. Il periodo più difficile e anche il più discusso nella vita di Palmiro Togliatti è quello legato alla lotta per il potere in Unione Sovietica. Uscita di Sicurezza, di Ignazio Silone, è uno dei libri che più di altri parla di questo periodo nella vita di Togliatti. Anche “Silvio Trentin, che non è proprio un comunista, vede nell’Urss, di cui gli è chiaro il carattere totalitario, un’altissima tensione morale volta alla creazione di un ordine nuovo” (pp.19- 20).
“L’Idealismo disinteressato” della Russia Sovietica convince anche Wiliam Henry Chamberlain. Siamo in un mondo lontano da noi anni luce. La tragedia della guerra scatenata dalla Federazione Russa, erede dell’Unione Sovietica, rappresenta una cesura, uno spartiacque, un fossato. Anche se si riuscirà a vedere la fine del conflitto, chi vivrà vedrà, ci vorranno decenni prima che tra la Federazione Russa, l’Ucraina, l’Europa e gli USA si possa arrivare ad una ricomposizione di rapporti diplomatici e di collaborazione. Che la guerra in Ucraina sia una tragedia, l’ha detto testualmente Vladimir Putin. Prepara e scatena un’invasione militare su vasta scala contro la vicina Ucraina, poi parla di tragedia. Dmitri Medved dichiara che non basteranno dieci anni perché la Federazione Russa e gli USA possano di nuovo incontrarsi. Continua poi, nella narrazione russa, la teoria del complotto occidentale contro la Russia. Contro la Russia si è scatenata una russofobia da cavernicoli, lamenta Putin, anche se lo stesso fa poi una classifica tra i russofobi. La russofobia dell’Italia sarebbe meno cavernicola di altre russofobie. È solo una blandizie da restituire al mittente. L’Italia non ci tiene affatto a questa distinzione. L’Italia ama la libertà, l’arte, come sostiene Putin, non meno dell’Ucraina (N.D.R.).
Ma ritorniamo alla narrazione del libro in oggetto. La minaccia fascista del 1934 in Francia consiglia la creazione del Fronte Popolare, un’unità di intenti tra tutti i partiti antifascisti. Di questo progetto, Palmiro Togliatti è l’artefice e il propugnatore. L’esperienza della guerra civile spagnola ripropone ancora il Fronte Popolare, che risulta però meno saldo di quello fascista. “Franco ottiene l’appoggio militare e massiccio di Germania e Italia. Francia e Inghilterra si arroccano nella sterile posizione del non intervento. Solo l’Urss è fattivamente al fianco della Repubblica spagnola. L’esperienza del Fronte Popolare contro le forze franchiste è cruciale nella maturazione del pensiero di Palmiro Togliatti. La democrazia raggiunta nei trentadue mesi di lotta contro “l’assalto fascista” non è sufficiente: La cosa che più di tutte salta agli occhi è l’assenza di quelle forme democratiche che permettono alle vaste masse di partecipare alla vita del paese e alla politica e stigmatizza la latitanza di fatto dei comitati di fronte popolare” (Ibidem, pag. 29). I comunisti, insomma “Riscoprono la democrazia nella guerra di Spagna”.
L’esperienza del Fronte Popolare, prima in Francia, poi in Spagna, convince che la strada imboccata sia quella giusta. Il patto di non aggressione russo – tedesco disorienta tutte le forze antifasciste. L’invasione dell’Urss da parte della Germania nazista rinsalda la formazione della grande coalizione antifascista. Palmiro Togliatti, rientrato in Italia nel marzo del 1944, diventa il protagonista indiscusso della nuova fase di lotta. Il Fascismo può e deve essere sconfitto da una grande coalizione. Il Partito Comunista Italiano è la forza politica più organizzata, perché ha l’appoggio di Mosca, ma Togliatti capisce che, al momento ma soprattutto in previsione del futuro, l’Italia deve raccogliere in un Fronte Popolare tutte le forze antifasciste: “Antifascismo come fondamento della nuova Italia, democrazia progressiva come orizzonte, mantenimento dell’alleanza tra le forze popolari artefici della caduta del fascismo, politica estera di amicizia sia verso l’Occidente, sia verso l’Unione Sovietica. Togliatti sostiene che l’Italia deve fare una politica di amicizia verso l’Unione Sovietica non per motivi ideologici, bensì per motivi nazionali, e per tenere fede a una tradizione di difesa dei nostri interessi” (Ibidem, pp. 31). Quella di Togliatti era una considerazione geopolitica del tutto nuova in un partito come il PCI.
