Il grande influente antropologo francese Philippe Descola (Parigi, 1949) rispose
qualche anno fa ad alcune domande sul tema Lo sport est-il un jeu?; le
interviste a lui e ad altri noti intellettuali francesi (riconducibili a diversi campi
del sapere), redatte in collaborazione con un istituto specializzato e
competente, furono poi pubblicate tutte insieme con lo stesso titolo dalla casa
editrice Robert Laffont (2022). Con prefazione e riferimenti bibliografici
dell’antropologo italiano Stefano Allovio (1968) esce ora l’intervista a Descola,
un testo brevissimo che, dopo i riferimenti a “le parole che usiamo”, contiene
domande e risposte relative a: Il gioco, un rituale, universale (attività di
emulazione e apprendimento, praticata nell’infanzia e nell’adolescenza, un fine
in sé molto più di quanto non lo sia il risultato); Rivalità e individualismo (fece
un seminario in materia al Collège de France nel 2020, disponibile online);
Philippe Descola e lo sport (cricket, andare a cavallo, sci alpino, boxe
francese); Identità e appartenenze (gli aspetti di “identificazione” nazionale,
regionale, locale); Lo sport contemporaneo (competitivo capitalizzato
mediatizzato mondializzato, prevalentemente nato nelle grandi scuole inglesi,
come un dispositivo di creazione delle élite e di preparazione alle carriere
militari, con proprie sacre dimensioni estetiche); Disneylandizzazione
(dell’intera Europa); L’uomo macchina; Un universale della relazione (conferire
diritti a degli habitat, territori, località, insiemi; riorganizzare lo sport come
bene comune). L’autore parte dalla sua personale esperienza etnografica
presso gli achuar dell’alta Amazzonia (Ecuador), riflette sull’apprendimento
della caccia e della guerra “a bassa intensità” (per divenire “esperti” ci vogliono
decenni di pratica collettiva), si dissocia da ogni posizione di carattere morale,
offre molteplici spunti critici.
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