La Russia zarista aveva appoggiato il Risorgimento Italiano. Gorciakov (1798- 1883) (cancelliere dell’impero russo), dopo il trattato di Villafranca (11 luglio 1859), venendo meno il sostegno della Francia, sosteneva il Regno del Piemonte, facendo ammassare truppe russe al confine con l’impero austro – ungarico. La stessa Russia avallava le annessioni al Regno Sabaudo degli Stati dell’Italia Centrale, a seguito dei plebisciti (pag. 32). Questo lontano passato è stato riproposto da qualche deputato della Federazione Russa, tacciando l’Italia di ingratitudine. La Russia di allora sosteneva un Regno, quello Sabaudo, che poteva essere aggredito dall’Austria. L’Ucraina è stata invasa dalla Federazione Russa. L’Italia ha appoggiato uno Stato invaso da un altro (N.D.R.).
Nei primi anni del dopoguerra, anche nella questione delicata di Trieste, Togliatti prendeva le distanze dai comunisti triestini, inclini all’annessione di Trieste alla Jugoslavia: “L’appartenenza di Trieste all’Italia è considerata dalla maggioranza – così si esprime – come una questione vitale per la nazione. La classe operaia non può pensare di risolvere la questione della vittoria della democrazia e nemmeno quello della vittoria del socialismo staccandosi dall’unità nazionale” (pp. 33 – 34). Tra Togliatti e Stalin c’è stato un buon periodo di collaborazione e una unità di intenti per un po’. L’indipendenza della nazione veniva prima di ogni altro obiettivo, se democratici e comunisti volevano diventare la forza dirigente della nazione. Momenti delicati e di attrito tra i due leaders ci furono quando Togliatti rifiutò la direzione del Cominform (pp. 36- 37).
Tempo fa, un politico russo, vicinissimo a Vladimir Putin, lamentava che l’Italia non avesse più un Palmiro Togliatti. Nemmeno la Russia ha più un Micheal Gorbaciov, accusato da Medved di essere stato proprio lui la causa della guerra in Ucraina. Il vecchio leader era ancora nella bara, quando l’eterno secondo del Cremlino esternava questo suo pensiero. In una intervista a Enrico Berlinguer, Micheal Gorbaciov confidava che il primo ad opporsi alle riforme proposte (glasnost e perestroika) era proprio il Partito Comunista Russo. Chi era vissuto di rendita per circa ottant’anni non poteva né voleva rinunciare a nulla di quanto aveva accumulato. Quanto ai nostri politici, Matteo Salvini riteneva che Vladimir Putin valeva da solo due Sergio Mattarella. Quella di Vladimir Putin è una democrazia illiberale. Con la nuova rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, qualcuno sostiene che la democrazia del nuovo presidente americano sia una democrazia autocratica. Siamo all’ossimoro in ambedue i casi. Lo zar ha conquistato il potere con l’eliminazione di tutti suoi oppositori. Tre diversi avvocati di Navalny sono stati condannati a diversi anni di carcere. Circa venti gli oppositori ammazzati o comunque messi a tacere (N.D.R.).
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In Italia, con l’ingresso del Partito Socialista nel governo per Togliatti la rivoluzione diventa un processo: “Il problema centrale – scrive – rimane quello di stabilire uno stretto legame organico fra la lotta per la democrazia e la lotta per il socialismo. È nostro compito difendere le istituzioni democratiche, fare della democrazia la causa della classe operaia, chiamare le masse popolari alla mobilitazione e alla lotta contro ogni tentativo di degenerazione reazionaria e autoritaria, con la lotta delle masse, sconfiggere tutti questi tentativi e liberare l’Europa dei residui regimi fascisti. È allo stesso tempo nostro compito sviluppare la democrazia, dare agli istituti democratici un contenuto economico e sociale adeguato alle condizioni odierne … La democrazia non si manifesta soltanto nelle forme tradizionali del pubblico dibattito, ma come rivendicazione di istanze di controllo e direzione democratiche, tali che consentano alla classe operaia e ai lavoratori di intervenire per fare dello Stato uno strumento di lotta contro il grande capitale, per colpire, limitare, spezzare il dominio dei grandi gruppi monopolistici” (Ibidem, pp. 39- 40).
La rivoluzione diventava nel pensiero di Togliatti un processo. La causa del socialismo e quella della democrazia dovevano andare di pari passo. In questo, il leader del Partito Comunista Italiano, si discostava dalla dirigenza di Chruščëv, il presidente dell’Unione Sovietica:” Il problema cui si presta maggiore attenzione per quanto riguarda l’Urss è quello del superamento del regime di soppressione delle libertà democratiche … Noi partiamo sempre dall’idea che il socialismo è il regime in cui vi è la più ampia libertà per i lavoratori, e questi partecipano di fatto in modo organizzato alla direzione di tutta la vita sociale” (pag. 41). Il Comunismo – arrivava ad affermare Palmiro Togliatti in un saggio pubblicato su “Rinascita” il 28 luglio 1962 – si combatte con il riformismo: “La via del riformismo non può essere presa senza affrontare riforme tali che incidano, più o meno profondamente, nella struttura stessa del capitalismo. I socialdemocratici italiani non fecero del riformismo sino a che collaborarono nei governi centristi. Oggi cominciano a farlo. Perché non dovremmo incoraggiarli a farlo veramente? Possiamo noi escludere che l’impegno per delle riforme profonde, sostanziali, li porti ad essere più vicini, di fatto, ai comunisti che non ai democristiani e soprattutto all’ala conservatrice di questo partito?” (pag. 45). Le riforme da apportare allo Stato Capitalistico dovevano essere suggerite ed appoggiate da un gande partito di massa, come lo era il Partito Comunista Italiano, il più grande tra tutti i partiti comunisti europei.
L’ultimo capitolo che Luciano Canfora dedica a Palmiro Togliatti è su un aspetto che pochi studiosi hanno colto nel pensiero del leader comunista. Togliatti era profondamente imbevuto di Illuminismo. Era contro ogni intolleranza, lui che era accusato di totalitarismo: “Totalitarismo è parola coniata e brandita con compiacimento dal fascismo, che la rese di uso corrente e che grazie ad essa riesce a gravare ancora, se non altro come un incubo sulla vita italiana … La formula “O con me o contro di me” esclude la tolleranza, esclude cioè una delle più grandi conquiste della coscienza moderna” (pag. 51). Scriveva in una lettera inviata a Furio Diaz, il 21 luglio 1963, complimentandosi con lui per la pubblicazione di un suo libro: Filosofia e politica nel Settecento francese, edita da Einaudi nel 1962: “La mia impressione è sempre che il giudizio sull’età dei lumi sia per molti aspetti da rivedere e ricostruire. Ma vedo che tu sei già andato molto avanti. Testimonianza preziosa di un convincimento profondo, indizio di quanto profonda sia stata in Palmiro Togliatti la visione del comunismo come momento capitale della storia della libertà” (Luciano Canfora, Un ribelle in cerca di libertà. Profilo di Palmiro Togliatti, pag. 52, Sellerio editore, Palermo, 1998).
Lo studio del passato deve avere sempre un legame con il nostro presente, diversamente, leggere e scrivere non serve a niente né a nessuno. Palmiro Togliatti (26 marzo 1893 – 21 agosto 1964) muore a Yalta, in Crimea, nella ex Unione Sovietica, oggi, occupata dalla Federazione Russa. Togliatti guidò il più grande partito comunista europeo, avendo sempre presente la democrazia parlamentare e il percorso democratico del partito. Nei giorni dell’attentato (14 luglio 1948) e della degenza all’ospedale, dopo l’operazione chirurgica, andata felicemente in porto, impose ai membri più importanti della direzione del PCI, Secchia e Longo, di sedare gli animi e fermare la rivolta, per altro già in atto in molte città e località della penisola (Roma, La Spezia, Abbadia San Salvatore, Napoli, Genova, Livorno e Taranto)
Luciano Canfora (1942), grecista, ma anche storico e storico del pensiero politico, delinea qui un profilo di Togliatti da cui viene fuori l’immagine di un pugnace assertore della liberazione umana in linea con una tradizione strettamente illuminista. Canfora ha pubblicato con questa casa editrice: La democrazia come violenza (1982), Storie di oligarchi (1983), Il comunista senza partito (1984), La sentenza (1985), La biblioteca scomparsa (1986), Vita di Lucrezio (1993), Demagogia (1993), Manifesto della libertà (1994), La lista di Andocide (1998). Dirige la collana “La città antica”.
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